ESTERNO NOTTE
ESTERNO NOTTE
Film di Marco Bellocchio girato nel 2022 e presentato in anteprima al Festival di Cannes. Secondo lungometraggio del regista sul caso Moro dopo Buongiorno notte del 2003. Con Fabrizio Gifuni (Aldo Moro), Margherita Buy (Eleonora Moro), Toni Servillo (Papa Paolo VI), Fausto Russo Alesi (Francesco Cossiga), Daniela Marra (Adriana Faranda), Gabriel Montesi (Valerio Morucci), Fabrizio Contri (Giulio Andreotti), Gigio Alberti (Benigno Zaccagnini).
Ottimo film destinato comunque, e non poteva essere diversamente vista l’importanza enorme del tema, a suscitare polemiche e vivaci diatribe. Protagonista la Pìetas che illumina il cammino della Via Crucis del superlativo Gifuni/Moro nell’Italia del 1978. Realtà e sogno si mescolano continuamente in mezzo a comizi, pallottole, brigatisti tanto esaltati quanto ignoranti, giochi di potere internazionali, sofferenze private e segreti di Stato. Poi la sofferenza di Paolo VI, il bipolarismo di Cossiga, il cinismo di Andreotti, le difficoltà politiche di Berlinguer e le aperture di Craxi alla possibilità della trattativa. Bellocchio orchestra il tutto con coraggio e mano ferma, consapevole che la sua opera riaprirà vecchie ferite non cicatrizzabili in questo povero e martoriato paese. Il caso Moro è la tragedia italiana per eccellenza. Cinquantacinque giorni misero a dura prova le nostre coscienze e chi, come me visse quei momenti, ne rimase ferito. Il Paese era in stallo, ingovernabile e in mezzo ad una paurosa crisi internazionale. L’amministrazione americana era decisamente contraria al disegno di Aldo Moro consistente nell’ avvicinamento del PCI all’area di governo. Dopo il sequestro toccò a Berlinguer impugnare, a torto o a ragione, il vessillo della fermezza dopo che i sindacati avevano chiarito al premier Andreotti un punto essenziale: l’uccisione di cinque lavoratori in divisa non lasciava spazio a trattativa alcuna. La DC, timorosa di un sorpasso in caso di elezioni anticipate, sposò la stessa linea. Fu una scelta squisitamente politica, non certo etica. Così Aldo Moro, probabile futuro Presidente della Repubblica, venne trasformato in cadavere. Quei cinquantacinque giorni sono ancora presenti nella nostra vita e il film di Bellocchio impone una presa di posizione, ci ricorda i nostri tormenti giovanili, le speranze frantumate e il salto verso la durissima realtà. Ricordo… Roma, 16 marzo 1978, il nuovo Governo guidato da Giulio Andreotti sta per essere presentato in Parlamento ed ottenere la fiducia. In via Fani l’auto che trasporta il Presidente Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei deputati, viene intercettata e bloccata in via Mario Fani da un nucleo armato delle Brigate Rosse. Sono le 9.02. In tre minuti avviene tutto. Cinque uomini di scorta vengono uccisi e il Presidente sequestrato. Alle 10.10 una telefonata all’ANSA
”Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana Moro ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato. Firmato Brigate Rosse.”
Ricordo perfettamente. Avevo ventun anni, in jeans e maglione verde con i miei amici e compagni andavo all’università. Costernazione. Si capisce subito che nulla sarà come prima. Il fatto è gravissimo. Lucio Magri è uno dei pochi a mantenere i nervi saldi ed è contrario all’emanazione di leggi liberticide e reazionarie. Alle 10:30 CGIL, CISL e UIL proclamano lo sciopero generale dalle 11:00 a mezzanotte. Intanto nelle fabbriche e negli uffici i lavoratori annunciano scioperi spontanei e vengono presidiate le sedi dei partiti. Qualche imbecille a Balbi 4 (facoltà di Lettere, storia e filosofia di Genova) brinda. Alle 10:50, tramite messaggio all’ANSA la colonna brigatista Walter Alasia chiede entro 48 ore la liberazione dei loro compagni detenuti a Torino, oltre a quelli di Azione Rivoluzionaria e dei NAP, specificando che in caso contrario ucciderà l’ostaggio. Due giorni dopo, mentre in San Lorenzo al Verano si celebrano i funerali degli uomini della scorta, viene fatto ritrovare il primo dei nove comunicati che le BR invieranno durante i 55 giorni del sequestro “Giovedì 16 marzo, un nucleo armato delle Brigate rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali, è stata completamente annientata. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese – dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l’accordo a sei – ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.” Sono sufficienti poche righe per comprendere il delirio di onnipotenza di questi esaltati.
Il PCI viene invece visto dai brigatisti come un concorrente da battere per ottenere il monopolio politico della sinistra. Un obiettivo simile a a quello della RAF tedesca e un parallelo con il sequestro di Hanns-Martin Schleyer. Il vero bersaglio dei brigatisti pare fosse in prima battuta Giulio Andreotti ma venne accantonato perché godeva di una fortissima protezione armata. Durante la prigionia Moro scrive diverse lettere ”Caro Zaccagnini, scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell’immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m’ero tanto adoperato a costituire.”
