Gadda
Gadda
“Non per nulla, gl’interessi enciclopedici dell’Ingegnere coincidono (fino al delirio di riversare tutta la Funzione nell’Espressione) coi manifesti tracciati due secoli fa dagli impeccabili fratelli Verri e da Cesare Beccaria, risoluti a insultare programmaticamente la Crusca in nome di Galileo e di Newton, cioè a sviluppare una cultura extraletteraria cosmopolita e un pensiero intellettuale «assolutamente moderno» a dispetto della grammatica arcaica dei Pedanti, trasgredendo al purismo imbecille che caldeggia l’impiego di qualsiasi grulleria del Piovano Arlotto per definire prodotti e nozioni del nostro tempo”
(Alberto Arbasino, Genius Loci)
Carlo Emilio nasce a Milano nel 1893. Ingegnere elettrotecnico. Inizialmente confuso con banali neorealisti. In realtà appartiene ai grandi macaronici quali Folengo e Rabelais. Miscela di elementi linguistici disparati espressivi di temi grotttesco-strazianti di un mondo in caduta libera. Lombardo sino al midollo e di statura internazionale ad un tempo. Dalla Brianza sudamericana della Cognizione del dolore alla Roma poliziesca del Pasticciaccio. Incompiuti e frammentari. Un Joyce italiano assimilabile al francese Céline e al tedesco Grass. Pertanto si sconsiglia, come sempre, dalle facili quanto inopportune letture squisitamente e squallidamente politichesi. Meglio attestarsi su posizioni nostalgico-dolenti. Un uomo deluso dalla Storia e dalla storia. Distruttore della borghesia e ad un tempo gran signore conservatore e reazionario come è giusto che sia quando un mondo crolla sotto i colpi di idiozia e dilettantismo e si tenta di salvare il salvabile. Fortunatamente poco preoccupato di “andare incontro al lettore” gli spara davanti atroci verità esistenziali e lo costringe ad uscire dalla massa anonima. Conflitto linguistico di dialetti che cozzano tra loro per rimarcare la crudezza della vita. Sentiti ringraziamenti a Contini ed Arbasino, veri esegeti del Gran Lombardo. Il fluire continuo dello scritto di Gadda, il paludamento funebre celano il dolore profondo. Le rare lacrime di Gadda sono vere al contrario delle finte lacrime di masse adoranti l’ultimo patetico imbecille di turno che propina storielle sdolcinate. Uno degli ultimi Maestri. Oggi sarebbe bersaglio delle sciocchezze politicamente corrette perché decise di partire volontario nel 1915. O forse no. Gadda richiede impegno, sudore e fatica. Non è di lettura agevole.
“la derisoria violenza della sua scrittura esplodeva esasperata, contestando insieme il linguaggio e la parodia, tra il ron-ron rondesco-neoclassico- fascistello e il pio-pio crepuscolare-ermetico-pretino, in schegge di incandescente (espressionistica) espressività… Proprio come per Rabelais e per Joyce che gli sarebbero poi stati accostati, «a braccio» e «a orecchio», i suoi messaggi fanno a pezzi ogni codice, spiritate e irritate, le sue invenzioni verbali dileggiano significati e significanti; devastano ogni funzione o finalità comunicativa; rappresentano innanzitutto se stesse, e i propri fantasmi, in un foisonnementinaudito e implacabile di spettacolari idioletti… La complessa ricchezza linguistica e tematica dell’opera gaddiana, così visceralmente composta e tramata, e sardanapalesca, e pantagruelica, continua a sollecitare una pluralità di letture, a diversi livelli, lungo differenti parametri, secondo i più svariati presupposti e pregiudizi: a costo di razionalizzare fin troppo lucidamente attraverso nitidi procedimenti di schede e di referti quel suo atrabiliare viluppo di fantasticate irrisioni e di furie compossibili. (Alberto Arbasino, Genius Loci)
Mi piace ricordare che Gadda studiò filosofia con Piero Martinetti. Diede brillantemente tutti gli esami e scrisse la tesi sui
Nouveaux Essais sur l’entendement humain di Leibniz.
Per oscuri, o forse non tanto, motivi non volle laurearsi.
Infine un breve pezzo dell’introduzione di Gianfranco Contini a La cognizione del dolore
“Dopo i tempi di Parini e Manzoni i capomastri liberty hanno riempito quei clivi dei milioni di pinnacoli, altane e minareti su cui l’ultimo celebratore delle villeggiature lombarde spande la piena delle sue beffe. Ma l’epifania del nome-chiave, incorniciandosi nel momento lirico, anzi proprio legandosi all’elegia in cui si esprime la dolente simpatia retrospettiva dell’autore, indica una reale prevalenza del segno più, e così già fornisce un indizio di come si sciolga il nodo del libro. Perché il sentimento dominante in Gonzalo è l’astio verso la famiglia, che ispira i maltrattamenti alla madre e culmina nel rito del ritratto paterno calpestato (rito che è rievocato da ognuno dei punti di vista della narrazione). Sembrando accertato che non si fa poesia coi bons sentiments ma neppure coi mauvais in quanto tali, il ricorso a una sorta di teodicea estetica si palesa necessario ogni volta che le funzioni di musa siano delegate al rancore. In Dante l’odio è trasceso e si estingue nell’amministrazione teologica della giustizia. E se il moderno più intossicato è Robert Musil, l’uomo che annota di non saper posare lo sguardo sulla moglie senza sconvolgersi al pensiero del primo marito che la gonfiò del suo seme, e se egli attinge a simili veleni per tanta parte dell’Uomo senza qualità, ai suoi apologeti toccherà pure di descriverne la sublimazione in termini persuasivi. Quanto alla vicina di Gonzalo, Mademoiselle Vinteuil, gli insulti inferti all’oggetto del massimo amore si sa che servono a staccare in lei la peccatrice da ciò che è «anima tenera e scrupolosa»; e perciò ella assolve da parte sua la missione proustiana di cristallizzazione scientifica per cui la materia meno assistita dalla grazia si compone nella purezza della conoscenza, anzi proprio della legge. E il titolare della Cognizione?”
Due sono i tormenti di Gadda: la morte dell’amato fratello Enrico nel 1918 e il rapporto assai conflittuale con la madre. Si dispensa da facili letture psicoanalitiche.
J.V.