Gola

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa». E più non fé parola.
Dante, Inferno, VI, Vv 52-57

Il peccato di gola coincide con un desiderio d’appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento. É un’irrefrenabilità, un’incapacità di moderarsi nell’assunzione di cibo o, più in generale, nell’oralità (in questo senso alcoolisti e i fumatori accaniti commettono peccato di gola).

La gola è il desiderio di ingurgitare più di quanto l’individuo necessiti, è l’ingordigia di cibi e bevande, condannata sia in quanto esempio di sfrenatezza e di lascivia al posto della modestia e del controllo di sé, sia come ingiustizia sociale in contrapposizione a coloro che soffrono la fame. È uno dei sette peccati capitali. I simboli che rappresentano la gola sono il maiale e il colore arancione.
San Tommaso offre la giusta definizione del vizio capitale della gola. Si tratta della brama abituale e disordinata di cibi e bevande raffinati e ricercati, disordine e desiderio intenso, bramosia, smania di arrivare più presto possibile all’incontro con il cibo, mangiare con avidità più di quanto sia necessario.
In realtà provare soddisfazione nei cibi, anzi ricercarne momenti gradevoli non è per nulla un peccato. Gesù stesso ci presenta il suo Regno come un gran banchetto, pieno di ogni bene.
Coloro che invece fanno del proprio ventre il centro dei loro desideri, gozzovigliano continuamente, sono ingordi e avidi, commettono peccato. Infatti Gesù racconta la parabola del ricco epulone: “C’era una volta un uomo molto ricco, vestito sempre di gran lusso, il quale si dava ogni giorno a lauti banchetti, con parenti e amici. Il mangiare lautamente era diventato lo scopo della sua vita. Ci si domanda come abbia fatto a non accorgersi che al limitare della sua porta un certo Lazzaro, coperto di piaghe, stava lì in attesa di qualche boccone che cadeva dalla tavola imbandita. Nessuno lo raccattava per lui. Soltanto i cagnolini erano diventati suoi amici, gli leccavano le piaghe, gli spartivano i loro bocconcini e si lasciavano accarezzare da lui. Conosciamo l’orribile sorte riservata al ricco senza cuore e quella bellissima toccata a Lazzaro” (cf Lc 16,19-31).
Già Aristotele definiva il peccato di gola gli “abiti del male”. A ben pensare il peccato di gola in effetti, ha radici primordiali: esso ci riporta alla nostra iniziale insita animalità,
è un peccato che esaspera il nostro radicato desiderio di “appagamento immediato del corpo”, attraverso l’utilizzo di qualsiasi mezzo che crei il piacere della soddisfazione, è un peccato profondamente esistenziale, perché va alla radice del suo Io, e, di conseguenza, lo condiziona.
Questo bisogno di piacere, la costante necessità di tenere vivo l’appagamento dei sensi, è insita già nell’uomo primitivo.
Scrive Umberto Galimberti:
Perché è così difficile darsi una misura nell’assunzione del cibo? Perché gusto e olfatto sono i sensi più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza. Per questo la gola, più che un vizio capitale, è un richiamo alla nostra animalità, il retaggio della nostra antica condizione.

I primi peccatori di gola, e di superbia, sono a ben vedere, Adamo ed Eva! Tutto potrebbe essere cominciato con il piacere curioso di Eva che, con “l’acquolina in bocca” “vide che l’albero proibito aveva dei bei frutti da mangiare”(Genesi, 3).
La tentazione del piacere del cibo la troviamo anche nella parabola dove Satana cerca di allettare Gesù, dopo il suo digiuno di quaranta giorni nel deserto, cominciando proprio dalla gola: offrendogli la trasformazione delle pietre in pane (Lc 4, 1 – 13).
Abbiamo anche numerosi esempi di esaltazione, per contro, del peccato di gola:

Di tutte le passioni, la più complicata, la più difficile a praticare in modo superiore, la più inaccessibile ai comuni mortali, la più sensuale nel vero senso della parola, la più degna degli artisti più raffinati, è sicuramente quella che riguarda il piacere della gola.
(Guy de Maupassant)

La golosità ha sull’amore mille vantaggi. Ma il più importante è che, mentre bisogna essere in due per abbandonarsi all’amore, si può praticare la golosità da soli, anche se l’abate Morellet ha detto: “Per mangiare un tacchino al tartufo bisogna essere in due: il tacchino e se stessi”.
(Guy de Maupassant)

