Gramsci
Gramsci
La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri. (Antonio Gramsci)
“Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.”
(Motto della testata Ordine nuovo)
Antonio nasce ad Ales, un piccolo paese della Sardegna, nel 1891, da famiglia di origini albanesi. A due anni viene colpito dal morbo di Poth. Da adulto non raggiunge il metro e mezzo di altezza e le sue condizioni di salute saranno sempre precarie. Suo padre Francesco viene arrestato il 9 agosto 1898, con l’accusa di peculato, concussione e falsità in atti, e il 27 ottobre 1900 condannato al minimo della pena con l’attenuante del “lieve valore”: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta. Questo significa povertà per la famiglia. Grazie alla riabilitazione quattro anni dopo Francesco può ritornare a lavorare e l’assai promettente Antonio finisce il liceo. Grazie ad una borsa di studio, si trasferisce a Torino e studia lettere. Anni duri scanditi da fame, freddo e povertà estrema… “la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata”. Legge molto, studia severamente ed è imbevuto di cultura sostanzialmente crociana.
L’iscrizione al partito socialista gli permette di frequentare i coetanei Tasca, Togliatti, Terracini… “uscivamo spesso dalle riunioni di partito […] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci […] continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell’impossibile e del sogno”.
Non termina gli studi perché assorbito dalla militanza politica nel movimento socialista. L’entusiasmo per la rivoluzione bolscevica è all’origine dell’«Ordine Nuovo», periodico fondato nel 1919. La rivista ha grande rilevanza politica e propone nuclei di democrazia operaia diretta nelle commissioni interne dei consigli di fabbrica. Il gruppo ordinovista concorre a costituire per scissione dal Partito socialista, il Partito comunista d’Italia a Livorno, nel 1921. Dopo due anni di attività nell’Internazionale comunista (Mosca, Vienna), Gramsci diviene segretario generale del partito nel 1924, anno in cui viene eletto deputato e dà vita a «L’Unità. Quotidiano degli operai e dei contadini». In Russia conosce Giulia Schucht, violinista, bella, alta, irraggiungibile. Diventerà sua moglie nel 1923 e avranno due figli, Delio e Giuliano.
Il 12 febbraio 1924 esce a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l’Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l’Ordine nuovo. Il titolo del giornale deriva dalla necessità dell’”unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo”.
Arrestato nel 1926, malgrado goda dell’immunità parlamentare, viene condannato nel 1928 dal tribunale speciale fascista a vent’anni di reclusione. L’accusa è di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe.
Il pubblico ministero Michele Isgrò afferma testualmente “(bisogna) impedire a questo cervello di funzionare”. In prigione, a Turi, malgrado le durissime condizioni di vita, inizia la stesura dei Quaderni del carcere. Nel ‘32 grazie ad un provvedimento di amnistia per il decennale del regime fascista, gli viene diminuita la pena a dodici anni. Il suo fisico, già debolissimo, non regge la dura detenzione. Grazie ad una campagna internazionale di sensibilizzazione organizzata da Romain Rolland e Henri Barbusse, viene trasferito in clinica a Foggia, poi a Roma nel ‘35. Rilasciato nell’aprile ‘37 muore qualche giorno dopo a causa di quanto subito per dieci lunghi anni, il 27 dello stesso mese, a soli quarantasei anni. I Quaderni verranno pubblicati postumi dopo la seconda guerra mondiale seguendo un criterio di suddivisione per temi. Poi innovativa edizione critica di Valentino Gerratana secondo l’ordine cronologico di stesura che evidenzia il carattere frammentario e antidogmatico di Gramsci.
Riflette sul materialismo storico e sulla semplicistica degenerazione del Diamat, perniciosa per le sorti stesse del comunismo. Diffida della semplificazione positivista e pensa in termini entusiastici allo storicismo crociano come punto più alto della cultura europea. È convinto della funzione magistrale dei grandi intellettuali nella vita degli Stati. La linea da seguire per lui è quella Hegel-Marx-Croce, dove la Filosofia si risolve in immanentismo assoluto senza residui metafisici. Il problema che Gramsci si pone è quello di trasformare un gruppo sociale subalterno, privo di iniziativa storica come la classe lavoratrice, in una forza egemone produttrice di storia. In questo contesto diviene decisivo il ruolo degli intellettuali. Essi devono formare un gruppo egemonico che esprima alta cultura e che abbia un legame organico con le classi lavoratrici. “La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente”.
