JOSEPH RATZINGER IN DIFESA DELL’EUROPA
JOSEPH RATZINGER IN DIFESA DELL’EUROPA
In questa pagina il testo della conferenza tenuta da Benedetto XVI a Cernobbio l’8 settembre 2001. L’abbiamo tratto dal volume ratzingeriano “La vera Europa. Identità e missione” pubblicato lo scorso anno da Cantagalli.
Sull’europa di domani
Da Spinoza a Marx, dalla filosofia alla fede: quali ideali. Le parole di B-XVI a Cernobbio nel 2001
Cosa è l’Europa? Cosa può e deve essere nel quadro complessivo della situazione storica, nella quale ci troviamo all’inizio del terzo millennio cristiano? Dopo la Seconda guerra mondiale la ricerca di una identità comune e di una meta comune per l’Europa è entrata in una nuova fase. Dopo le due guerre suicide, che nella prima metà del ventesimo secolo avevano devastato l’Europa e coinvolto il mondo intero, era divenuto chiaro che tutti gli Stati europei erano perdenti in questo terribile dramma e che si doveva fare qualunque cosa per evitare la sua ulteriore ripetizione. L’Europa era sempre stata in passato un continente di contrasti, sconvolto da molteplici conflitti. Il secolo diciannovesimo aveva poi portato con sé la formazione degli Stati nazionali, i cui interessi contrastanti avevano dato una dimensione nuova alla contrapposizione distruttiva. L’opera di unificazione europea era determinata essenzialmente da due motivazioni. Di fronte ai nazionalismi che dividevano e di fronte alle ideologie egemoniche, che avevano radicalizzato la contrapposizione nella Seconda guerra mondiale, la comune eredità culturale, morale e religiosa dell’Europa doveva plasmare la coscienza delle sue nazioni e dischiudere come identità comune di tutti i suoi popoli la via della pace, una via comune verso il futuro. Si cercava una identità europea, che non doveva dissolvere o negare le identità nazionali, ma unirle ad un livello di unità più alto in una unica comunità di popoli. La storia comune doveva essere valorizzata come forza creatrice di pace. Non vi è alcun dubbio che presso i padri fondatori dell’unificazione europea l’eredità cristiana era considerata come il nucleo di questa identità storica, naturalmente non nelle forme confessionali; ciò che è comune a tutti i cristiani sembrava comunque riconoscibile al di là dei confini confessionali come forza unificante dell’agire nel mondo. Non sembrava neppure incompatibile con i grandi ideali morali dell’Illuminismo, che avevano per così dire messo in risalto la dimensione razionale della realtà cristiana e al di là di tutte le contrapposizioni storiche sembrava senz’altro compatibile con gli ideali fondamentali della storia cristiana dell’Europa. Nei singoli particolari questa intuizione generale non è mai stata ben chiarita del tutto con evidenza; in questo senso sono rimasti qui dei problemi, che esigono di essere approfonditi. Nel momento degli inizi tuttavia la convinzione della compatibilità fra le grandi componenti dell’eredità europea era più forte dei problemi che esistevano al riguardo.
A questa dimensione storica e morale, che stava all’inizio dell’unificazione europea, si univa però anche una seconda motivazione. Il dominio europeo sul mondo, che si era espresso soprattutto nel sistema coloniale e nelle conseguenti connessioni economiche e politiche, con la conclusione della Seconda guerra mondiale era finito per sempre. In questo senso l’Europa come insieme aveva perduto la guerra. Gli Stati Uniti d’America campeggiavano ora sulla scena della storia mondiale come potenza dominatrice, ma anche il Giappone sconfitto divenne una potenza economica di alto livello, e finalmente l’Unione Sovietica rappresentava con i suoi Stati satelliti un impero, sul quale soprattutto gli Stati del Terzo mondo cercavano di appoggiarsi in contrapposizione all’America e all’Europa occidentale. In questa nuova situazione i singoli Stati europei non potevano più presentarsi come interlocutori di pari livello. L’unificazione dei loro interessi in una struttura europea comune era necessaria se l’Europa voleva continuare ad avere un peso nella politica mondiale. Gli interessi nazionali dovevano unirsi insieme in un comune interesse europeo. Accanto alla ricerca di un’identità comune derivante dalla storia e creatrice di pace, si poneva l’autoaffermazione di interessi comuni, vi era quindi la volontà di divenire una potenza economica, ciò che rappresenta il presupposto della potenza politica. Nel corso dello sviluppo degli ultimi cinquant’anni questo secondo aspetto dell’unificazione europea è divenuto sempre più dominante, anzi, quasi esclusivamente determinante. La moneta comune europea è l’espressione più chiara di questo orientamento dell’opera di unificazione europea: l’Europa si presenta come un’unità economica e monetaria che come tale partecipa alla formazione della storia e reclama un suo proprio spazio.
