Coppola
Coppola
“Gli farò un’offerta che non può rifiutare”
(Vito Corleone)
Per me uno dei migliori registi in assoluto. Molti Oscar, Leone alla carriera, Palme d’oro, Golden Globe, Bafta, David di Donatello… tutti i premi possibili.
Francis Ford Coppola nasce a Detroit il 7 aprile 1939, figlio del musicista Carmine e di Italia Pennino, a sua volta figlia di musicisti. Evidenti origini italiane. Suo fratello August, docente di letteratura, è il padre del noto attore Nicolas Cage, mentre sua sorella è Talia Shire che tutti conosciamo cinematograficamente come moglie di Rocky. Deve il secondo nome Ford al padre flautista in “The Ford Sunday Evening Hour”, una serie radiofonica serale di musiche da concerto della durata di un’ora sponsorizzata dalla Ford Motor Company. La poliomielite lo spinge verso il teatro e il cinema.
Pessimo e svogliato studente, bighellona in ventitré scuole diverse ma infine consegue la laurea in teatro alla Hofstra University. Poi studia cinema alla UCLA a Los Angeles. Inizia a lavorare con Roger Corman e scrive sceneggiature. Insomma si fa le ossa. La critica si accorge di lui con “Non torno a casa stasera“ del 1969 con James Caan e Robert Duvall. Vince il primo Oscar come sceneggiatore di “Patton, generale d’acciaio“, interpretato da George C. Scott.
Poi la consacrazione nel 1972 con “Il Padrino”. Scelto dalla Paramount dopo il rifiuto di Sergio Leone, Elia Kazan e Arthur Penn, Coppola deve imporsi per avere Marlon Brando, ormai in declino, come attore protagonista. Altre liti per dare il ruolo di Michael Corleone al semisconosciuto Al Pacino. I fatti daranno ragione a Coppola. Il film sarà uno strepitoso successo di pubblico e critica. Nel 1974 esce la seconda parte e poi nel 1990 la terza. Ricordo che al liceo, tra il ‘71 e il ‘72, leggo quasi di nascosto il libro di Mario Puzo. Il film mi folgora. In cinquant’anni lo avrò visto cento volte. Con mio figlio mi diverto a citare a memoria intere scene. Ovviamente lui è Michael (si chiama Michelangelo) ed io Vito. In genere gli ospiti si divertono.
Siamo di fronte ad un capolavoro assoluto. Secondo alcuni il miglior film della storia del cinema e comunque ai primi posti in ogni classifica. Alla sua uscita negli Stati Uniti il film incassa 135 milioni di dollari, frantumando il record del kolossal “Via col vento”. La pellicola fa riemergere la Paramount Pictures da una difficile situazione economica e consacra Francis Ford Coppola e il cast composto da Marlon Brando, Al Pacino, Robert Duvall e James Caan. Viene premiato con tre premi Oscar, su 10 nomination. Insieme al suo seguito è considerato una pietra miliare della storia del cinema. Tratto dal best-seller di Mario Puzo ha avuto successivamente due sequel (ottimo il Padrino II, medio il III). Brando con le guance gonfiate e la voce roca, un giovane Al Pacino apparentemente mite e in realtà già futuro capo naturale della famiglia, la musica meravigliosa di Nino Rota, nostalgia della Sicilia, tragedia greca allo stato puro. Il Padrino è un’opera sempre attuale e coinvolgente al punto da spingerci a dimenticare che i protagonisti sono feroci criminali.