Un pensiero paradossalmente più gentiliano che crociano. Il debito culturale di Gramsci nei confronti di Gentile è cospicuo e quindi, come avviene per i debiti non onorati, viene occultato. Una lettura seria e non ideologica dei Quaderni rivela il nesso tra l’io gentiliano e l’io gramsciano, un io pratico, attivo, creatore, un io protagonista del materialismo storico inteso come passione etico-politica. L’astuto e cinico Palmiro Togliatti ne era consapevole al punto da ridurre i Quaderni a blocchi argomentativi. Occorre ricordare che Gramsci, in carcere perché fieramente antifascista, non godeva del favore degli stalinisti. L’encomio post-mortem nei suoi confronti è tipico della nomenclatura, ma la verità è che a Mosca negli anni trenta Gramsci non è per nulla amato e il suo vecchio amico Palmiro lo sa benissimo. Per Gramsci, come per Gentile, esiste identità di storia e filosofia, di filosofia e storia della filosofia, di filosofia e politica. Per Gramsci, come per Gentile, tutta la storia si risolve in storia contemporanea. E in effetti così deve essere come spiegava il bravissimo Francesco Cataluccio. Se penso a quante stupidaggini ho ascoltato negli ultimi trent’anni sulla storia contemporanea e sull’esigenza di “maggior informazione sugli ultimi avvenimenti” (sic!). La Storia è sempre storia contemporanea, anche quando è storia greca, romana o del Seicento. Gli “ultimi avvenimenti”, come li chiamano gli ignoranti ciarlieri, non sono Storia ma cronaca.
La grandezza di Gramsci consiste nell’aver spostato la riflessione dalla struttura alla sovrastruttura, consapevole che la realtà è prodotta dall’idea e non viceversa. La prassi non è un atto deterministico ma un atto di libertà (pensiero crociano per eccellenza).
Gramsci riflette sulla storia d’Italia, sul ruolo cosmopolita degli intellettuali italiani dalla caduta dell’impero romano all’Illuminismo, sui motivi della ritardata unificazione nazionale, sull’arretratezza economica. Importanti le note sulla frattura tra religione e popolo, sulle carenze della cultura laica e l’incapacità degli intellettuali cattolici e laici di elaborazione di un moderno umanesimo educativo per gli incolti.
Purtroppo la sua speranza di una rinascita etico-politica grazie al ruolo della classe operaia non si è concretizzata. Su questo punto si apre un altro triste capitolo della storia nazionale e non sono trascurabili le osservazioni di Pasolini negli anni Settanta.
La cultura come la intende Gramsci (Hegel, Marx, Croce e Gentile) è stata ed è, malgrado tutto, il mio orientamento, la bussola indispensabile. Non elimina la sofferenza ma ti consente di soffrire ad un livello più alto, come sostiene Don Benedetto. I tempi tristi in cui viviamo verranno ricordati come i tempi dell’incultura, del pressappochismo, della volgarità, del fraintendimento. Tempi in cui gli asini deridono i leoni, verità e menzogna si scambiano, giustizialisti e forcaioli si atteggiano a supremi depositari della morale pubblica. Tempi di gogne mediatiche in cui molti, spesso in buona fede, pensano di combattere battaglie moralistiche e non si accorgono che il vero pericolo si annida in questa forma di ignoranza trasversale derivante dalla morte della scuola. Oggi più che mai avremmo bisogno di intellettuali come Gramsci… che magari verrebbe criticato in nome del politicamente corretto non per le sue idee ma per il rapporto con le sorelle Schucht. Tempi ridicoli ma anche terribilmente pesanti.
J.V.