Karl Marx ha proposto la tesi secondo cui le religioni e le filosofie sarebbero solo sovrastrutture ideologiche di rapporti economici. Ciò non corrisponde totalmente alla verità, si dovrebbe piuttosto parlare di un’influenza reciproca: atteggiamenti spirituali determinano comportamenti economici, situazioni economiche influenzano poi a loro volta retroattivamente modi di vedere religiosi e morali. Nell’edificazione della potenza economica Europa – dopo gli inizi di orientamento più etico e religioso – era determinante in modo sempre più esclusivo l’interesse economico. Ma ora si rivela nondimeno in modo sempre più chiaro che all’edificazione di strutture e di imprese economiche si accompagnano anche decisioni culturali, che all’inizio sono presenti in modo quasi irriflesso, ma poi esigono con forza di essere chiarificate in modo esplicito. Le grandi conferenze internazionali come quelle del Cairo e di Pechino sono espressione di una tale ricerca di criteri comuni dell’agire, sono qualcosa di più che una manifestazione di problemi. Le si potrebbe definire come una sorta di concili della cultura mondiale, nel corso delle quali dovrebbero venire formulate certezze comuni ed essere elevate a norme per l’esistenza dell’umanità. La politica della negazione o della concessione di aiuti economici è una forma di imposizione di tali norme, al riguardo delle quali ci si preoccupa soprattutto del controllo della crescita della popolazione mondiale e dell’obbligatorietà universale dei mezzi previsti per questo scopo. Le antiche norme etiche della relazione fra i sessi, come vigevano in Africa nella forma delle tradizioni tribali, nelle grandi culture asiatiche come derivate dalle regole dell’ordine cosmico e nelle religioni monoteistiche a partire dal criterio dei dieci comandamenti, vengono dissolte attraverso un sistema di norme, che da una parte si fonda sulla piena libertà sessuale, dall’altra però ha come contenuto fondamentale il numerus clausus della popolazione mondiale e i mezzi tecnici predisposti allo scopo. Una tendenza analoga si riscontra nelle grandi conferenze sul clima. In entrambi i casi l’elemento che spinge a ricercare norme è il timore di fronte al carattere limitato delle riserve dell’universo. In entrambi i casi si tratta da una parte di difendere la libertà del rapporto umano con la realtà, ma dall’altra di arginare le conseguenze di una libertà illimitata. Il terzo tipo di grandi conferenze internazionali, l’incontro delle potenze economiche dominanti per la regolazione dell’economia divenuta globale è diventato il campo di battaglia ideologico dell’era postcomunista. Mentre da una parte tecnica ed economia sono intese come veicolo della libertà radicale degli uomini, la loro onnipresenza con le norme ad essa inerenti viene ora avvertita come dittatura globale e combattuta con una furia anarchica, nella quale la libertà della distruzione si presenta come un elemento essenziale della libertà umana.
