Aristotele
“Suscitò l’ammirazione della Scolastica e le maledizioni degli studenti destinati ad imparare a memoria il suo sistema su aridi compendi “ (Wilamowitz)
Viene dalla provincia, da Stagira, in Tracia. Benestante ma non di famiglia aristocratica; suo padre è il medico personale del re di Macedonia. L’oracolo, interrogato dal padre, dice che il giovane deve studiare filosofia. Così Aristotele parte per Atene, capitale culturale per eccellenza. Veste bene, ama la buona tavola, gli anelli, i profumi. È un tipo eccentrico, un po’ bleso e tendente alla pinguedine. Dai diciassette anni ai trentasette studia con Platone nel bosco sacro dedicato ad Academo. Legge sempre e il Maestro lo soprannomina “Il Lettore”. Adora il suo Maestro ma essendo ingegno acutissimo approda a conclusioni personali. Dice Platone “Aristotele ha tirato calci contro di me come fa un giovane puledro contro la propria madre “. Alla morte del Maestro abbandona l’Accademia e diviene precettore di un tredicenne interessante: Alessandro Magno. Il futuro conquistatore del mondo e l’uomo destinato a dominare l’universo spirituale… che combinazione formidabile. Stare troppo vicini al potere è pericoloso e così il nostro dandy torna ad Atene, si mette in proprio e passeggia discutendo con gli allievi, tanto da meritare il nome di gironzolone o, in modo più altisonante, Peripatetico. Dorme poco perché deve studiare continuamente. Convince gli studenti a collaborare e fonda la prima comunità scientifica organizzata. Questo clima pacifico muta con la morte di Alessandro. Gli invidiosi si mettono all’opera. Aristotele non può essere accusato di crimini politici ma un buon pretesto si trova sempre: empietà. Si sottrae al processo per non finire come Socrate e fugge. Muore subito dopo, a sessantatré anni, per problemi intestinali. Si è dedicato anima e corpo alla ricerca per tutta la vita. Invidiato, calunniato, oltraggiato, accusato ingiustamente a causa delle sue capacità, reagisce con compostezza alle dicerie e agli insulti. Ha indagato tutto il reale in modo sistematico, tentando di giungere sempre alle essenze, al fondamento. Detta ai suoi allievi migliaia di pagine. Molti studi sono oggi superati, è ovvio, ma è il primo a tentare lo studio sistematico degli enti, dello scibile umano. Verrebbe da dire che Parmenide pone il problema degli enti, Platone li salva e Aristotele li studia. Chi critica oggi, dopo ventitré secoli, i suoi risultati, dimostra grettezza mentale e scarsa intelligenza. Per lui ogni cosa ha un telos, un fine… “diventa ciò che sei”. Scrive un passo stupendo alla fine della sua Etica “Non si deve dare ascolto all’avvertimento di coloro che dicono che l’uomo debba pensare solo alle cose umane, il mortale soltanto a cose mortali; dobbiamo piuttosto sforzarci, fin dove è possibile, d’essere immortali”.
Inventa, nel bene e nel male, le parole chiave del pensiero occidentale: sostanza, essenza, causa, materia, atto, potenza, movimento, condizionando Cristianesimo e senso comune. Dio è motore immobile, gli schiavi non sono uomini ma semplici animali (così si pensava allora tranne rare eccezioni), l’arte ha una funzione catartica grazie al terrore che la rappresentazione del Male provoca in noi. La sua Metafisica (ciò che sta oltre la Fisica) inaugura il pensiero occidentale tanto criticato da Nietzsche e Heidegger. Pensiero ordinato, razionale, sistematico tanto da affascinare i pensatori di ogni epoca. Si occupa di tutto, dagli animali ai vegetali, economia, politica, etica. Ma una domanda lo attanaglia e lì si trova il nucleo del suo pensiero: “Perché l’Essere, e non, piuttosto, il Nulla?”. Non risponde e costruisce una ragnatela logica espressa da uno strumento (Organon) che deve condurci alla Verità. Essa consiste nella struttura del Pensiero e delle sue leggi. La vera Scienza per il nostro dandy è la Logica, la pura astrazione. La fitta ragnatela logica porta all’Intuizione che non ha nulla di divino (Secoli di ideologia mista ad ignoranza ci hanno ingannati). L’origine non è divina… è vuota, come il punto nella definizione geometrica. Costruisce il labirinto delle apparenze, una realtà che dipende dal linguaggio. Dio è il supremo perdigiorno,colui che ozia continuamente, il pensiero del pensiero, il motore immobile, il superfluo. Dio si può permettere il lusso del superfluo… ed è Dio proprio per questo.
Il dandy salva l’apparenza degli enti ma pensa, come il Maestro, che Parmenide fosse nel giusto: l’Essere è e non può non essere. Platone si impietosisce e inventa la grande Menzogna dualistica, spacca il mondo tra fenomeni e Idee, Aristotele studia soltanto i fenomeni ma nella sua olimpica compostezza sembra dirci “state attenti, non prendetevi troppo sul serio… sono soltanto apparenze, sogni, illusioni”.
J.V.