Il cacciatore
Il cacciatore
Il cacciatore (The Deer Hunter) è un film del 1978 diretto da Michael Cimino.
Sebbene non sia propriamente un film di guerra, è ritenuto uno dei più celebri in tale genere. Notevole il contrasto tra le inquietanti immagini belliche e quelle di vita quotidiana dei protagonisti. Considerato uno dei massimi capolavori del cinema mondiale, il film ha ricevuto 9 nomination ai premi Oscar del 1979, vincendone 5 tra cui quello per il miglior film.
Film sull’amicizia, il ritorno a casa, la durezza della guerra e la fine delle illusioni. Cimino, regista di talento visionario, assai amato e molto discusso, costruisce un autentico capolavoro per universale consenso. Alla presentazione del film al festival di Berlino un gruppo di giovani di estrema sinistra lo accusò di essere reazionario a causa della descrizione terribile dei vietcong torturatori. In realtà Cimino non intende offrire letture ideologiche ma soltanto (e non è poco) descrivere la tragedia di una sporca guerra che, come tutte le guerre, poteva essere evitata. Come “Il padrino”, inizia con una lunga scena di matrimonio, poi descrive la vita quotidiana di alcuni operai ucraini scandita dal lavoro, le bevute al pub, la caccia al cervo. All’improvviso tre di loro, Mike, Nick e Steven si trovano gettati nell’inferno vietnamita. Memorabili le scene della roulette russa, la tortura, la caduta nel fiume. E poi l’inferno di Saigon, il colpo solo col quale il cacciatore deve uccidere il cervo si trasforma nel colpo solo della pistola puntata alla testa. Come Apocalypse now di Coppola, Il cacciatore è il manifesto estetico-culturale dell’orrore umano. Cimino non racconta la guerra del Vietnam in sé, ma vuole trasmettere con una pennellata l’essenza dell’orrore, di ciò che è stato quello spaventoso conflitto. In questa logica la roulette russa diviene una terribile metafora del suicidio di un popolo. Nick continua a giocare alla roulette russa nelle bische di Saigon fino a morirne, perché non riesce a lasciarsi alle spalle il trauma; non è mai di fatto uscito dalla prigione lungo il fiume infestato dagli enormi ratti. Mike torna a casa ma anche la sua vita è spezzata, non potrà più cacciare il cervo e il suo unico colpo lo sparerà in aria. Con “Il cacciatore” Michael Cimino ci offre non solo uno dei più bei film di guerra della storia del cinema (senza volerlo essere), ma un capolavoro tout court, un film terribilmente malinconico, struggente e profondo. Si ispira a John Ford, Akira Kurosawa e Luchino Visconti rielaborandoli in una sua chiave estremamente moderna e personale, molto americana. Del proprio paese Cimino, immigrato di terza generazione, pensa che sia un melting pot di razze, culture e religioni differenti: dai polacchi, gli italiani e i cinesi ne “L’anno del dragone” alla comunità agricola di immigrati est europei ne “I cancelli del cielo”; dai siciliani de “Il siciliano” al meticcio navajo di “Verso il sole”, con religioni differenti in un complicato rapporto di integrazione. La guerra del Vietnam è una strada senza ritorno per gli Stati Uniti; Mike lascia trasparire un velo di tristezza che lascia sgomenti e consapevoli sul terribile dramma delle vite spezzate. Neppure Linda, fidanzata del suo migliore amico ma affascinata dalla personalità di Mike, riuscirà ad attenuare la tristezza dipinta sul suo volto.
Ricordo, sono passati quasi quarant’anni, che dopo averlo visto, fuori dal cinema, avvertivo quella tristezza sottile e pervasiva… non mi avrebbe più abbandonato per tutta la mia esistenza. La mia generazione iniziava a perdere le illusioni e, pur avendo poco più di vent’anni, le certezze faticosamente costruite. Il cacciatore ha avuto, nel mio caso, la funzione anamnestica di risvegliare la Melanconia di fondo che mi caratterizza, quel senso di stupore e angoscia per il mistero dell’esistenza e del filo precario che ci lega all’essere.
“Cristo, Mike! Steven si sposa tra un paio d’ore, fra qualche giorno partiamo per il Fronte, e noi pensiamo ad andare a caccia! Mi sembra pazzesco…
No, uccidere o morire in montagna o nel Vietnam è esattamente la stessa cosa. Ma deve succedere lealmente.
Come? Un colpo solo?
Un colpo solo.
Io non ci credo più tanto a questa storia del colpo solo, Mike.
Tu devi contare su un colpo solo, hai soltanto un colpo. Il cervo non ha il fucile: dev’essere preso con un colpo solo. Altrimenti non è leale.”
J.V.