Che cosa significa tutto questo per il problema dell’Europa? Significa che il progetto orientato unilateralmente alla costruzione di una potenza economica di fatto produce da se stesso una specie di nuovo sistema di valori, che deve essere collaudato per saggiarne la sua capacità di durata e di creare futuro. La Charta europea recentemente approvata potrebbe essere caratterizzata come un tentativo di trovare una via di mezzo fra questo nuovo canone di valori e i valori classici della tradizione europea. Come una prima indicazione sarà certamente di aiuto. Ambiguità in punti importanti mostrano nondimeno in modo evidente la problematicità di un tale tentativo di mediazione. Una discussione di fondo sulle questioni soggiacerti non potrà essere evitata. Ciò non è possibile naturalmente nel quadro di questa relazione. Vorrei soltanto cercare di precisare un po’ meglio i problemi che si tratterà di affrontare. I padri dell’unificazione europea dopo la Seconda guerra mondiale – come abbiamo visto – erano partiti da una fondamentale compatibilità dell’eredità morale del cristianesimo e dell’eredità morale dell’Illuminismo europeo. Nell’Illuminismo la concezione biblica di Dio era stata mutata in una duplice direzione sotto l’influsso della ragione autonoma: il Dio creatore e sostentatore, che continuamente sostiene e guida il mondo, era divenuto colui che semplicemente aveva dato inizio all’universo. Il concetto di rivelazione era stato abbandonato. La formula di Spinoza Deus sive natura potrebbe essere considerata per molti aspetti come caratteristica della visione dell’Illuminismo. Ciò significa nondimeno pur sempre che si credeva ad una specie di natura divinamente plasmata e dalla capacità dell’uomo di comprendere questa natura ed anche di valutarla come istanza razionale. Il marxismo aveva invece introdotto una rottura radicale: l’attuale mondo è un prodotto dell’evoluzione senza una sua razionalità; il mondo ragionevole l’uomo deve solo farlo emergere dal materiale grezzo irragionevole della realtà. Questa visione – unita alla filosofia della storia di Hegel, al dogma liberale del progresso ed alla sua interpretazione socio-economica – condusse all’attesa della società senza classi, che doveva apparire nel progresso storico come prodotto finale della lotta delle classi e così divenne l’idea morale normativa ultimamente unica: è buono ciò che serve all’avvento di questa condizione di felicità; è cattivo ciò che vi si oppone. Oggi ci troviamo in un secondo illuminismo, che non solo ha lasciato dietro di sé il Deus sive natura, ma ha anche smascherato come irrazionale l’ideologia marxista della speranza ed al suo posto ha postulato una meta razionale del futuro, che porta il titolo di nuovo ordine mondiale ed ora deve divenire a sua volta la norma etica essenziale. Resta in comune con il marxismo l’idea evoluzionistica di un mondo nato da un caso irrazionale e dalle sue regole interne, che pertanto – diversamente da quanto prevedeva l’antica idea di natura – non può contenere in sé nessuna indicazione etica. Il tentativo di far derivare dalle regole del gioco dell’evoluzione anche regole del gioco per l’esistenza umana, quindi una specie di nuova etica, è in verità assai diffuso, ma poco convincente. Crescono le voci di filosofi come Singer, Rorty, Sloterdijk, che ci dicono che l’uomo avrebbe ora il diritto e il dovere di costruire un mondo nuovo su base razionale. Il nuovo ordine mondiale, della cui necessità non si potrebbe dubitare, dovrebbe essere un ordine mondiale della razionalità. Fin qui tutti sono d’accordo. Ma cosa è razionale? Il criterio di razionalità viene assunto esclusivamente dalle esperienze della produzione tecnica su basi scientifiche. La razionalità è nella direzione della funzionalità, dell’efficacia, dell’accrescimento della qualità della vita. Lo sfruttamento della natura, che vi è connesso, diviene sempre più un problema a motivo dei disagi ambientali che stanno divenendo drammatici. Con molta maggiore disinvoltura avanza frattanto la manipolazione dell’uomo su se stesso. Le visioni di Huxley divengono decisamente realtà: l’essere umano non deve più essere generato irrazionalmente, ma prodotto razionalmente. Ma dell’uomo come prodotto dispone l’uomo. Gli esemplari imperfetti vanno scartati, per tendere all’uomo perfetto, sulla via della pianificazione e della produzione. La sofferenza deve scomparire, la vita essere solo piacevole. Tali visioni radicali sono ancora isolate, per lo più in molte maniere attenuate, ma il principio di comportamento, secondo cui è lecito all’uomo fare tutto ciò che è in grado di fare, si afferma sempre di più. La possibilità come tale diviene un criterio per sé sufficiente. In un mondo pensato in modo evoluzionistico è anche di per sé evidente, che non possono esistere valori assoluti, ciò che è sempre cattivo e ciò che è sempre buono, ma la ponderazione dei beni rappresenta l’unica via per il discernimento di norme morali. Ciò però significa che scopi più elevati, presunti risultati ad esempio per la guarigione di malattie, giustificano anche lo sfruttamento dell’uomo, se solo il bene sperato appare abbastanza grande.
