IL COMMANDO DEI BELLICISTIL’IMPERIO MEDIATICO DELLA BANALITÀHA ARRESTATO IL PENSIERO:VIETATO RIFLETTERE SU KIEV

IL COMMANDO DEI BELLICISTI
L’IMPERIO MEDIATICO DELLA BANALITÀ
HA ARRESTATO IL PENSIERO:
VIETATO RIFLETTERE SU KIEV

L’attuale dibattito sull’invasione russa dell’Ucraina presenta una serie di tratti degni di nota, e allo stesso tempo profondamente inquietanti, perché
indicativi di un clima di grande confusione, nella migliore delle ipotesi, o di odiosa disonestà, innanzitutto sul piano intellettuale e metodologico.
A dominare il dibattito è lo schema aggressore-aggredito, che svelerebbe tutto ciò che vi è da sapere e da capire su questa guerra. Se tale schema offre a prima vista un facile punto di vista sugli eventi e, di conseguenza, una sicura base per prendere posizione su di essi (non vi sono dubbi, credo, su chi abbia avviato la guerra e su quale paese sia stato invaso), emerge il problema tipico di ogni vicenda storica, per come viene illustrata fin dalle scuole elementari, per la comprensione della quale è inevitabile distinguere una molteplicità di cause, dirette e indirette, prossime e remote, esplicite e implicite. Non occorre tornare a Tucidide, come ha fatto, peraltro assai lucidamente, Luciano Canfora, per cogliere il punto: basta dare un’occhiata a qualunque manuale scolastico di storia contemporanea tuttora in uso, per constatare che, fra le cause della seconda guerra mondiale, vengono annoverate per esempio, oltre alle responsabilità immediate e innegabili della Germania nazista, le pesanti condizioni imposte dai vincitori alla stessa Germania, dopo la sua sconfitta nella prima guerra mondiale, con il trattato di Versailles (anche per questo mai ratificato dagli Stati Uniti), che avrebbero condotto alla progressiva destabilizzazione della Repubblica di Weimar e all’ascesa del nazismo. Una simile, plausibilissima, diagnosi, fa di chi la formula un sostenitore di Hitler o conduce comunque a una qualche forma di giustificazione del suo operato? Non mi pare né mi pare che qualcuno lo abbia mai sostenuto. Una compiuta comprensione degli eventi e delle loro cause non implica una presa di posizione, ma piuttosto contribuisce a formare una condizione più favorevole per tentare di prospettare delle vie di uscita dall’impasse che invece si produce quando ci si limita a schemi eccessivamente semplicistici e, per così dire, “bloccati”.
A ciò si obietta, ed è questa una seconda fuorviante premessa dell’attuale dibattito, che coloro i quali sono vittime di invasione, bombardamenti e di tutte le infami vicende che la guerra porta sempre con sé – non vi sono guerre “giuste”, ve ne sono semmai di inevitabili, né, soprattutto, vi sono guerre “pulite” o disciplinate dal diritto – non sono in una situazione favorevole al ragionamento, alla comprensione storica e all’esame della complessità, perché, appunto, non possono che agire secondo una schema semplice e primordiale: o combattono in propria difesa o fuggono (se possono) o muoiono. L’assunto è, ancora una volta, talmente vero che va capovolto, proprio nella misura in cui “noi”, cioè tutti coloro i quali sono “al di fuori” della cerchia dei combattimenti, e dunque soffrono, pensano ed eventualmente agiscono per porvi fine, abbiamo il dovere morale, in virtù del privilegio della sicurezza che ancora preserva la nostra condizione materiale, di ricorrere al ragionamento, alla conoscenza e alla comprensione più articolati e più efficaci per giungere a una visione delle cose che consenta di prospettare vie di uscita dalla guerra, in nome di chi la subisce e nel quadro di una situazione generale che tenga conto della salvezza di tutti i popoli europei e del mondo intero. In breve, appunto perché non ci si può aspettare da chi è sotto le bombe, l’aggredito, che “ragioni”, giacché può solo difendersi dall’aggressore, è invece doveroso aspettarsi da chi per il momento assiste soltanto alla tragedia che “ragioni” sulle sue possibili so- luzioni, interrompendo la logica primordiale dell’aggredito e dell’aggressore (se ci limitassimo a questa logica, l’unica sua conseguenza sarebbe che la difesa dell’aggredito non può escludere, anzi dovrebbe pretendere, la sconfitta dell’aggressore, generando così un nuovo aggredito a sua volta legittimato a difendersi dall’aggressore e così via).
Ne consegue una terza premessa fallace e pericolosa dell’applicazione dello schema aggressore-aggredito: in virtù della sua apparente linearità e limpidezza, questo schema comporterebbe sul piano etico l’imperativo di “prendere posizione” per l’aggredito e contro l’aggressore, la necessità di “parteggiare” – un interrogativo ossessivamente ripetuto a chiunque partecipi all’attuale dibattito (“con chi stai?”) e che conduce a classificare quanti rifiutano la legittimità teorica dell’interrogativo stesso come partigiani dell’aggressore (“pro Putin”, “sostenitori del tiranno”, “difensori del genocida” e così via). Ancora una volta, la pena infinita e la solidarietà concreta per le vittime della guerra, che non sono naturalmente vittime astratte, ma vittime di qualcuno che le ha aggredite, non possono esimere dal constatare che “noi”, se vogliamo assumerci il difficile, e questo sì imperativo, compito di prospettare vie verso la pace, non possiamo “prendere posizione” o “parteggiare”, perché ciò implica un coinvolgimento da una parte o dall’altra, che è evidentemente in contrasto con ogni istanza di mediazione, per sua natura “terza” rispetto all’aggressore e all’aggredito. Se ritenessimo di non voler mantenere questo ruolo “terzo” nella speranza di giungere alla pace, non potremmo che adeguarci alla logica di questa scelta e, abbandonando ogni ipocrisia, riconoscerci come parte in causa, quindi davvero “prendendo posizione” e “parteggiando”, schierandoci e intervenendo da una delle due parti. Il compito della pace è incompatibile con questa opzione.
Queste tre premesse confluiscono verso il punto focale della questione, che si lascia riassumere così: semplicità versus complessità. Si tratta di una questione filosofica fondamentale, che non può essere elusa. Che l’attitudine alla complessità possa assumere, e abbia talvolta assunto, i tratti dell’oscurità, vale a dire di un’intenzionale confusione che pregiudica la comprensione, è fuori di dubbio. Ciò è stato storicamente segnalato, e viene costantemente stigmatizzato, da non pochi filosofi detti, per l’appunto, “analitici” che individuano, e ridicolizzano, attraverso una rappresentazione caricaturale della complessità, un’artificiosa e ideologica posizione filosofica concorrente della loro (per lo più caratteristica del pensiero cosiddetto “continentale” europeo). Andrebbe però sottolineato, con la stessa chiarezza e fermezza, che la semplicità prende spesso i tratti della semplificazione, cioè di un tentativo di applicare schemi analitici, necessariamente semplici e semplificanti, a ciò che non è semplice né semplificabile, ossia alla vita e alla storia. La semplicità diviene allora “sempliciotta” e produce un’analisi assai scarna, non nel senso dell’essenzialità e della limpidezza, bensì della povertà dei suoi strumenti e della miseria del suo esito. È la miseria dell’analisi e della filosofia che la propugna, quando pretende di applicare una sua logica, di per sé legittima, a ciò che a quella logica risulta irriducibile.


