Cassius Clay, poi Muhammad Ali
Cassius Clay, poi Muhammad Ali
“Solo un uomo che sappia cosa vuol dire essere sconfitto può scendere fino al fondo della sua anima e venire su con quell’oncia di potenza necessaria per vincere quando il combattimento è pari.”
“Cassius Clay è un nome da schiavo. Io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome libero. Vuol dire amato da Dio. Voglio che la gente lo usi quando mi parla e parla di me.”
Louisville prende il nome dal re di Francia Luigi XVI, ghigliottinato dai rivoluzionari. In questa città del Kentucky il 17 gennaio 1942 nasce Cassius Marcellus Clay. Il migliore, almeno per me. Una farfalla di 100 chili che demolisce gli avversari con colpi rapidi e micidiali. Danza sul ring con eleganza stupefacente. Personaggio carismatico anche fuori dal ring. Buono, generoso, gentile e nello stesso tempo arrogante e duro. Sportivo del secolo secondo diversi importanti periodici, carismatico, amato e odiato, mai banale. Inizia col pugilato a 12 anni perché gli rubano la bicicletta e vuole vendicarsi “Ero sconvolto e qualcuno mi indirizzò alla palestra di Joe Martin, un poliziotto che nel tempo libero insegnava ai ragazzi a tirare di boxe. Gli dissi che avrei voluto stendere chi mi aveva rubato la bici. Così mi iscrissi alla palestra e cominciai ad allenarmi con una gran voglia di vendetta… Mi allenavo sempre. Ero il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via. La boxe mi tenne fuori dai guai: non ho mai cominciato a bere né a fumare”.
A 18 anni vince l’oro olimpico a Roma. Ritorno in patria. Razzismo “Avevo vinto la medaglia d’oro per l’America, ma non potevo sedermi a mangiare in un ristorante della mia città… Avevo vinto la medaglia d’oro. Ma non significava niente perché la mia pelle non era del colore giusto”. Passa al professionismo e si affida ad Angelo Dundee. Angelo lo motiva e gli consente di essere anticonvenzionale. Affronta gli avversari avvicinandosi a braccia penzoloni invece di alzare la guardia con i pugni all’altezza del volto. Così disorienta il rivale per poi sorprenderlo con colpi fulminei e devastanti.
A soli 22 conquista il titolo mondiale dei massimi battendo il grande e temutissimo ”Big Bear” Sonny Liston. Sospetti di infiltrazioni mafiose sui due incontri vinti da Clay. Il terribile Liston è controllato dalla famiglia Giancana che probabilmente decide di scommettere sull’emergente e brillante giovanotto di Louisville. Liston si ritira alla settima ripresa mentre è ancora in parità. Il secondo incontro, terminato dopo un minuto per KO, è uno dei match più attesi e controversi della storia del pugilato. Clay intanto si iscrive al Black Muslims, un’organizzazione inneggiante all’odio verso i bianchi, e inizia a farsi chiamare Cassius X.
Liston, ex detenuto, viene arrestato per guida pericolosa e senza patente, ubriachezza e detenzione di armi. Boston rifiuta di ospitare l’incontro a causa del clima di violenza esasperato, i sospetti di combine, la presenza mafiosa. Si combatte nella piccola Lewiston in Maine. Malcom X viene assassinato. Si temono attentati. Liston dichiara di aver ricevuto minacce di morte dalla Nation of Islam. A causa di tutto ciò soltanto 2.434 spettatori seguono dal vivo il grande evento. Dopo appena un minuto il pugno fantasma. Liston al tappeto. Ali grida “alzati vecchio orso, non ho ancora finito”. Enfatizza così la propria estraneità alla commedia. L’arbitro non effettua il conteggio e dichiara Ali vincitore. Il pubblico protesta, la mafia guadagna somme enormi. Nel 2004 Ali dichiara “Voglio bene a Sonny. Era un brav’uomo. E il pugno l’ha colpito. Non so bene quanto buono fosse il colpo, sebbene io abbia sentito il contatto. Se avesse voluto fingere un KO, non l’avrebbe mai fatto al primo round.” Comunque per lui giunge la definitiva affermazione e inizia il mito dell’eroe che abbatte ogni ostacolo, sul ring e fuori, grazie al coraggio e al talento. Liston è un uomo finito ed abbandonato da tutti. Vae Victis. Analisi alla moviola in realtà dimostrano che Alì colpisce duramente e velocemente il grande orso per due volte di seguito alla tempia.