Ma così nascono nuove oppressioni, e nasce una nuova classe dominante. Ultimamente, del destino degli altri uomini, decidono coloro che dispongono del potere scientifico e coloro che amministrano i mezzi. Non restare indietro nella ricerca diviene un obbligo cui non ci si può sottrarre, che decide esso stesso la sua direzione. Quale consiglio si può dare all’Europa ed al mondo in questa situazione? Come specificamente europea in questa situazione appare oggi proprio la separazione da ogni tradizione etica e il puntare solo sulla razionalità tecnica e le sue possibilità. Ma un ordine mondiale con questi fondamenti non diverrà in realtà un’utopia dell’orrore? Non ha forse bisogno l’Europa, non ha forse bisogno il mondo proprio di elementi correttivi a partire dalla sua grande tradizione e dalle grandi tradizioni etiche dell’umanità? L’intangibilità della dignità umana dovrebbe diventare il pilastro fondamentale degli ordinamenti etici, che non dovrebbe essere toccato. Solo se l’uomo si riconosce come scopo finale e solo se l’uomo è sacro ed intangibile per l’uomo, possiamo avere fiducia l’uno nell’altro e vivere insieme nella pace. Non esiste nessuna ponderazione di beni che giustifichi di trattare l’uomo come materiale di esperimento per fini più alti. Solo se noi vediamo qui un assoluto che si colloca al di sopra di tutte le ponderazioni di beni, noi agiamo in modo veramente etico e non per mezzo di calcoli. Intangibilità della dignità umana – ciò significa anche che questa dignità vale per ogni essere umano, che questa dignità vale per ciascuno, che abbia un volto umano e appartenga biologicamente alla specie umana. Criteri di funzionalità non possono qui avere alcun valore. Anche l’essere umano sofferente, disabile, non ancora nato è un essere umano. Vorrei aggiungere che a questo deve essere unito anche il rispetto per l’origine dell’uomo dalla comunione di un uomo e di una donna. L’essere umano non può divenire un prodotto. Egli non può essere prodotto, può solo essere generato. E perciò la protezione della particolare dignità della comunione fra uomo e donna, sulla quale si fonda il futuro dell’umanità, deve essere annoverata fra le costanti etiche di ogni società umana. Ma tutto questo è possibile solo se acquisiamo anche un senso nuovo per la dignità della sofferenza. Imparare a vivere significa anche imparare a soffrire. Perciò è richiesto anche rispetto per il sacro. La fede nel Dio creatore è la più sicura garanzia della dignità dell’uomo. Non può essere imposta a nessuno, ma poiché è un grande bene per la comunità, può avanzare la pretesa del rispetto da parte dei non credenti.
E’ vero: la razionalità è un contrassegno essenziale della cultura europea. Con questa, da un certo punto di vista, essa ha conquistato il mondo, perché la forma di razionalità sviluppatasi innanzitutto in Europa informa oggi la vita di tutti i continenti. Ma questa razionalità può divenire devastante se essa si separa dalle sue radici e innalza ad unico criterio la possibilità tecnica. Il legame con le due grandi fonti del sapere – la natura e la storia – è necessario. Ambedue gli ambiti non parlano semplicemente di per sé, ma da entrambi può derivare un’indicazione di cammino. Lo sfruttamento della natura, che si ribella ad un utilizzo indiscriminato, ha messo in movimento nuove riflessioni circa le indicazioni di cammino che derivano dalla natura stessa. Dominio sulla natura nel senso del racconto biblico della creazione non significa utilizzazione violenta della natura, ma la comprensione delle sue possibilità interiori ed esige così quella forma accurata di utilizzazione, nella quale l’uomo si mette al servizio della natura e la natura a servizio dell’uomo. L’origine stessa dell’uomo è un processo insieme naturale ed umano: nella relazione fra un uomo e una donna l’elemento naturale e quello spirituale si uniscono nello specificamente umano, che non si può disprezzare senza danno. Così anche le esperienze storiche dell’uomo, che si sono riflesse nelle grandi religioni, sono fonti permanenti di conoscenza, di indicazioni per la ragione, che interessano anche colui che non può identificarsi con nessuna di queste tradizioni. Riflettere prescindendo da esse e vivere senza prenderle in considerazione sarebbe una presunzione, che alla fine lascerebbe l’uomo disorientato e vuoto.