Fiumi di parole sono stati spesi per letture “politicamente corrette” poco centrate. In realtà il film va visto, a mio parere, come una imponente e terribile tragedia greca nella quale non troviamo vincitori ma soltanto sconfitti. È vero invece che un tale capolavoro poteva girarlo soltanto un talento come Coppola. La sua è una terribile riflessione sulla natura umana e sulla mancanza di speranza. Don Vito piange silenziosamente quando gli riferiscono che suo figlio Michael ha ucciso Sollozzo e McCluskey perché questo significa che anche lui diventerà un criminale invece che “un pezzo da novanta” della società “onesta e rispettabile”. I dialoghi tra l’anziano boss e il figlio sono la chiave di tutto. Senza ipocrisie Don Vito esprime la sua visione della società americana e spiega il perché della sua scelta criminale, dallo sterminio della sua famiglia ad opera di Don Ciccio (col quale farà i conti in seguito) al viaggio per arrivare a New York (l’arrivo della nave nel porto americano è una delle scene più belle e toccanti), il suo tentativo subito abortito a causa di un ingiusto licenziamento, di costruirsi una vita modesta e dignitosa con la giovane moglie, il passaggio alla criminalità organizzata della quale diventerà un capo in breve tempo. Carisma, pacatezza, uso spietato della forza, silenzi o parole misurate, comprensione dei meccanismi dell’ipocrita e moralista società americana, lo portano in pochi anni a stringere alleanze con malavitosi importanti e senatori e deputati che lui tiene “nella manica”. Magistrale la sequenza iniziale del matrimonio di Costanza nella quale ad uno ad uno vengono presentati i protagonisti, dall’incazzoso Sonny al derelitto Fredo, il soldato Michael e la fidanzata Kay Adams, il fratello adottato Tom Hagen, avvocato e consigliere della famiglia. E poi Luca Brasi, killer tanto spietato quanto fedele a Don Vito, il cantante famoso Fontane nel quale molti vedono Frank Sinatra, Clemenza, Tessio, Don Barresi, Tattaglia e gli altri capifamiglia. Nel corso della festa nuziale Don Corleone risolve importanti questioni dimostrando accortezza, sagacia, prudenza e uso calcolato della forza come un qualsiasi assennato uomo di potere. Al becchino Bonasera che vuole vendetta per la figlia stuprata, Vito ricorda che lui ha scelto la società americana perbenista rifuggendo i contatti con la famiglia Corleone; l’impresario di pompe funebri, pur di avere vendetta, bacia la mano al padrino. Così inizia il film e poi si snoda su scene meravigliose che rievocano il mondo del secondo dopoguerra. Da antologia la sequenza nella quale Michael uccide Sollozzo e il capitano di polizia dentro il ristorante. Poi viene portato in Sicilia e qui incontra Apollonia, la sposa e la vede saltare in aria al suo posto. Rientra in America, sposa la vecchia fidanzata americana, regola i conti con i nemici della famiglia durante il battesimo del figlio di Constanzia e Rizzi (il neonato è Sophia Coppola). Mentre il prete recita la frase di rito “rinunci a Satana” e Michael risponde sì, i suoi killer uccidono Barresi e gli altri. Poi toccherà al genero subire la vendetta dei Corleone. La prima parte si chiude con Kay che chiede al marito se sia vero che è lui il mandante della morte del cognato. Memorabile la risposta negativa e la porta che si chiude davanti a Kay mentre Clemenza bacia la mano al nuovo padrino.
Un’altra porta si chiuderà in faccia all’ingenua (forse troppo) moglie americana nella seconda parte, quando cercherà di vedere i propri figli. Ma il nuovo padrino, malgrado gli sforzi compiuti per legalizzare le proprie attività, sarà sempre più solo e spietato al punto di far uccidere il fratello Fredo colpevole di averlo tradito. Il giorno del funerale della madre, Fredo viene eliminato. Forse persino Eschilo avrebbe da imparare qualcosa. Stupenda la ricostruzione di little Italy, l’apprendimento criminale del giovane Vito (Robert De Niro), la liquidazione del violento e sguaiato guappo napoletano Fanucci nel corso della processione, il colloquio divertente con Roberto, tanto iroso quanto pavido. E poi Cuba, Himan Roth, Las Vegas, il Nevada, senatori corrotti, crescenti dubbi del padrino… tutto girato con maestria e talento infiniti.
La terza parte, uscita nel 1990, è la più debole un po’ per la confusione dei temi narrativi legati al Vaticano e agli scandali finanziari, alla morte del papa e allo IOR, un po’ perché Coppola accetta di girare il film per rimediare al disastro di “Un sogno lungo un giorno”. Non mancano comunque momenti di grande cinema soprattutto nelle scene finali girate sulla scala del teatro Massimo di Palermo… morte della figlia al posto del padre a causa di un attentato. Il tutto scandito dalle note di “Cavalleria rusticana”.
Complessivamente siamo di fronte, lo ripeto, ad una pezzo di storia del cinema… forse il film più riuscito della seconda metà del secolo scorso.
