LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA
LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA
Quanto avvenuto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021 getta una enorme palata di fango sulla credibilità della democrazia americana. Il Paese più potente del mondo subisce un attacco di facinorosi imbecilli nel cuore del suo potere istituzionale. Che gli Stati Uniti d’America vivano una lacerante crisi di credibilità si avverte da anni con la perniciosa cancel culture, il grottesco ed ipocrita politically correct. Ogni persona di buon senso guarda con stupore e preoccupazione quanto avviene nel paese della democrazia. Il dominio del “politico” viene duramente attaccato da molteplici istanze identitarie spesso confuse, esagerate e grottesche. Secondo Richard Rorty è definitivamente screditata la possibilità di offrire una fondazione razionalista ed universalista alle istituzioni liberal-democratiche a causa della rete di credenze, false notizie e manipolazioni della società americana ed occidentale in genere. L’emergere di nuovi fanatismi, la ricerca del consenso esasperato di ogni singola comunità, portano ad relativismo etnocentrista incompatibile con l’esercizio amministrativo coerente e razionale della democrazia. Tolleranza ed ironia sono le grandi assenti nel dibattito politico americano ed europeo. Tutto ciò nel momento in cui il mondo rischia un tremendo conflitto bellico e nuove dittature si presentano ai confini del mondo occidentale. Faremo la fine di Atlantide? I segnali purtroppo ci sono tutti. Scomparsa di ogni solidarietà, ignoranza diffusa, fine del sistema di Welfare, finanza selvaggia, sottovalutazione dei rischi, politica estera americana quantomeno azzardata fin dai tempi del peraltro ottimo, in politica interna, Obama. Finanziarizzazione dell’economia, delocalizzazione produttiva, movimenti migratori di massa, omologazione dei comportamenti, repressione del pensiero non allineato sono tutti elementi che tendono a scardinare l’ordine democratico che si fonda storicamente su valori condivisi, tolleranza, commerci sicuri, borghesia solida. Oggi mancano valori condivisi, la tolleranza di fatto non esiste più, i commerci stanno portando ad un conflitto mondiale, la borghesia è insicura e sempre più esigua mentre crescono le masse di diseredati. Assai pericolosa infine è la tendenza occidentale ad insistere in modo maniacale sui diritti civili (cosa giusta di per sé ove realizzata con intelligenza) e trascurare completamente i diritti sociali. Insomma cerchiamo di essere un po’ concreti: senza lavoro, senza stipendio non sai cosa fartene dei pur sacrosanti diritti civili. Disoccupazione strutturale, lavori atipici, deterritorializzazione e smaterializzazione pongono sfide radicali alla rappresentanza unitaria del lavoro che è stata storicamente il cardine del movimento operaio ed il caposaldo dello sviluppo dello Stato sociale. “La fine del lavoro” è il titolo provocatorio dell’economista Jeremy Rifkin che intende la fine della classica funzione novecentesca di canale privilegiato di accesso ai diritti. Il reddito di cittadinanza mal gestito non risolve questi problemi ma li aggrava drasticamente. A causa delle migrazioni si stanno sviluppando preoccupanti fenomeni di xenofobia e razzismo non più centrati sulla rozza differenza biologica tra le razze ma sul categorico rifiuto dell’ ibridazione culturale determinata dalle migrazioni.
Le relazioni internazionali dopo l’11 settembre 2001 si sono trasformate e, al di là di inutili e sciocche tifoserie da stadio, occorre chiedersi quale debba essere il nuovo ruolo di Cina, Russia, India, Brasile & C. Gli Stati Uniti non possono assolvere il ruolo di unico gendarme del mondo. La guerra globale mette in comunicazione immediata tempi tra loro infinitamente diversi quali la civiltà tribale asiatica e l’ipermodernità americana. Tutto ciò esige una ridefinizione delle categorie del politico, il tentativo di costruzione di una società civile globale. Urgente la costruzione di uno Stato federale europeo che possa sconfiggere l’attuale anarchia e raffreddare la conflittualità tra le grandi potenze. Interessante a questo proposito il libro di David Held, Democrazia e ordine globale, che parla della costruzione di una cornice stabile e durevole per la gestione democratica dei nuovi siti di potere (corpo umano, Stato sociale, economia, cultura, istituzioni giuridiche). Assai interessanti anche le riflessioni dell’economista Amartya Sen e la sua teoria dei diritti come scopi, finalità da raggiungere oltrepassando l’utilitarismo ed indipendente dalle pericolose logiche moderne della soggettività e dei diritti esasperati. Probabilmente occorrerà superare logiche esclusivamente occidentali.
Di significato rilevante poi l’orizzonte biopolitico inaugurato da Michel Foucault e presentato in Italia da Giorgio Agamben, studioso serio e volgarmente coinvolto, non certo per sua volontà, da polemiche di basso livello sul Covid. La politica, secondo Agamben, ha prioritariamente a che fare con la vita per cui la modernità “non può essere descritta solo attraverso il rapporto giuridico fra individuo libero e Stato sovrano (che va almeno letto alla luce della dimensione anche sacrificale del potere), né solo attraverso il disciplinamento “microfisico” attuato dal potere politico attraverso l’elaborazione di saperi politici e amministrativi; a queste dimensioni va affiancata una diversa forma di potere, il “potere pastorale” – di derivazione mosaica e poi modificata e perfezionata nel primo Cristianesimo- che interpreta il comando come la vera e propria produzione di un insieme, il ghenos, la cui virtù specifica è l’obbedienza al pastore, il quale a sua volta alleva il gregge prendendosi cura della vita sia dell’insieme sia di ogni componente “ (Manuale di storia del pensiero politico, a cura di Carlo Galli, p. 618). Il rapporto fra politica e vita diviene immediato, senza la mediazione delle istituzioni razionali. I conflitti politici passano a questioni vitali, biologiche e sessuali, dall’aborto alla fecondazione assistita, all’omosessualità. Su questi valori deve essere guidato il gregge umano. Parliamo in questo senso di nuove identità non umanistiche in senso lato. Di fatto parliamo di fine dell’uomo moderno, geloso della propria identità e i cui confini non-umani sono resi fragili dalle biotecnologie.
Possiamo rifiutare umanisticamente queste prospettive ma lo scenario futuro, nel bene e nel male, sarà questo.
J.V.