Con tutto questo non si è data nessuna risposta conclusiva all’interrogativo circa i fondamenti dell’Europa. Si è voluto semplicemente tracciare le linee del compito che ci sta davanti. Lavorarci è urgente.
(Joseph Ratzinger, Cernobbio, 8 settembre 2001)
Leggo da giorni commenti assai sgradevoli, frutto di luoghi comuni, ignoranza e malevolenza gratuita. Non me ne occupo come non mi occupo in genere della volgarità. Questione diversa è la malevolenza delle persone istruite o che si ritengono tali e a questi bisogna purtroppo rispondere perché si ritengono il sale della terra. Tra questi uno dei peggiori, e non poteva essere diversamente, il solito Flores d’Arcais. Non mi stupisco. Chi pensa alla razionalità in modo così banale ed elementare come il supponente Flores, difficilmente può comprendere la complessità di un uomo come Ratzinger. Alcuni poi si appoggiano nella critica ad un giudizio malevolo di Umberto Eco su Ratzinger teologo. Stimo molto Eco e ne ho scritto su questo blog ma ciò non toglie che anche i grandi possano prendere cantonate e, soprattutto, possano essere infastiditi da chi ricerca Dio in ogni modo. Neppure io, nel mio limitatissimo orizzonte, condivido tutto ciò che ha scritto Joseph Ratzinger ma ne apprezzo lo sforzo di ricerca di Dio e del Sacro. Apprezzo chi ha scelto di chiamarsi Benedetto come Benedetto da Norcia, il vero fondatore dell’Europa. Un’Europa che troppi attaccano senza rendersi conto che, in mezzo a molti errori anche gravi, è il meglio che abbiamo. Preferite veramente il mondo islamico o cinese? Ratzinger era un conservatore? Optime. Di fronte ad un mondo che sta sprofondando come Atlantide cosa si dovrebbe essere? Essere conservatori contro l’orrida cancel culture e la terribile confusione ideologica è il minimo sindacale. Omero, Dante e Shakespeare censurati dal politicamente corretto, relativismo culturale grottesco (e su questo anche Eco ha dato il peggio di sé). La profezia di Orwell si sta avverando “Ogni disco è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio è stato rinominato, ogni data è stata modificata. E il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione”.
(George Orwell, 1984)
Dietro un’apparente sacrosanta difesa delle minoranze si nasconde un progetto pernicioso, razzista e violento, deciso, voluto e pensato nel mondo universitario anglosassone a partire dagli anni sessanta del secolo scorso e propagato attraverso utili idioti spesso in buona fede (il massimo del pericolo). Non si possono applicare in modo acritico categorie etiche del presente, peraltro assai discutibili, sic et simpliciter al passato. È la prima lezione che uno storico serio deve imparare. Non occorre essere Marc Bloch, è sufficiente un’intelligenza medio-bassa. Non è difficile. Una persona di normale buon senso sa benissimo che la Storia è la galleria degli orrori ma non si rimuove la violenza tentando di imbrigliarla in un letto di Procuste ad uso e consumo della contemporaneità. La Storia è sempre Storia contemporanea ma va studiata nelle sue contraddizioni, storture, violenze… tutto il repertorio dell’essere umano. Combatto da sempre contro il razzismo, il bullismo ed ogni forma di discriminazione ma proprio per questo non posso più tollerare l’idiozia finalizzata all’instaurazione di una dittatura omologante e cretina.
