LA “LUCE ORIGINARIA” CHE HEIDEGGER CERCAVA NEL PRIMO PENSIERO D’OCCIDENTE
LA “LUCE ORIGINARIA” CHE HEIDEGGER CERCAVA NEL PRIMO PENSIERO D’OCCIDENTE
Il pensiero di Martin Heidegger è la tempesta perfetta della filosofia contemporanea. Il grande e controverso filosofo tedesco ha avuto ragione su tutto, tranne che su una cosa, non di poco conto: l’adesione al nazionalsocialismo, nel 1933. Già nel ’34 diede le dimissioni da rettore dell’Università di Friburgo. Alcuni ritengono che continuò a essere nazista e, per aggiunta, antisemita. Sono convinta del contrario: l’intera sua filosofia contrasta con i princìpi del nazismo.
Tutto ha inizio e si condensa nel capolavoro pubblicato 95 anni fa, Essere e tempo. Dopodiché, la sua riflessione ha percorso altre vie e trovato nuovi sviluppi. La sua opera non è mai stata superata: è lo scoglio su cui tutti, prima o poi, si sono imbattuti e arenati. A tutt’oggi, i temi da lui trattati risultano sempre più presenti. La filosofia di Heidegger parte da un principio fondamentale, quello della “differenza ontologica”: detto in sintesi, la civiltà umana ha dimenticato l’essere a favore dell’ente. L’essere viene ridotto alle forme che assume l’ente. Tutto ciò, per non rischiare di essere una vuota formula, non è che il nostro destino. La sua filosofia è il tentativo di abbandonare la “chiacchiera”, il “si dice”, l’“inautenticità”. Heidegger non attribuisce giudizi di valore: la tecnica a cui siamo consegnati è semplicemente il nostro destino. D’altronde, è difficile non vedere come la tecnologia che ci pervade, che si esprime, ad esempio, nei social, nella tv e, in genere, in ogni forma di comunicazione, sia la maschera deformata e deformante del nostro essere nel mondo.
Ne L’inizio della filosofia occidentale. Interpretazione di Anassimandro e Parmenide (Adelphi, 313 pp., a cura di Peter Trawny, ed. it. a cura di Giovanni Gurisatti), corso universitario tenuto presso l’Università di Friburgo nel semestre estivo del ’32, Heidegger ricerca nel primo pensiero dell’Occidente e nel linguaggio degli inizi (Anassimandro e Parmenide, insieme a Eraclito, sono i filosofi iniziali del pensiero occidentale) una “luce originaria”, che la luce artificiale sembra avere soffocato, nonché una concezione del tempo in cui si mostri il rapporto decisivo e problematico dell’ente con l’essere. La concezione attuale del tempo è infondata: “Non si tratta per nulla di contare e misurare, ma del fatto che il tempo è incalcolabile in quanto imprevedibile”. In questa imprevedibilità si accende il conflitto, l’alternanza dell’apparire e dello scomparire, del nascosto e del manifesto, secondo la legge della “potenza della luce”. Attraverso la metafora del viandante assetato che si è allontanato dalla fonte, Heidegger ci illustra questo processo, ovvero: è nella natura ambigua della fonte (cioè l’essere inteso come verità, Alétheia, svelamento) manifestarsi e insieme occultarsi. Come ogni custodia, la sorgente chiude e schiude, ovvero sottrae e offre alla visione ciò che preserva. In quale luogo abita la dea Aletheia del Poema didascalico (giunto a noi per frammenti) di Parmenide (VI-V sec. a. C.) che prende in esame Heidegger? Innanzitutto, la dea “attira in disparte, via dagli uomini, lungi dal sentiero battuto”; inoltre la sua casa ha una porta da cui “si diparte nuovamente una via”. Giunto al cospetto della dea, il filosofo eleatico si sente dire: “E’ necessario che tu apprenda tutto”. La via di Parmenide non è però più quella dell’iniziato, messo a riparo e tutto compreso nella propria visione, ma “conduce fuori all’Aperto”, per conoscere “tutto”. Oggi come oggi, lottando contro un linguaggio omologato e un pensiero senza fenditure, abbiamo più che mai bisogno della forza della riflessione di Heidegger.
(DI ELISA VERONICA ZUCCHI)
Anche io sono convinto che Martin Heidegger abbia subito compreso l’errore di aderire al nazismo, nel quale lui voleva vedere la palingenesi tedesca. Errore grave ma che non inficia la grandezza del suo pensiero. Un pensiero che “ha avuto ragione su tutto”.
