LA FINE DEL SECOLO SCORSO… E UN PROBLEMATICO PRESENTE
La notte tra il 9 e il 10 novembre 1989 viene abbattuto il muro di Berlino. Ultimo atto di una catena di sollevazioni popolari che distruggono il blocco comunista. In Polonia la rivolta era iniziata otto anni prima con le concessioni del generale Jaruzelski e la richiesta di “più Occidente” da parte dei giovani polacchi. Il regime deve riconoscere Solidarność e le elezioni del 1989 vengono vinte da Walęsa. In settembre si forma il primo governo non comunista. I cittadini polacchi acquistano la libertà di espatriare. Lo stesso diritto era stato riconosciuto sei mesi prima agli ungheresi. In Cecoslovacchia nel maggio viene scarcerato Václav Havel e si dissolve il partito comunista. Malgrado le pressioni del feroce e ottuso regime della Germania democratica, Gorbačëv mette fine alla linea Breznev. L’8 novembre Honecker si dimette e il 9 si giunge finalmente alla fine dell’impero del male quasi senza spargimento di sangue. Soltanto in Romania Ceausescu viene catturato, processato e giustiziato assieme alla moglie Elena il giorno di Natale 1989. Tutti coloro che avevano vissuto all’ombra della potenza sovietica si dissolvono improvvisamente. Il non intervento di Gorbačëv favorisce i movimenti di liberazione. Altra musica, ben più drammatica, in piazza Tienanmen nel giugno dello stesso anno. Finisce la guerra fredda in Europa, la Germania si riunifica malgrado i timori di molti, memori della tragedia hitleriana. Ben poco possono fare Mitterrand e Thatcher di fronte al processo messo in moto da Kohl, appoggiato da Stati Uniti e da Gorbačëv stesso malgrado la sua preoccupazione di un eccessivo rafforzamento della NATO. Il costo economico della riunificazione viene pagato anche dai partner europei della Germania. Finalmente il terrificante e grottesco regime tedesco democratico viene spazzato via assieme alla Stasi come ben descritto nello stupendo film di Florian von Donnersmarck “Le vite degli altri”. Un infame sistema spionistico viene liquidato. Fin qui le note positive. Poi ci si accorge immediatamente che la transizione verso il capitalismo occidentale sarà durissima a causa del tracollo economico di tutti gli ex satelliti sovietici. Nessun piano Marshall aiuta i paesi orientali a parte la Germania est della quale si fa carico la Germania federale. Il cambiamento è traumatico per Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. Dure sofferenze nella transizione dall’ occhiuto ma rassicurante welfare comunista al liberismo capitalista aggressivo e sfrenato. La NATO accoglie immediatamente i nuovi Paesi. Ben più difficile entrare nella UE perché occorre rispettare i parametri di Maastricht. Intanto nel 1991 El’cin riconosce la sovranità dei paesi baltici scavalcando Gorbačëv. L’URSS si sgretola. Gorbačëv viene invitato dai golpisti a lasciare il potere nelle mani di un comitato speciale. Non si aspettano la reazione di El’cin che mobilita la piazza e incassa la neutralità dell’esercito. I golpisti si arrendono, il PCUS viene sciolto, la bandiera rossa viene ammainata e sul Cremlino sventola il vessillo bianco-blu-rosso. Gorbačëv esce di scena per mancanza di polso nel momento più delicato. Forse vuole evitare un bagno di sangue. Non è Pietro il Grande. Sofferenze immani per il popolo russo che precipita in una sorta di vuoto politico riempito da criminali, cricche di nuovi ricchi e schiere di indigenti. Un nuovo regime fondato su violenza, servilismo, corruzione e nepotismo schiaccia il popolo russo. Viktor Černomyrdin, primo ministro dal 1992 al 1998 ed ex direttore della Compagnia sovietica del gas viene da lui stesso trasformata nella Gazprom, la più grande azienda energetica del mondo. El’cin viene accusato di corruzione dalla strana alleanza della destra nazionalista di Vladimir Zirinovskij e dagli ex comunisti ortodossi. La coalizione Rosso-bruna si richiama alla purezza patriottica e convince i disoccupati, i declassati, gli ex combattenti, i pensionati. Malgrado tutto El’cin riesce a farsi rieleggere nel 1996 in un clima fetido di rassegnazione, inerzia e alcolismo dilagante. Tre anni dopo uscirà di scena lasciando lo scettro del comando all’uomo forte: Vladimir Putin, uomo del KGB, con occhi di ghiaccio e volontà ferrea, astuto e spregiudicato, intelligente, pronto a tutto e, soprattutto, spietato.