(Lettera a Benigno Zaccagnini recapitata il 4 aprile.)
Ancora “Siamo ormai credo al momento conclusivo… Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione… vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento… si deve rifiutare eventuale medaglia… c’è in questo momento un’infinita tenerezza per voi… uniti nel mio ricordo vivere insieme… vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo.”
(Lettera alla moglie Eleonora del 5 maggio 1978)
In tutto scrive 86 lettere ai principali esponenti della Democrazia Cristiana, alla famiglia, ai più importanti quotidiani e al Papa Paolo VI. Molte contengono messaggi criptici, altre sono chiarissime
”Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro… I comunisti non dovevano dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che mi ero tanto adoperato a costruire… Vi è forse, nel tener duro contro di me, un’indicazione americana e tedesca?”
Cossiga e Andreotti considerano le lettere “non moralmente autentiche” e scritte probabilmente sotto imposizione. La realtà effettuale smentisce questa ricostruzione. Moro non viene torturato o minacciato durante il sequestro.
Il 22 aprile Paolo VI, amico personale di Moro, rivolge un drammatico appello pubblico col quale supplica “Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile, l’onorevole Aldo Moro […] Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo. […] vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità.”
La politica si spacca tra partito della fermezza e partito della trattativa. Ugo La Malfa invoca la pena di morte per i brigatisti, PCI e MSI, sia pur con diverse motivazioni, sono irriducibili e fermi sulla linea del no come larga parte della stessa DC. Craxi, i radicali, la sinistra libertaria, i cattolici progressisti lavorano per la salvezza di Moro. Tra i più acuti e lucidi lo scrittore Leonardo Sciascia e il senatore Umberto Terracini favorevoli al dialogo, punti di riferimento per me e alcuni miei compagni. Poi il comunicato n.9 “Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato”.
Il 9 maggio, dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un ”processo del popolo”, Aldo Moro viene assassinato per mano di Mario Moretti, con la complicità di Germano Maccari. Il cadavere viene ritrovato il giorno stesso in una Renault 4 rossa in via Caetani, in pieno centro di Roma. Cossiga si dimette da Ministro dell’interno. La famiglia Moro rifiuta ogni celebrazione ufficiale “Nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso: nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglia alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia”.
Con la morte di Aldo Moro si apre la vera crisi del paese. Arretramento elettorale del PCI e fine dei governi di solidarietà nazionale. La DC governa ancora qualche anno, poi il pentapartito. Poi inizia la stagione giustizialista e… mi fermo qui.
“l’organizzazione era pronta per il 16 mattina, uno dei giorni in cui l’on. Moro sarebbe potuto passare in via Fani. Non c’era certezza, avrebbe anche potuto fare un’altra strada. Era stato verificato che passava lì alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse lì sempre. Non c’era stata una verifica da mesi. Quindi il 16 marzo era il primo giorno in cui si andava in via Fani per compiere l’azione, sperando, dal punto di vista operativo, ovviamente, che passasse di lì quella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse ritenuto che la presenza di tutte queste persone, su quel luogo per più giorni, avrebbe comportato sicuramente il rischio di un allarme.”
(Valerio Morucci di fronte alla Corte d’Appello di Roma).
Per chi volesse approfondire suggerisco
Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, Adelphi
Marco Belpoliti, Da quella prigione, Guanda
Simona Zecchi, La criminalità servente nel Caso Moro, La nave di Teseo
Paolo Cucchiarelli, L’ultima notte di Aldo Moro, Ponte alle Grazie
Giovanni Fasanella, Il puzzle Moro, Chiarelettere
Infine qualche altro film
Giuseppe Ferrara, Il caso Moro, 1986
Marco Bellocchio, Buongiorno, notte, 2003
Renzo Martinelli, Piazza delle cinque lune, 2003
“Si può sfuggire alla polizia italiana – alla polizia italiana così come è istruita, organizzata e diretta – ma non al calcolo delle probabilità. E stando alle statistiche diffuse dal ministero degli Interni, relative alle operazioni condotte dalla polizia nel periodo che va dal rapimento di Moro al ritrovamento del cadavere, le Brigate rosse appunto sono sfuggite al calcolo delle probabilità. Il che è verosimile, ma non può essere vero e reale.” (Leonardo Sciascia)
È sempre stato il mio pensiero.
Ho apprezzato molto il film di Bellocchio per il rigore e l’onestà intellettuale, per la Ragione e il Sentimento, ma, soprattutto, perché mi sono ritrovato nel 1978 e ho rivissuto la rabbia e l’impotenza di allora, il disgusto nei confronti di ignoranti che si sono arrogati il diritto di decidere per noi tutti senza rispettare niente e nessuno e mettendo così in minoranza quanti avrebbero voluto combattere con le armi della democrazia e della libertà. Un film lucido, di forte impatto emotivo, intelligente e rigoroso. Le polemiche sono d’obbligo ma non possono scalfire un’opera monumentale.
J.V.