Ecco che allora si dipingono, per denigrarli, i sostenitori della complessità del reale e della storia come continuatori della posizione no-vax o come consapevoli o inconsapevoli nostalgici del comunismo sovietico nei quali sorgerebbe un irriflesso istinto pro-russo. Le due tesi sono ridicole e disoneste, anche se talvolta capita che siano vere: la questione no-vax attiene alla ricerca e alla scienza, e un rifiuto immotivato e ingiustificato di un risultato scientifico acquisito è, fino a prova contraria, semplicemente l’esito anti- scientifico dell’ignoranza; la questione della
guerra attuale, invece, attiene a considerazioni di ordine storico-politico, dunque a posizioni individuali o collettive che, in quanto argomentabili, ricadono in ultima analisi nell’ambito delle opinioni. In che modo poi il socialismo, anche reale, il comunismo o il marxismo-leninismo porterebbero a simpatizzare per la Russia o per Putin non si capisce davvero, vista la condizione e la storia recente di quel paese e dei suoi leader e visto che, fra l’altro, le simpatie per Putin hanno animato piuttosto, negli ultimi decenni, le destre europee più o meno estreme. Forse, e questo costituisce uno spunto di riflessione da riprendere in altra occasione, a una prospettiva di sinistra, autenticamente democratica e socialista, sta piuttosto a cuore il multilateralismo internazionalista di contro a un globalismo a senso unico. Ho assistito a uno sketch nella trasmissione televisiva Piazza Pulita (dello scorso 5 maggio) in cui Stefano Massini,ha pronunciato un apologo: “i filosofi e il cretino”. Di fronte a un incidente stradale, di cui sono evidenti le responsabilità, intervengono tre filosofi, Socrate, Platone e Aristotele, che evocano come cause dell’incidente astruse motivazioni indirette (la famiglia, la scuola guida e altro ancora) per giustificare il colpevole, confondendo e oscurando (non è chiaro se in buona o cattiva fede), con il loro esame “complesso”, i termini effettivi della situazione. Si tratta evidentemente di un’accusa rivolta alla complessità malsana della filosofia e dei “filosofi” rispetto alla semplicità ingenua ma intelligente dei fatti che anche il “cretino” riesce a constatare. Ciò esemplifica bene il clima attuale e ne denuncia la pochezza e la superficialità.

Francesco Fronterotta (Ordinario di filosofia, Università La Sapienza, Roma), Il Riformista, giovedì 12 maggio 2022

Concordo con Fronterotta e sono preoccupato dalla deriva di pochezza e superficialità della nostra (dis-) informazione. Formigli e il citato Stefano Massini si sono più volte contraddistinti per grottesche banalizzazioni che possono attirare un pubblico ingenuo ma ripugnano a qualsiasi serio studioso di storia e filosofia. Occorre peraltro dire che essi si trovano in numerosa e variegata compagnia desiderosa di audience e spettacolo persino, e soprattutto, su un tema terribile e tremendo come la guerra in corso. È in discussione tutta l’informazione del nostro paese e il ruolo dei “giornalisti” specialisti in propalazione di false notizie, gogne mediatiche e caccia al sensazionalismo. Certo non sono tutti così… ma il problema è serio.

J.V.

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