Come avvenne nel Medioevo con la caduta dell’Impero e la conseguente crisi della Chiesa, adesso la caduta del nemico comunista crea nuovi scenari di crisi in Occidente. Le forze più rapaci del capitalismo impostano feroci politiche di privatizzazione e i rischi della globalizzazione fanno emergere movimenti xenofobi e razzisti in tutta Europa. Cresce la criminalità, viene meno il paracadute sociale. Guerre balcaniche e conseguente problema islamico. Poi le torri gemelle e il terrorismo rompono la pax religiosa occidentale che durava dal 1945. La crisi americana del 2008 viene scaricata sull’Europa sempre più debole politicamente a causa di una vera mancata unificazione se non monetaria. La protezione militare americana non è più scontata e il pacifismo di maniera sbatte il muso contro una durissima realtà. Guerre nell’ex URSS e nell’ex Jugoslavia, Cecenia (forse qualcuno dovrebbe ricordare il ruolo di Putin in quella orribile Guerra e il nome Groznyj dovrebbe ancora suscitare orrore e timore). Infine la crisi Ucraina. Sia chiaro a tutti: non si tratta di tifoserie contrapposte, girotondi e inutili marce per la pace, bandiere arcobaleno e altre amenità. Si tratta di guerra, quella vera, terrificante e passibile di sviluppi atomici devastanti per il pianeta. Sono in gioco gli equilibri mondiali tra potenze di rango prioritario e medie potenze. Si uscirà da questo inferno, se possibile, soltanto con trattative serie tra i grandi della terra. Continuare a pensare al pacifismo senza realpolitik significa essere pazzi. La guerra va fermata ma non si fermerà con parole, marce e arcobaleni. I potenti della terra devono trattare e ricostruire una pax mondiale. Un nuovo Congresso di Vienna non un’altra Versailles. Occorrono politici scafati, temprati negli studi e nel gioco diplomatico. Poi potrà giungere anche il tempo dei cortei e del pacifismo ma prima occorre ristabilire i rapporti di forza e le aree di influenza. L’Occidente parolaio, politicamente corretto e salottiero è giunto al capolinea. Ora si gioca pesante e la posta in gioco è la sopravvivenza dell‘umanità. Senza una seria lettura della linea Machiavelli-Hobbes-Schmitt e senza preparazione militare è meglio stare zitti.
Infine, ma non meno importante, l’Occidente ha “occidentalizzato” il pianeta grazie alla Techne superiore. Armi sempre più devastanti e terrificanti sono a disposizione di molti Stati. Non mi risulta storicamente che i governi abbiano costruito armi senza usarle contro qualcuno. Sono preoccupato? Sì, molto, perché vedo pressappochismo, sottovalutazione del problema, ragionamenti ed esortazioni morali invece che sano, concreto, duro esercizio della Politica. Quanti pensano a governi tecnici e ritengono superata la Politica sono in errore. Certo oggi occorrerebbero dei politici di statura gigantesca e, purtroppo si vedono soltanto nani. Come nelle tragedie shakespeariane, mentre Riccardo III combatte contro Enrico Tudor, sullo sfondo si vedono i buffoni il cui problema in questo inferno è la desinenza in A.
Con grande preoccupazione…
J.V.