Costantini
Costantini
Autunno 1975. L’ aula è gremita e densa di fumo, fuori piove. Una varia umanità ascolta le parole di un professore di Storia Moderna. Parole chiare, parole che significano cose, che hanno un rigore logico. Parole ricche di umanità e di senso della Storia come sofferenza e, ad un tempo, speranza. Tra quegli studenti ci sono anch’io e penso che alla prima occasione dovrò ringraziare chi mi ha consigliato di seguire le lezioni del professore.
In seguito diventerà Claudio e sarà per me un fratello maggiore, una guida, un amico sincero, onesto e rigoroso. Non faceva sconti a nessuno. Nel caso troncava anche amicizie perché in lui era ferma la convinzione che ”Amicus Plato, sed magis amica veritas”. Elegante nei modi, acuto e pungente nella critica, riusciva ad affascinare anche i nemici intelligenti. Mai banale, tentava letture della realtà apparentemente poco probabili, in realtà lucidissime. Era un maestro naturale, trasmetteva il senso della Storia anche parlando del quotidiano; imparavi più da una conversazione a tavola con lui che da corposi manuali di storia (che comunque ti invitava a leggere e studiare con attenzione). Stimava un altro grande maestro di quei tempi, Francesco Cataluccio, professore di storia contemporanea, onesto, schivo, attento e sorvegliato. Dedicherà la sua Storia dell’età moderna proprio a Francesco Cataluccio perché lo riteneva uomo di altissimo profilo morale e civile.
Claudio scriveva benissimo.
La sua prosa era affascinante e rigorosa, priva di quegli inutili orpelli che abbondano in molti centoni prodotti da scadenti docenti universitari. Gli stessi scadenti docenti che lo accusavano di scrivere con taglio giornalistico. Senza rendersene conto gli rendevano un grande servizio. Tirava dritto per la sua strada, con ironia malinconica e disgusto per i tempi. Era gentile e rispettoso con tutti gli studenti, sempre disponibile. Vedeva là dove gli altri non vedono. Era un autentico filosofo prestato agli studi storici. Filosofia intesa come educazione, paideia, formazione dei giovani e degli adulti. Con riservatezza e umiltà andava dal prete di strada e raccontava la Storia ai ragazzi della comunità. Senza spocchia professorale, con semplicità e convinzione.
Ricordo le sue lezioni sulla ”Repubblica di Genova nell’età moderna” come un esempio magistrale di cosa significhi insegnare Storia. Diffidava delle questioni di metodo, diceva che chi sa la storia la insegna, chi non la conosce si occupa di didattica della storia. Aveva capito che non si può insegnare ad insegnare. Un buon maestro deve essere dotato di passione e cultura. Ne aveva da vendere. Ostentava come un vezzo il suo accento romanesco e gli serviva per lanciare le sue battute taglienti contro gli imbecilli e quelli che definiva fascisti antropologici. Assieme ad altri docenti aveva creato nella seconda metà degli anni Settanta un gruppo di lavoro di altissima qualità e di grande spessore umano: questi docenti sono stati un riferimento costante e preciso per molti studenti di quel tempo. Nemico dei luoghi comuni e di un certo politicamente corretto oggi imperante, era assai tranchant con la sinistra di maniera. Amava il paradosso come i filosofi autentici e sapeva prendersi in giro quando era il caso. Senza di lui sono più povero e più solo. Oggi viviamo il tempo delle passioni tristi, dell’incertezza e della confusione. Mi manca il sano rigore hegeliano di Costantini, la sua cultura, la sua umanità, le sue sfuriate, la sua gentilezza e buona educazione. Già, la buona educazione. Per lui, come per me, era un valore da non trascurare. Queste parole, più o meno, le avevo anche scritte su un quotidiano locale allora diretto da un bravo giornalista come Lanfranco Vaccari.
Grazie Claudio…
J.V.