Kant
Königsberg, Prussia 1724. Oggi sarebbe russo di Kaliningrad. Manelchen (ometto) è il soprannome che gli affibbia la madre, seguace pietista, a causa della sua piccola statura (1,50). Figlio di sellaio di origine scozzese. Povero in canna. Grazie alla particolare intelligenza viene ammesso al Collegium Fridericianum. Il Direttore Franz Albert Schultz soccorre, assieme ad altri, l’indigente allievo. Studi rigorosi e severi, soprattutto latino. Perde l’amatissima madre a tredici anni. A sedici entra all’università Albertina di Königsberg. Studia filosofia e nutre un forte entusiasmo per la fisica di Newton. Finiti gli studi si trova a dover sopravvivere col mestiere di precettore. Soltanto in là con gli anni diviene professore universitario. Un suo brillante allievo, Herder, scrive “«Io ho avuto la felicità di conoscere un filosofo, che fu mio maestro. Nei suoi anni giovanili, egli aveva la gaia vivacità di un giovane, e questa, credo, non lo abbandonò neppure nella tarda vecchiaia. La sua fronte aperta, costruita per il pensiero, era la sede di una imperturbabile serenità e gioia; il discorso più ricco di pensiero fluiva dalle sue labbra; aveva sempre pronto lo scherzo, l’arguzia e l’umorismo, e la sua lezione erudita aveva l’andamento più divertente… Egli incoraggiava e costringeva dolcemente a pensare da sé; il dispotismo era estraneo al suo spirito. Quest’uomo, che io nomino con la massima gratitudine e venerazione, è Immanuel Kant: la sua immagine mi sta sempre dinanzi”.
Pedante, distratto, distaccato, rigido, puntuale, maniacale… ecco Immanuel Kant. Sveglia alle cinque del mattino, lavoro nello studio, lezioni in facoltà, pranzo abbondante con amici, passeggiata, a letto alle dieci, bendato e avvolto nelle coperte come un baco nel bozzolo. Qualsiasi oggetto fuori posto rispetto alla collocazione abituale lo getta nel panico e nella più cupa disperazione. Nessuno deve disturbarlo nella routine quotidiana o coinvolgerlo in attività diverse dall’ordinario. Odia i rumori che lo distraggono dallo studio, dal gallo del vicino ai canti di espiazione dei detenuti della prigione. Cambia casa per evitare i rumori ma il risultato è lo stesso. Anche l’alimentazione è dettata da regole drastiche: a colazione due tazze di tè e una pipa di tabacco, niente caffè malgrado gli piaccia moltissimo (il suo sovrano Federico ne ingurgitava sino a quindici tazze al giorno con aggiunta di champagne), la cena abolita completamente. Un tipo assai eccentrico.
Non esce da Königsberg per nessun motivo, conduce vita tranquillissima a parte uno screzio col ministro della cultura prussiano. Rifiuta il matrimonio come Spinoza, Kiergegaard e molti altri filosofi. In tarda età viene colpito da demenza. La mente più lucida del Settecento non funziona più.
Innamorato della Metafisica, pone le tre domande fondamentali: Dio, Libertà, Immortalità. La ragione teoretica non può risolverle. Impasse. I tentativi metafisici dello spirito umano sono una navigazione in un “grande e burrascoso oceano… dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci, in corso di liquefazione, creano a ogni istante l’illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido di nuove scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare una volta per sempre”.
Malgrado ciò non resta su posizioni scettiche alla Hume ma lavora sul funzionamento della mente umana. Come Platone spacca il mondo in due. Idee e fenomeni platonici in lui divengono noumeni e fenomeni. L’uomo è destinato al fallimento gnoseologico ma qui sta la sua grandezza. Il dibattito sulla Critica della Ragion Pura è feroce. Passa per libro difficilissimo ma non è così. Basta aver la chiave di lettura. Sicuramente è scritto malissimo. Un po’ perché i filosofi, tranne Platone, Kierkegaard, Nietzsche e pochissimi altri, scrivono male (seguono i loro pensieri senza pensare ai lettori… e fanno anche bene), un po’ perché l’ha pensata per dodici anni e poi ha scritto di getto per paura di perdere pezzi. In italiano tradotta da Gentile e Lombardo Radice con tagli diversi. Preferisco il primo. Ragion pura propedeutica alla Ragion Pratica. Io penso, tu devi, diceva Alberto Moscato. Il condizionato ha dignità grazie all’incondizionato, che per Kant è il dovere morale. Allora le tre domande ottengono risposta grazie alla libertà. L’uomo è cittadino di due mondi e Dio, come l’immortalità dell’anima sono postulati dell’esistenza morale. Il Novecento, secolo dell’orrore, lo smentisce ma la sua grandezza resta intatta.
Bizzarria: un uomo che non tocca corpo altrui attraverso il contatto del sesso, il più concreto dei contatti, gioca la partita sulla reciprocità del contatto conoscitivo tra soggetto e oggetto. Noi conosciamo soltanto apparenze. La realtà non è “cosa” uguale a se stessa in eterno ma “cosa” che mostra il volto vero a contatto con chi la vive. Realtà è il fenomeno. La mente pensa attraverso forme a priori o categorie che si collegano alle realtà fenomeniche attraverso spazio e tempo. Crolla così qualsiasi puntello etico assoluto. È la mente umana che stabilisce cosa è etico. Già Hobbes lo aveva compreso per poi riempire il freddo vuoto con il trono di Dio, il Potere assoluto che si auto giustifica. Il figlio del sellaio invece vuole mantenere il Bene e lo fa poggiare nella libertà umana che lui chiama Dovere. Incompreso. E ancora oggi in nome del Bene/Dovere trionfa il Male. Non è colpa di Kant ma dell’ignoranza umana che persevera ad ammantare di nobili parole, Etica, Dovere, Principi et similia, il comportamento malvagio. E allora in nome dei Principi si attuano massacri, si discrimina, si disprezza e si umilia. Alla fine ci si lava la coscienza col Dovere Superiore.
Questo l’epitaffio sulla tomba di Immanuel:
«Due cose riempiono la mente con sempre nuova e crescente ammirazione e rispetto, tanto più spesso e con costanza la riflessione si sofferma su di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.»
J.V.