Altro capolavoro “Apocalypse Now” del 1979. Coppola dirà “My film is not a movie. My film is not about Vietnam. It is Vietnam.“ (Il mio film non è un film. Il mio film non parla del Vietnam. È il Vietnam). Interpretato da Marlon Brando, Robert Duvall e Martin Sheen, ispirato al romanzo di Joseph Conrad, Cuore di tenebra, vincitore della Palma d’oro al 32º Festival di Cannes e di due premi Oscar nel 1980 per la migliore fotografia (Vittorio Storaro) e per il miglior sonoro (Walter Murch). Delirio dei sensi, follia, dilemma morale (guerra del Vietnam), scontro tra il male (colonnello Walter Kurtz) e il bene (capitano Benjamin Willard), discesa all’inferno, effetti devastanti che ogni guerra provoca nella psiche umana, riflessione sul modernismo reazionario (bombardamento sul villaggio vietnamita degli elicotteri del terribile e idiota Kilgore al suono della Cavalcata delle Walkirie… ”Mi piace l’odore del napalm al mattino. Una volta abbiamo bombardato una collina, per dodici ore, e finita l’azione siamo andati a vedere. Non c’era più neanche l’ombra di quegli sporchi bastardi. Ma quell’odore… sai quell’odore di benzina? Tutto intorno. Profumava come… come di vittoria.”), infinita prepotenza della superiorità tecnologica occidentale, meccanismi di sottomissione al cuore di tenebra… e molto altro ancora che i critici cinematografici hanno sviscerato in ogni modo. La vicenda è nota: durante la guerra del Vietnam il colonnello americano Kurtz si è proclamato monarca di alcuni indios e disperati nel mezzo della foresta al confine con la Birmania e con una radio lancia messaggi denigratori riguardo la politica degli USA e le sue finalità. Il comando generale USA incarica il tenente Willard di raggiungerlo ed eliminarlo in una missione segreta. Il viaggio lungo il fiume Mecong è una discesa dantesca all’inferno e l’incontro fra Willard e Kurtz è uno scontro di personalità che da fisico ed ideologico si trasforma in orrore metafisico. Tutti i temi di Cuore di tenebra di Conrad vengono magistralmente riportati sullo schermo… e anche oltre. Film meraviglioso ma terribilmente inquietante. Chi siamo veramente? In ogni essere umano esiste una parte di Kurtz? Qual è oggi il ruolo dell’Occidente? Da un lato siamo evoluti nel diritto, nella medicina, nel rispetto dell’altra metà del cielo, dall’altro il cinismo politico e un uso distorto della tecnologia ci precipitano verso l’inferno. Questo film costa caro a Coppola perché lo stato di tensione, come lui stesso ha dichiarato, lo portò sull’orlo del divorzio e del suicidio.
Negli anni ottanta produce il bellissimo film di Akira Kurosawa “Kagemusha – L’ombra del guerriero”.
Poi alcuni insuccessi commerciali portano Coppola alla vendita dei suoi studi Zoetrope per pagare i debiti. Poi il flop di “Cotton Club”, comunque un buon film, e il fiasco del pessimo “Un sogno lungo un giorno”, lo inducono a ritirarsi momentaneamente. Gira film minori e ritorna al trionfo con “Dracula di Bram Stoker” nel 1992.
Brevemente: Anno Domini 1462. I Turchi dilagano in Europa. Il cavaliere della Transilvania Vlad Ţepeş del Sacro Ordine del Dragone, conosciuto come “Draculia”, difende il mondo Cristiano. Sbaraglia e impala i turchi, ritorna in patria vincitore ma scopre che l’amatissima moglie Elisabeta, ricevuta la falsa notizia della sua morte in battaglia inviata dai vendicativi sconfitti, si è gettata nel fiume da una torre del castello. Vlad, di fronte alle parole del pope che sentenzia la dannazione eterna di Elisabeta in quanto suicida, rinnega Dio e la Chiesa, evoca le forze del male e diviene il vampiro Dracula. Primi venti minuti da urlo. Scene sontuose e ricche di pathos. Il testo del romanzo è noto. Harker in Transilvania, Dracula a Londra, Lucy e Mina, Abraham Van Helsing, manicomio, duello finale nel castello vetusto, la pace ritrovata del Conte, il ritorno della luce. Film e romanzo in realtà si differenziano in molti aspetti fondamentali. Paragone con Nosferatu di Herzog, stile impressionista, effetto a scatti, Anthony Hopkins gigantesco. Bellucci giovane e, per fortuna, silenziosa, Keanu Reeves timido e impacciato, Gary Oldman superlativo. Musiche stupende e ossessive di Wojciech Kilar.
Grazie al successo di pubblico Coppola salva la Zoetrope dalla bancarotta.
Mi fermerei qui. Posso soltanto aggiungere, per offrire al lettore altri segnali della mia ammirazione per Coppola, che è un attento e profondo studioso di Napoleone e che produce un apprezzatissimo vino “Rubicone”, a Rutheford, in California. Cosa si pretende di più da un essere umano?
J.V.