LA STRATEGIA DI PECHINO
LA STRATEGIA DI PECHINO
“La strategia di Pechino si iscrive in una logica di scontro con l’occidente”
Nicolas Baverez, allievo di Raymond Aron, vede un mondo retto da rapporti di forza dove la libertà e i diritti umani saranno messi al bando
Scrive Le Figaro (6/11)
Il ventesimo congresso del Partito comunista cinese si è concluso con la consacrazione del potere assoluto di Xi Jinping, ora segretario generale a vita e sostenuto da sei fedeli all’interno del Comitato permanente dell’ufficio politico” scrive Nicolas Baverez, allievo e biografo di Raymond Aron, il cui ultimo libro è “L’Alerte démocratique”, uscito per le Éditions de l’Obsérvatoire. La concentrazione di tutti i poteri nelle mani di Xi Jinping – continua Bavarez – è indissociabile dal suo progetto di trasformare la Cina in una fortezza, al fine di conquistare la leadership mondiale all’orizzonte 2049, per il centenario della Repubblica popolare. L’obiettivo consiste nel costruire un mondo post-occidentale, retto da rapporti di forza dove la libertà e i diritti umani saranno messi al bando. L’ideologia marxista e la volontà imperiale oscurano l’economia. La fortezza è anzitutto economica. Mentre i “Quarant’anni gloriosi” della Cina sono stati alimentati dalla globalizzazione, Pechino accorda ora una priorità assoluta alla sicurezza. L’epidemia di Covid e i confinamenti senza fine sono utilizzati per preparare la popolazione a resistere a delle sanzioni occidentali e a un conflitto con gli Stati Uniti. La fortezza è anche commerciale, monetaria e finanziaria. Il mercato cinese chiude le porte alle aziende straniere, in particolare nel settore dell’automobile, grazie al dominio dei costruttori nazionali nelle auto elettriche, e in quello dell’aeronautica. Simultaneamente, Pechino porta avanti una strategia di dedollarizzazione del suo commercio estero con la Russia, ma anche con il medio oriente.
La fortezza è inoltre politica e ideologica. L’epidemia di Covid ha permesso un rafforzamento del controllo da parte del Partito comunista cinese sulla società e sugli individui attraverso un Big Brother digitale, ma anche la limitazione degli spostamenti e il divieto di viaggiare all’estero. L’inasprimento ideologico attorno al pensiero di Xi Jinping, autoproclamato “marxismo della Cina contemporanea e del Ventunesimo secolo”, e il ritorno in forza del culto della personalità, vanno a braccetto con il rafforzamento della natura totalitaria del regime. La fortezza cinese è infine militare e strategica, organizzata attorno alla rivalità con gli Stati Uniti e la costruzione di un ordine mondiale strutturato da zone di influenza. Ciò spiega la modernizzazione a marce forzate dell’esercito e il rafforzamento dell’arsenale nucleare. Ma anche l’aumento delle minacce contro Taiwan, con la negazione dell’indipendenza iscritta nella Costituzione e la simulazione del blocco e dell’invasione la scorsa estate. Ciò spiega inoltre il partenariato strategico siglato con la Russia di Vladimir Putin e il sostegno apportato all’invasione dell’Ucraina. Nonché la promozione di un’internazionale degli autocrati e la prosecuzione dell’accerchiamento dell’occidente attraverso la ricerca di un’alleanza con il sud globale. La strategia della fortezza cinese si iscrive in una logica di scontro armato con gli Stati Uniti. Il sacrificio della crescita e la chiusura delle frontiere destabilizzano il contratto politico con le classi medie, che non si basa più sull’ipernazionalismo. La ricerca dell’autarchia è indissociabile da una logica guerriera, che si incarna nel riferimento permanente fatto da Xi Jinping alla battaglia. A lungo termine, la trasformazione della Cina in fortezza non può che portare al suo declino, come accaduto regolarmente nella sua storia. A breve termine, essa crea una minaccia per la libertà politica. Dinanzi all’inasprimento del totalitarismo cinese e alle sue ambizioni imperiali, gli Stati Uniti hanno definito e applicano una chiara strategia di contenimento, che costituisce uno dei rari punti di convergenza tra democratici e repubblicani. Questa strategia dovrebbe trovare il suo prolungamento nella creazione di un consiglio delle democrazie dell’Atlantico e del Pacifico, con l’obiettivo di limitare l’espansionismo cinese e ricreare un legame tra l’ovest e il sud, in particolare attorno alla gestione del riscaldamento climatico. Ma l’Europa si sta affermando come l’anello debole del mondo dinanzi a Pechino. E questo accade a causa dell’accecamento della Germania, che commette nuovamente gli errori commessi con la Russia, cercando di preservare a ogni costo le sue esportazioni verso la Cina, che sono al centro del suo modello mercantilistico. La visita del cancelliere Olaf Scholz a Parigi, sullo sfondo di un aumento degli investimenti tedeschi in Cina e dell’entrata dell’azienda pubblica cinese Cosco nell’azionariato (25 per cento) di un terminal di container del porto di Amburgo, è una politica dell’appeasement destinata al fallimento, che Churchill definiva in questi termini: “Un pacifista è colui che nutre un coccodrillo sperando che lo mangi per ultimo”.
(Dal Foglio di lunedì 14 novembre 2022)
Condivido la breve ricostruzione di Beverez. Lo scenario è questo.
J.V.