ANNI DI PIOMBO

ANNI DI PIOMBO

Anni di piombo (Die Bleierne Zeit), film del 1981 diretto da Margarethe von Trotta. Leone d’oro alla 38ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Con Jutta Lampe/Juliane, Barbara Sukowa/Marianne, Rüdiger Vogler/Wolfgang.

Il titolo originale, Die Bleierne Zeit, è una citazione dall’elegia di Hölderlin Der Gang aufs Land, i cui versi 5 e 6 recitano: Trüb ists heut, es schlummern die Gäng und die Gassen und fast will /Mir es scheinen, es sei, als in der bleiernen Zeit.

Torbido il giorno, i corridoi e i vicoli sonnecchiano e mi sembra quasi che siano tempi di piombo.

Per Von Trotta il tempo plumbeo di Hölderlin è il secondo dopoguerra, gli anni Cinquanta e Sessanta della Repubblica Federale.

Ispirato alla vita delle sorelle Christiane e Gudrun Ensslin. Gudrun membro di spicco della Rote Armee Fraktion, trovata morta assieme ai suoi compagni nella prigione di sicurezza di Stammheim nel 1977.

Tre temi forti: il rapporto tra le sorelle Marianne e Julianne, il rapporto col padre pastore luterano, il terrorismo tedesco. Due sorelle nate durante la seconda guerra mondiale, poi impegnate negli anni settanta nell’area di Sinistra. Marianne abbandona marito e figlio e si getta nella lotta armata. Julianne è una giornalista femminista, non vuole figli e convive con un uomo assai innamorato. Dopo l’arresto della sorella anche il rapporto con Rüdiger vacilla a causa della sua volontà di ricercare la verità sulla morte della sorella. Storia di un suicidio o di un omicidio di Stato? Metafora della società tedesca. Riflessione severa sulla Storia tedesca e sulla Shoah. Poesia di Celan, Todesfuge. Der Tod ist ein Meister aus Deutschland (La morte è un Maestro della Germania), slogan dell’antifascismo e dell’anarchismo tedeschi. Von Trotta tenta l’indagine sul volto oscuro del suo Paese. Operazione che in Italia non si prova neppure a pensare. E così il passato diviene un macigno che non passa. Film duro, pesante, terribile come il Cristo di Grünewald che terrorizza le piccole sorelle angosciate dalle sirene antiaereo e da un padre terribile nell’esercizio della fede evangelica.

Viene naturale il confronto con la vicenda personale di Ingmar Bergman figlio di un austero pastore evangelico abbozzato nella figura del vescovo Vergérus in Fanny e Alexander. Simbolismo e psicanalisi caratterizzano un film assai importante frutto della maestria di una donna di enorme intelligenza e che ho avuto la fortuna di conoscere sia pur per due soli pomeriggi. Un film col quale, in ogni caso, occorre fare i conti.

J.V.

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