KAFKA
Kafka
“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”.
Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924,boemo di lingua tedesca. Realismo magico, alienazione, brutalità fisica e psicologica, conflittualità genitori-figli,smarrimento e angoscia esistenziali, impotenza umana di fronte al mondo e alla sua burocrazia.
Cade in terribile errore chi pensa che si tratti di letteratura fantastica. Non esiste nulla di più realistico degli scritti di Kafka. Letteratura metaforica casomai, ma non fantastica. Paradossalmente comico e grottesco, ironico e angosciante. Letteratura allo stato puro, racconto del matrimonio tra Legge umana e Legge divina per realizzare l’Ingiustizia. Kafka non vuole avere ragione e, come Shakespeare, considera il fallimento unica speranza di salvezza. Il fallimento è il vero significato ultimo delle cose e la denuncia della condizione umana. Kafka attacca il cuore della cultura occidentale: il mito della Forza. Aggredisce il connubio tra Diritto e Forza e denuncia la falsa sacralità di questo connubio. Con lui l’Ingiustizia appare evidente. Distrugge l’idea cartesiana “chiara e distinta” una delle menzogne su cui si fonda il dominio della Techne occidentale. Attesa e orrore per il compimento dell’Ingiustizia sono la vera cifra kafkiana. Centralità del Capro espiatorio senza il quale crolla l’impalcatura del Castello Occidentale. I Signori macellano la vittima, così la Legge è soddisfatta. I carnefici vogliono però l’assenso della vittima.
Celebri i suoi incipit “Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto”. Scrive di getto partendo da un’idea centrale, senza un progetto ben definito. Il lettore viene immediatamente catturato. Non contano le incongruenze ma il risultato. Così con le brume del Castello e con la Statua della Libertà in America. Angoscia, affastellamento delle ipotesi, dei tentativi, scrittura vivente. Il nostro processo siamo noi stessi, lo abbiamo voluto noi. “Il tribunale non vuole niente da te. Ti accetta quando vieni, ti lascia andare quando vai” dice il Cappellano della prigione. Siamo processo e siamo sentenza. Tensione continua che ci costruiamo leggendo. Viviamo soltanto nel e per il processo. Non siamo più altro. Il nostro mondo diviene ossessivo, il campanello che squilla ci terrorizza. Soltanto la Morte ci permetterà di uscire dal Processo.
La voce della signora Burstner è la voce di tutti, è la voce che assolve i più forti e condanna il più debole. La Menzogna è l’ordine universale della Teopolitica. Il pensiero filosofico è un lusso ma è, di fatto, anch’esso, tranne rare eccezioni, al sevizio della Grande Menzogna. Platone, il bugiardo pietoso (e quindi il più pericoloso) viene attaccato da Nietzsche filosoficamente. Kafka invece attacca con la letteratura grottesca e mette in scena l’orrore dell’alleanza tra Legge e Forza, presenta in tutta la sua angosciante tragicità la genesi del Diritto, spiega spinozianamente che la Libertà umana consiste nell’accettazione della Necessità. “Non bisogna credere che tutto sia vero, bisogna credere solo che sia necessario” dice il sacerdote. La Necessità è l’altare sul quale si sacrifica il Possibile. Il sangue versato viene nascosto nel pensiero platonico razionale e nei suoi epigoni. Funziona così da venticinque secoli. Il Cristianesimo cos’è del resto se non platonismo adattato alle masse? In Kafka troviamo la Vergogna sulla quale è edificato il nostro mondo, un mondo che non potrebbe esistere senza il sacrificio continuo delle vittime sacrificali.
La lettura di Kafka mi pone problemi da mezzo secolo e ora, in tarda età, mi appare come uno squarcio improvviso di luce terribile la Verità del mondo: una è la Menzogna, una sola, mentre esistono infinite verità che la mascherano.
Kafka diede l’incarico a Max Brod di distruggere le sue opere dopo la morte. L’amico non asseconda il desiderio dello scrittore. Siamo in linea con Boccaccio, Gogol, Bukgakov e altri.
Le sue sorelle saranno vittime dei nazisti. Gabriele (“Ellie”) e Valerie (“Valli”) a Chelmno, Ottilie (“Ottla”) ad Auschwitz.
Kafka contrae la tubercolosi nel 1917 e muore, dopo atroci tormenti (non poteva deglutire) nel sanatorio di Kierling presso Vienna il 3 giugno 1924.
“L’uomo non può vivere senza una fiducia permanente in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se entrambi hanno qualcosa di indistruttibile e la sua fiducia in esso può rimanere permanentemente nascosta da lui.”
J.V.