Il paziente inglese (The English Patient)
Il paziente inglese (The English Patient) è un film del 1996 diretto da Anthony Minghella, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore canadese Michael Ondaatje. Il paziente inglese è uno dei film più premiati della storia, mantenendo il record con Gigi di Vincente Minnelli e L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci per aver vinto ben 9 Oscar nel 1997, oltre a 2 Golden Globe e 6 BAFTA mentre l’attrice Juliette Binoche fu premiata con l’Oscar (attrice non protagonista) e l’Orso d’Argento a Berlino come miglior attrice.
* Ralph Fiennes: conte László Almásy
* Juliette Binoche: Hana
* Willem Dafoe: David Caravaggio
* Kristin Scott Thomas: Katharine Clifton
* Naveen Andrews: tenente Kip Singh
* Colin Firth: Geoffrey Clifton
* Julian Wadham: Madox
* Jurgen Prochnow: maggiore Muller
* Kevin Whately: sergente Hardy
* Nino Castelnuovo: D’Agostino
* Peter Ruhring: Bermann
* Raymond Coulthard: Rupert Douglas
Struggente, commovente, suscita emozioni forti e si fa una gran fatica a non trattenere le lacrime quando László von Almásy esce dalla grotta portando in braccio Katharine Clifton. Persino i più duri cedono al suono della musica di Yared. I soliti sapientoni che sanno tutto sulla tecnica cinematografica ma non si rendono conto che il cinema, come le altre arti, ha il compito di suscitare emozioni, hanno storto il naso arrivando a sostenere che il film è ben recitato ma è lungo e, malgrado sia il film indipendente più premiato della storia del cinema, non è un capolavoro. E forse non lo è davvero… ma è così affascinante! Per fortuna Anthony Minghella ha insistito per imporre Kristin Scott Thomas al posto della star Demi Moore.
Deserto del Sahara, Storie di Erodoto, seconda guerra mondiale, infermiera canadese reduce da tragedie familiari, un conte ungherese che lavora per Erwin Rommell ma nella realtà salva molti ebrei ungheresi, mescolamento continuo di realtà e finzione, villa Toscana bombardata come rifugio ultimo di uno smemorato moribondo quasi arso vivo e di uno strano tipo senza pollici che si chiama Caravaggio, tenente indiano sminatore che si innamora della bella canadese, marito tradito e assassino, imbecillità dei militari inglesi, storia d’amore appassionante tra il conte ungherese e la bella inglese. Oralità contrapposta alla scrittura, cultura del deserto, cultura indiana e cultura occidentale si mescolano. L’autore del romanzo, Ondaatje, è canadese di cultura orientale.
Il film è tutto questo ma soprattutto storia di un amore impossibile e struggente che matura tra le sabbie del deserto e lo spionaggio di guerra. Attori sontuosi, uno più bravo dell’altro (Il solito Fiennes su tutti), citazioni storiche a raffica, costruzione di momenti magici e rarefatti, scoppi di ira e di gelosia che naufragano in amplessi tenerissimi. Amore e morte, tradimenti e spie, guerra e dolore, ragione e sentimento, sensi di colpa e catarsi, distacco di fronte alla morte in nome di un amore impossibile… inutile andare avanti. La vera protagonista è comunque la Nostalgia, il dolore del ricordo; dolore per l’imminente scomparsa di un mondo che verrà spazzato via dalla Seconda Guerra Mondiale e che neppure la Storia, Erodoto, l’Amore e la Compassione possono salvare.
Nel romanzo, e in parte nel film, i tre temi ricorrenti sono il corpo umano, la Storia e la Nazione, la loro ambivalenza. Così come è fondamentale il tema della memoria collettiva e individuale di fronte al disastro. La dimensione del deserto cancella confini e nazionalità, appartenenze e strade segnate (tutto si gioca sulla cartografia e Almánsy è un cartografo che si identifica con Erodoto, al punto che la scintilla di Eros scatta nel corso della narrazione dell’anello di Gige).
La narrazione empirica della Storia da parte del paziente inglese (che inglese non è ma ungherese) è opposta a quella dei vincitori e presenta un’obiettività tragica e postapocalittica.
Gige, antenato di Creso (di Lidia), era un bovaro al servizio del re di Lidia, Candaule. Dopo un terremoto, nelle montagne dove Gige stava pascolando le sue capre, si aprì una voragine; spinto dalla curiosità, il pastore entrò, e scoprì che vi era un enorme cavallo di bronzo nel quale si trovava il cadavere di un soldato con un bellissimo anello d’oro al dito, di cui si impadronì.
Uscito dalla caverna, nel metterlo, scoprì per caso che girando il castone
dalla parte interna della mano, diventava invisibile a chiunque, effetto che scompariva quando di nuovo metteva a posto il castone. Gige, allora, andò al palazzo del re, per fare rapporto sulle greggi e, qui giunto, usando il potere dell’anello, sedusse la moglie di Candaule, la regina, e con il suo aiuto uccise il re, e divenne al suo posto re della Lidia.
Nella Repubblica, Platone mette la storia dell’anello di Gige in bocca a Glaucone
che lo usa per dimostrare che nessun uomo è così virtuoso da poter resistere alla tentazione di commettere azioni anche terribili, se gli altri non lo possono vedere. Così Glaucone arriva a dire che la moralità è solo una costruzione della società che l’uomo rispetta per paura delle conseguenze e delle sanzioni. Una volta che queste sono eliminate, quando nessuno può vedere ciò che fai, la morale viene meno, e l’uomo si rivela per ciò che è in realtà.
J.V.