LARBI BEN BAREK
LARBI BEN BAREK
«Se io sono il re del calcio, allora Ben Barek ne è il Dio» (Pelè)
Prima della Pérola Negra brasiliana, Pelé, di quella portoghese, Eusebio, c’è stata la Perle noire, l’uomo che “se io sono il Re del calcio, Ben Barek è il Dio”, disse O’Rey nel 1976. Larbi Ben Barek è stato un “calciatore sublime”, scrisse di lui Gabriel Hanot (il padre del Pallone d’oro) sul Miroir des Sports “E’ una mezzala che difende come un centromediano, ha lo scatto dell’ala, il tiro e lo spunto del centrattacco, la forza di un terzino. Ritenevo impossibile trovare la perfezione del calcio in un sol giocatore. E’ molto appagante, guardando giocare Larbi Benbarek, accorgersi di aver sbagliato”.
Nel 1954 Albert Camus grande appassionato di calcio scrive all’amico architetto Louis-Charles-Victor Miquel “Gli sguardi seguivano ammaliati il numero dieci dei marocchini (US Marocaine), increduli che tanta grazia potesse essere contenuta in un uomo così alto e così grosso, ma che correva con la leggerezza di un ballerino. Caro Louis già allora ero consapevole che un calciatore così forte non l’avrei mai più visto”.
Larbi Ben Barek nasce a Tata in un’oasi a trecento chilometri a sud-est di Agadir, Marocco. Per fame va a Casablanca e sempre per fame inizia a giocare a pallone. Mario Zatelli, suo compagno di squadra all’US Marocaine (poi allenatore del primo grande OM, quello dei due campionati vinti nei primi anni Settanta) disse che “Larbi ragionava per triangoli. Quando non vedeva i suoi compagni diventare vertici di un triangolo allora faceva da lui: una finta, un dribbling e tanti saluti agli avversari. Aveva un dribbling elegante ed efficacissimo”.
Disse di lui il grande Helenio Herrera “Benbarek era la classe. Non ho mai allenato nessuno del suo talento. Solo Luisito Suárez gli era superiore per visione di gioco, per il resto non c’era confronto”.
Arriva all’Olympique Marsiglia a vent’anni e diviene subito il beniamino dai tifosi per le sue capacità tecniche. Primo calciatore francese africano di successo in Europa. La sua carriera viene interrotta dalla Seconda guerra mondiale. Poi gioca con lo Stade Français e in Spagna con l’Atletico Madrid. I tifosi spagnoli lo chiamano “Il piede di Dio”. Con il suo aiuto, l’Atlético vince la Lega nel 1950 e nel 1951.
Torna a Marsiglia nel 1953, ma poco dopo si unisce all’USM Bel Abbès, dove conclude la sua carriera di giocatore.
Gran goleador ma soprattutto uomo dell’ultimo passaggio. Allo Stade Français il presidente dava premi a chi faceva l’assist, convinto che premiare economicamente chi segnava avrebbe creato problemi al gioco di squadra. In 103 partite segna 56 gol e serve 78 passaggi decisivi.
Non perde il vizio dell’assist nemmeno nelle cinque stagioni che gioca con l’Atletico Madrid tra il 1948 e il 1953. A Larbi Ben Barek c’era solo una cosa che piaceva più del calcio: i soldi. Per soldi non per gloria saluta l’US Marocaine nel 1938, per soldi ci torna nel 1939: in Europa c’era la guerra, l’OM non pagava e lui non voleva combattere. Per soldi preferisce la Nazionale della Francia a quella del Marocco. “Sono un calciatore, i francesi mi pagano di più. Perché dovrei giocare gratis? Di grandi calciatori ce ne sono pochi, ancor meno dei grandi medici. Se un professore di fama viene pagato tanto perché un calciatore non dovrebbe prendere di più?”.
Gioca nella nazionale francese 19 volte tra il 1938 e il 1954. Si infortuna nel ‘54 contro la Germania dopo mezz’ora. Non giocherà più.
Tornato a casa in Marocco circondato da un’aura leggendaria, sarà il primo ct della nazionale dopo l’indipendenza. Morirà nel 1992 a Casablanca, solo, povero e in disgrazia. Il suo corpo viene trovato una settimana dopo il decesso. L’8 giugno 1998, alla vigilia del Mondiale di Francia, la Fifa gli tributa alla memoria tutti gli onori.
J.V.