Hume
Principe dello scetticismo. Nasce da gentiluomo scozzese e contrasta lo stereotipo del filosofo magro ed emaciato. Corpulento e pesante, apparentemente insignificante. Studia diritto contro la sua volontà. Innamorato della filosofia sin da ragazzo, innamorato – peggio per lui – di Cicerone. Poi si ammala di grave depressione. Quattro anni di calvario. Terminati gli studi lavora presso un mercante di zuccheri a Bristol. Deluso dal lavoro, si trasferisce in Francia e scrive Il Trattato sulla natura umana. Delusione dal momento che la sua opera viene ignorata. I Saggi morali e politicivengono accolti meglio ma non gli valgono la cattedra universitaria per l’ostilita degli ambienti ecclesiastici. Diviene uomo di compagnia di un marchese malato di mente, segretario di un generale e pubblica Ricerca sull’intelletto umano e Ricerca sui principi della morale con modesto successo. Infine diviene bibliotecario della facoltà di legge di Edimburgo. Altre accuse di deismo, scetticismo e ateismo. Campagna denigratoria contro di lui. Scrive la Storia dell’Inghilterra, opera che gli assicura la fama. Dopo cinque anni torna a a Parigi come segretario dell’ambasciata e finalmente ottiene riconoscimento internazionale grazie a Madame Pompadour.
Conduce una vita favolosa, l’età dei lumi lo accoglie con ogni onore, le dame dell’alta società si contendono il filosofo. Spesso si trova all’Opéra circondato da stupende signore ma egli stesso di definisce un “corteggiatore che non preoccupa né mariti né madri”. Non si sposa perché vuole dedicare tutto il tempo agli studi. La sua natura timida lo porta via dal mondo dorato di Parigi e rientra in Gran Bretagna con la carica di sottosegretario agli Esteri. Finalmente si ritira a vita privata ad Edinburgo, circondato da amici, libri e pentole. Muore nel 1776 “nella completa pace dello spirito” come scrive Adam Smith, suo strettissimo amico.
La sua battaglia contro il razionalismo metafisico è famosa. Il suo pensiero è la massima forma dì scetticismo del mondo occidentale. Empirista sino al midollo, propone di gettare nel fuoco ogni libro di Metafisica. L’intelletto umano, secondo lui, deve limitarsi al finito fenomenico. Un empirista tutto d’un pezzo, nemico della filosofia continentale. Si scaglia con veemenza contro innatismo, sostanza, io e Dio. Restano soltanto le impressioni sensibili e la conoscenza deve fondarsi su esse. Il suo scetticismo sarà utilissimo alla riflessione kantiana “l’avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, primo mi svegliò dal sonno dogmatico e dette tutt’altro indirizzo alle mie ricerche nel campo della filosofia speculativa“. Hume si interroga sul nesso causa-effetto; nella vita reale agiamo come se la relazione causale esistesse, ma essa non è una certezza reale e la ragione umana non può provarla. Ciò che determina le nostre azioni è l’abitudine, la credenza. Pensiamo che ad una certa causa segue un sicuro effetto ma questo è un inganno. Con Hume si celebra il funerale dell’Illuminismo, il lume della tanto decantata ragione si vede franare il terreno sotto i piedi. Tutto è ignoto, incerto. Ci resta soltanto la sospensione del giudizio. Lo scozzese comprende la gravità di quanto sostiene: vuole navigare con una nave piena di falle. Sarà Kant a superare la sua posizione con parole lapidarie “per mettere al sicuro il suo legno, lo trasse a spiaggia (lo scetticismo) dove poteva rimanere a marcire”.
Hume porta alle estreme conseguenze lo scetticismo di Berkeley (Esse est percipi), scuote le fondamenta della razionalità illuministica, scrive e vive con equilibrio, buon senso comune, profonda capacità di analisi. I miei studi mi hanno portato su altri lidi ma ho sempre visto con estrema simpatia questo uomo buono, intelligente, profondo. La sua scepsi è un punto di partenza ineludibile.
Ricordo le discussioni sui suoi saggi col professore di filosofia teoretica Alberto Moscato e poi, anni dopo, con uno dei maggiori esperti dell’inquietante filosofo perbene: Flavio Baroncelli.
J.V.