Sì, mi sento più vicino ad un conservatore come Joseph Ratzinger che a quanti vogliono distruggere il mondo occidentale con la loro ignoranza e un grottesco relativismo.
Gli sciagurati firmatari della lettera che impedì l’intervento di Ratzinger alla Sapienza sostengono di non poter ospitare chi sosteneva la bontà della condanna di Galileo. Malafede, ignoranza o entrambe. Intanto sarebbe sufficiente leggere ciò che realmente Ratzinger disse sulla questione e non strumentalizzarlo. Inoltre la Chiesa romana non temeva la questione astronomica ma, come scrive Redondi in Galileo eretico, la questione della transustanziazione. Claudio Costantini, circa mezzo secolo fa, da brillante studioso del Seicento, difendeva la posizione romana sulla questione Galileo. Nel 1632 a Lützen gli svedesi vincono contro le armate imperiali. Potrebbero scendere in Italia e distruggere il papato. A Roma la paura è parossistica. Gustavo Adolfo, il re svedese, muore nel corso della battaglia e Oxenstierna decide di fermare l’avanzata svedese. A Roma si tira un sospiro di sollievo ma la scampata paura esige un capro espiatorio. Sarà Galileo, il miglior intellettuale cattolico da sempre protetto dal papato. Ora pagherà lui per tutti e non per la questione astronomica ma ripeto per la questione della transustanziazione, il vero casus belli. La Chiesa romana casomai commise un doppio clamoroso errore trentatré anni prima: uccidere Giordano Bruno e ucciderlo tra le fiamme rendendolo così immortale. La morte nell’acqua viene obliata, quella tra le fiamme viene ricordata per sempre. La tortura e il rogo per Bruno furono un crimine terribile. A Galileo fu sufficiente far vedere gli strumenti di tortura. Non poteva avere il coraggio e la tempra di frate Giordano. Poi il processo e la condanna. Poi la fuga dei cervelli e il divorzio tra Chiesa romana e grandi intellettuali. Cartesio, appresa la notizia del processo, nasconde i suoi manoscritti. Inizia una storia di oscurantismo dettata dalla guerra. La Chiesa gioca in difesa, l’Europa è divisa, l’unità cristiana lacerata. Poi la Westfalia e la fine della centralità romana. Una guerra di religione devastò l’Europa. Tre secoli dopo un’altra guerra dei trent’anni devasterà il vecchio continente. Un’altra guerra di religione dipinta di colori rossobruni e dalle presunte alte idealità (il Paradiso in terra). La Storia è sangue e merda e va studiata. La Storia non è ciò che piace a noi ma ciò che avviene nella sua tragicità. La Storia non sa che farsene del politicamente corretto.
La Chiesa romana ha commesso molti errori, i suoi sacerdoti spesso si sono macchiati le mani di sangue come i sacerdoti della Rivoluzione francese e russa. Anche la guerra tra Russia e Occidente è una guerra di religione. Joseph Ratzinger era uno studioso serio e comprendeva tutto questo orrore. Cosa gli rimproverate? Era conservatore perché conosceva la debolezza umana, conosceva l’orrore e aveva visto la barbarie del Novecento. Aiutó il papa polacco a vincere la sua battaglia contro la religione comunista. Poi fu costretto a combattere in prima persona per difendere l’Europa di Novalis. Ha perso e si è ritirato a fare il mestiere suo: studiare. Prima di ritirarsi ha passato lo scettro al terzomondista Francesco ammettendo così la sconfitta. La sua vittoria è la narrazione della sconfitta. E questa è grande Storia. A Genova questa vicenda è già avvenuta come microstoria con Don Gallo e Don Baget Bozzo. Ero amico del primo ma comprendevo le buone ragioni del secondo. Andrea voleva bene a Gianni e chiedeva sempre sue notizie. La Chiesa aveva spazio per entrambi.
Infine per chi davvero volesse capire ciò che ho velocemente scritto suggerisco la pagina del Grande Inquisitore nei fratelli Karamazov.
Addio Joseph, vorrei avere la tua fede in Cristo.
J.V.