Solo gli imbecilli non sono ghiotti… si è ghiotti come poeti, si è ghiotti come artisti…
(Guy de Maupassant)

Come ho già riportato ieri:
Gola, accidia, lussuria: queste sono le tre virtù cardinali, le virtù della festa. Il paradiso sulla terra.
(Jean-Louis Bory)

E ancora:
Il piacere della gola risiede nella squisita delicatezza del palato e nella molteplice sottigliezza del gusto, che può solo comprendere un anima sensuale cento volte raffinata.
(Guy de Maupassant)

Stupenda poi la fiaba del merlo goloso:
Una mattina il merlo vide un pentolino su un davanzale.
Il merlo si avvicinò subito al pentolino per curiosare.
Dentro al pentolino il merlo vide una crema gialla come l’oro e profumata come un fiore.
Quella crema lo tentava e non ci pensò due volte: il merlo mangiò la crema gialla.
Mentre se ne stava con il becco golosamente immerso nel pentolino, alla finestra si affacciò una vecchietta che era una Fata.
La Fata sgridò il merlo perché aveva mangiato la sua crema, batté le mani e pronunciò parole misteriose.
Il tegamino scomparve, la crema andò in fumo, ma il merlo non riuscì a pulirsi il becco.
Da allora tutti i merli hanno il becco giallo; perciò ogni volta che un merlo passa, gli altri uccelli si raccontano sottovoce quella vecchia birbonata.
(Italo Calvino)

Una vera difesa viene da Guido Ceronetti:
Il vero, nudo vizio della Gola non è la passione per la quantità, né per la raffinata elaborazione, né per la magnificenza superflua o la sanguinosità-alcolicità-zuccherosità degli alimenti. Queste sono caricature; elementi da pittura morale, gesta antiche del ventre, volgarità ricorrenti, orrori da ridere, letteratura trimalcionica. La Gola è una passione quasi astratta. L’oggetto può essere umilissimo e scarsissimo. Ma è la pregustazione gioiosa, l’attesa misteriosa e tacitamente smaniante, senza speciale impulso di fame, ad annunciare il vizio.

E ancora, altre perle di saggezza:
La golosità comincia quando non si ha più fame.
(Alphonse Daudet)

La gola è un vizio che non finisce mai, ed è quel vizio che cresce sempre quanto più l’uomo invecchia.
(Carlo Goldoni)

Credo che il tema del cibo non sia di natura alimentare ma esistenziale perché riguarda l’accettazione del sé. Essere grassi in una società che predilige i magri equivale ad una auto-esclusione sociale. Infatti le discipline che un tempo servivano per salvare l’anima – mortificazione, astinenza, digiuno – oggi vengono reintrodotte sotto forma di esercizi, diete, moderazione e misura, non esclusivamenta per garantire la salute fisica ma soprattutto per salvare l’identità individuale ed essere accettati dagli altri. Ovviamente spesso le diete falliscono e cosí viene messa in discussione la tenuta psichica del soggetto. Molte adolescenti, in fase di costruzione dell’identità divengono anoressiche perché vivono il cibo come un pericolo. I quaranta chili di peso rappresentano il loro sogno, il rifiuto del cibo il loro vanto. Oppure scoprono che si può mangiare senza ingrassare… basta vomitare quando non si resiste al desiderio di mangiare. Col cibo si combatte l’angoscia nichilistica e si colma il vuoto esistenziale. In realtà non si colma proprio nulla e, come si dice “Uccide più la gola della spada”.

La società occidentale attribuisce una immensa importanza all’immagine estetica e se quest’immagine non corrisponde ai canoni di bellezza correnti, l’obesità si trasforma in un modello negativo di personalità, gettando nella disperazione chi ha già problemi esistenziali. A mio avviso la cura per i peccati di gola consiste nel condurre una vita ricca e gratificante.

Tento una difficile conclusione:
In una vita buona deve esistere un equilibrio tra le diverse attività, e nessuna di esse deve essere spinta al punto da rendere impossibili le altre. Il goloso sacrifica tutti gli altri piaceri a quello del mangiare, e così facendo diminuisce la felicità complessiva della sua vita.
(Bertrand Russell)

È sorprendente che la razza umana abbia sottratto tempo a sufficienza dal pensiero del cibo o del sesso per creare le arti e le scienze.
(Mason Cooley)

PS Invito tutti a leggere Rabelais… ovviamente!

J.V.

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