“Ogni provenienza è sempre un avvenire”. Alemanno. Selva Nera, Friburgo. Baita ai piedi del Feldberg. Uomo solitario e malinconico, amante del mondo contadino, legatissimo alla terra, vestito folkloristicamente. Odia la metropoli, rifiuta due volte la cattedra a Berlino. Eloquio frammentario e fascinoso ad un tempo. Conferenze affollatissime. Professore incantevole e incantatore. Maestro attento agli studenti, alle loro esigenze ed aspirazioni. Inizia come filosofo cattolico e sfida la Modernità. Abbaglio nazista e dolorosa parte finale dell’esistenza. Certo riesce difficile coniugare un grande pensiero con l’adesione alla cultura della morte, tipica dei nazisti. Riesce anche difficile credere ad una vera adesione al nazismo da parte di un uomo che dedica la sua opera maggiore all’ebreo Husserl e vive un intenso rapporto con una donna ebrea.
Salvato dalla stessa Arendt dopo la seconda guerra mondiale. Forse vittima della sua idealizzazione metafisica del nazismo. Persino il suo ex allievo detrattore Victor Farias ammette che Heidegger non fu mai antisemita. Safranski scrive che Heidegger si adopera per salvare alcuni studenti ebrei. Sicuramente è anticomunista e vede nel nazismo un baluardo contro il bolscevismo. Ciò non gli impedisce di apprezzare il materialismo storico di Karl Marx. Si può dire semplicemente che Heidegger, come altri pensatori, non possiede capacità di analisi politica equivalenti alle capacità filosofiche. La sua sfiducia nella democrazia è sfiducia nella democrazia americana e nell’ipocrita “libertà economica” che non tiene conto delle radici di un popolo e della sua realtà storica. Così lo descrive Hannah Arendt “La tempesta che soffia impetuosa nel pensiero di Heidegger – simile a quella che ancora dopo millenni soffia nell’opera di Platone – non proviene da questo secolo. Essa proviene dai primordi, e ciò che lascia dietro di sé è qualcosa di compiuto che, al pari di ogni cosa compiuta, ritorna ai primordi”.
Heidegger rompe con la tradizione cartesiana che aveva relegato l’uomo in un artificioso isolamento, lo colloca nel suo essere-nel-mondo e nel suo-essere-con-altri. Irrompe nella totalità dell’ente. Trascendenza dell’esserci umano. Trascendenza non sovrasensibile ma nel senso che l’uomo supera ogni ente in direzione dell’Essere nell’orizzonte del comprendere, sentire, conoscere.
Dopo Essere e Tempo, Heidegger affronta Anassimandro, Platone, Cartesio, Kant e, finalmente, Nietzsche. Con Fritz è lotta corpo a corpo. Affronta i poeti, da Hölderlin a Rilke, da Trakl a Benn. Interviene su Linguaggio e Tecnica, Arte e Umanismo. E qui la Svolta (Kehre): non si pensa l’Essere partendo dall’uomo ma si considera l’uomo e la realtà finita partendo dall’Essere. Pensiero in cammino e cammino del Pensiero. Uomo privato della posizione centrale tipica del soggettivismo moderno cartesiano ed esistenzialistico.