Clay ora è ufficialmente Muhammad Ali. Dopo Liston batte i più forti pugili del tempo, da Floyd Patterson a Zora Folley, da Cleveland Williams a Brian London.
Nel ‘67 rifiuta di partire per il Vietnam. “Tutti quelli che mi volevano bene cercavano di convincermi ad accettare l’arruolamento. Mi assicuravano che non sarei dovuto andare a combattere e a uccidere nessuno e che probabilmente avrei fatto solamente esibizioni qui negli Stati Uniti. Ma mi rifiutai di fare il passo avanti, quando fui chiamato. Un ufficiale mi avvertì delle conseguenze, ma nulla mi avrebbe fatto cambiare idea. Se dovevo andare in prigione, ci sarei andato, perché se non avessi seguito le mie convinzioni, non sarei stato più libero… Non ho niente contro i Vietcong, non mi hanno mai chiamato negro”. Paga un prezzo altissimo. Gli viene tolto il titolo e non combatte per tre anni. Nel 1971 la Corte Suprema annulla la condanna. Torna sul ring e batte Jerry Quarry e Oscar Bonavena. Poi finalmente il mondiale con il detentore del titolo Joe Frazier nell’incontro del secolo. Ali perde ai punti ma riesce a vincere l’anno successivo.
Nel frattempo però il titolo era stato vinto da un altro pugile, George Foreman. Viene così organizzato un incontro il 31 ottobre 1974 a Kinshasa, Zaire, contro George Foreman, dato per favorito. The rumble in the jungle, la rissa nella giungla, uno dei più famosi incontri di boxe della storia. Anche questa volta, contro ogni pronostico, vince Ali, confermando di essere il migliore. Non danza più ma consuma pian piano il suo rivale e lo butta giù con una micidiale serie di colpi all’ottava ripresa.
Dieci minuti dopo la fine del match un violento uragano distrugge la struttura che ospitava il ring.
Poi l’ultimo confronto con Frazier. Quello definitivo. Si svolge a Manila, nelle Filippine, il 1° ottobre 1975 e viene considerato uno dei match più violenti di ogni tempo. Vince Ali alla quattordicesima ripresa. In seguito dichiara che non sarebbe riuscito a stare in piedi nella quindicesima.
Poi un lento declino. Ali rallenta la sua azione, un tempo così fulminea. Dal 1977 non riesce più a mettere al tappeto i suoi avversari. Poi affronta Earnie Shavers e lo batte ai punti in un incontro spettacolare. Ali dichiarerà in seguito che Shavers fu il più potente pugile che avesse mai affrontato. Molti attribuiscono alla violenza di questo incontro la malattia che qualche anno dopo lo avrebbe colpito. Perde il titolo nel 1978 ai punti contro Leon Spinks, riconquistandolo però nella rivincita.
Annuncia il ritiro, ma tenta un ritorno nel 1980 e nell’81, perdendo contro Larry Holmes e Trevor Berbick. A questo punto si ritira definitivamente. Nel 1984 gli viene diagnosticato il Parkinson.
Nel 1996 sarà l’ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta; nel 2012 riesce ancora a portare la bandiera americana alle Olimpiadi di Londra. Muore il 3 giugno 2016, a 74 anni di età.
Grande Ali… “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”
“Per tutta la mia vita, non ho mai cercato vendetta contro coloro che mi hanno fatto male perché credo nel perdono. Ho praticato il perdono, proprio come voglio essere perdonato. Solo Dio sa cosa c’è nel cuore di una persona, le sue vere intenzioni. Egli vede e sente ogni cosa.”
J.V.