Anche la Tecnica appare come via sbarrata, come ultimo trionfo della soggettività perché grazie ad essa l’uomo si impadronisce dispoticamente del mondo. Tutto quindi dipende dall’Essere e l’uomo ad esso è sottomesso. L’uomo esiste nella misura in cui attraverso l’uomo può compiersi il divenire manifesto dell’essere. Essere è oscuro, non è Dio, non ha fondamento mondano, non è riducibile all’ente, non è oggettuale. Differenza ontologica tra Essere ed ente dimenticata dalla Metafisica occidentale a partire da Platone. Da questa caduta deriva il destino tragico dell’Occidente, la sua caduta nell’errare. Ente non è semplicemente presente, ma è il disvelato, ciò che sta nella luce, ciò che si manifesta. Essere è la radura (Lichtung) nel senso che dirada e lascia apparire l’ente. Il mondo diviene manifesto attraverso la scoperta del Niente… “Solo nella chiara notte dell’angoscia nasce l’originaria apertura dell’esistente in quanto tale: il fatto che esso è esistente — e non nulla. Ma questo «e non nulla» aggiunto da noi nel discorso non è una spiegazione successiva, ma ciò che rende preliminarmente possibile una qualsiasi evidenza dell’esistente. L’essenza del nulla originariamente mancante è nel fatto che esso porta l’esistenza anzitutto davanti all’esistente come tale. Solo sulla base dell’originaria evidenza del nulla l’«esserci» dell’uomo può accedere all’esistente ed entrarvi. Ma in quanto l’«esserci», secondo la sua essenza, è in rapporto con l’esistente che essa non è e con quello che essa è, essa proviene in quanto tale ogni volta già dal nulla evidente. Esistere significa: trattenimento nel nulla. Trattenendosi nel nulla l’«esserci» è ogni volta già oltre l’esistente nella sua interezza. Questo esser fuori oltre l’esistente lo chiamiamo trascendenza. Se l’«esserci» non trascendesse nel fondo della sua essenza, cioè adesso, non si tratterrebbe già da prima nel nulla, e allora non potrebbe mai essere in rapporto con l’esistente e dunque neanche con sé stessa. Senza un’originaria evidenza del nulla, nessun «sé», nessuna libertà. Con ciò è raggiunta la risposta alla domanda sul nulla. Il nulla non è né un oggetto né un esistente qualsivoglia. Il nulla non compare né per sé né accanto all’esistente al quale per così dire s’appiglia. Il nulla è per l’«esserci» umano la condizione di possibilità dell’evidenza dell’esistente in quanto tale. Il nulla non offre anzitutto il concetto contrario all’esistente, ma appartiene originariamente all’essenza stessa. Nell’essere dell’esistente avviene il mancare del nulla.”
Il Niente non è un soggetto metafisico ma un processo, l’accadere del farsi niente del niente. Con ciò Heidegger non perviene ancora all’Essere ma pone la domanda se il niente sia l’ultima cosa che l’uomo esperisce, e se, quindi, il pensiero approdi al nichilismo. La risposta è no! Il nichilismo, destino dell’uomo occidentale, non è luogo dove l’uomo possa soggiornare a lungo e ciò emerge dal l’essenza del niente, velo dell’Essere. Domanda ulteriore: dietro il niente si può scorgere l’Essere? Per Heidegger l’Essere possiede la stessa struttura fondamentale del niente, è un accadere, un evento che va compreso verbalmente. Un accadere comprensivo in cui l’ente e l’uomo divengono manifesti. L’Essere è svelatezza che accade, di compie e si illumina nel mondo in molti modi. Essere significa essere illuminati dall’Essere. L’Essere in quanto radura giunge all’uomo storico. Quindi anche l’Essere, come il niente, non vive grazie all’uomo ma agisce a partire da se stesso. Non è “artefatto” dell’uomo, è il vero soggetto nell’accadere del divenire manifesto del mondo. Si realizza per se stesso e porta in sé il proprio senso. Così nelle epoche storiche l’Essere rende manifesto sia l’ente, sia l’uomo nei modi più diversi. Storia dell’Essere. Per l’uomo contemporaneo si esprime in modo negativo perché esso si attiene unicamente all’ente e quindi l’Essere si mostra come scuotimento di ogni ente e spaesatezza. Destino piomba sull’uomo contemporaneo come essenza alienata dalla Tecnica. Essere dimenticato, oblio, abbandono. Epoca del nichilismo. Estremo oblio può essere superato. Non grazie all’uomo ma all’Essere stesso. L’uomo può soltanto attendere la chiamata, essere la sentinella dell’Essere e custodirlo nel linguaggio. Questo è il compito più alto per l’uomo. L’avvento dell’Essere non dipende dall’uomo ma si fonda sul destino stesso dell’Essere. L’attuale notte, notte della lontananza di Dio, può essere superata. Questa è la Speranza… che un nuovo Dio appaia nella luce dell’Essere. Qui si ferma il compito filosofico. Il Pensiero futuro non è filosofia. Pensiero raccoglie il linguaggio nel suo semplice dire. Occorre Pazienza… “ Una voce chiama da Seir in Edom: Sentinella! Quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde: Verrà il mattino, ma è ancora notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta.” (Isaia, 21,11)
“Era il Re nascosto che regnava sul reame del Pensiero: un reame che, anche se affatto di questo mondo, è tanto celato in esso che non si è mai del tutto certi che esista veramente” (Arendt)
J.V.