Leibniz
Enfant prodige come Pascal e Spinoza. Serbo di Lusazia, nasce a Lipsia nel 1646. Impara da solo il latino a otto anni partendo da un libro di Tito Livio. A quindici frequenta l’università per studiare giurisprudenza. A Lipsia lo ritengono troppo giovane e lui se ne va ad Altdorf, presso Norimberga, dove si laurea a pieni voti tra l’ammirazione generale dei dotti. A soli ventuno anni gli viene offerta una cattedra universitaria ma lui rifiuta per non avere obblighi. Ha già compreso quale sarà il problema della sua speculazione filosofica: accordare la concezione teleologica di Aristotele con la causalità meccanicistica di Cartesio. Intrattiene relazioni culturali con grandi dame, regine, duchesse e principesse. Del resto siamo nel secolo delle dame. La sua è una vita movimentata.
Lavora per gli Hannover e per loro compie diverse missioni diplomatiche. Viaggia per tutte le capitali europee, vive nel lusso, conosce i potenti. Scrive memorandum sulle sue missioni politiche. Propone al re di Francia di conquistare l’Egitto. Luigi non tiene in conto il memorandum ma è possibile che lo abbia esaminato Napoleone più di un secolo dopo.
Giurista, diplomatico, storico, magistrato, matematico, filosofo, scienziato… Leibniz è tutto questo è anche qualcosa di più. Precursore dell’informatica e del calcolo automatico, dell’inconscio… insomma un genio universale. Non a caso è ancora oggi assai studiato. Cerca di riunire le Chiese europee, poi quella occidentale con la greca seguendo la sua idea centrale: armonia. Presidente dell’Accademia prussiana delle Scienze, indaffarato in mille iniziative culturali di respiro europeo. Come abbia potuto avere tempo per dedicarsi agli studi scientifici resta un mistero. Eppure si occupa, con grande profitto, di matematica, fisica, meccanica, economia, linguistica, teologia e filosofia. Per non parlare dei suoi studi storici. Scrive quindicimila lettere ai potenti d’Europa, scopre il calcolo infinitesimale che lo porta ad una aspra e odiosa disputa con Newton.
Elabora una scrittura concettuale, un alfabeto del pensiero umano precorrendo la logica e la semantica contemporanee. Dalle conversazioni con Maria Carlotta di Prussia nasce la Teodicea.
Girovago impenitente, non abita in una propria casa ma in pensioni e alberghi, mangia molto e beve poco, spesso zoppica a causa di disturbi mal curati. Muore a settant’anni nella totale indifferenza.
Il suo capolavoro è la Monadologia, il tentativo di spiegare come la semplice estensione cartesiana sia insufficiente. Egli aggiunge il concetto di Vis, Forza, per spiegare la realtà. I punti di forza sono le unità più piccole, indivisibili e originarie che lui chiama monadi, dal greco monas, unità. Queste monadi sono viventi. Tutta la natura è piena di vita. Ogni monade è diversa dalle altre ed è di natura spirituale. Tutto viene spiegato in analogia con lo Spirito. La realtà non è materiale ma spirituale e le monadi sono organizzate gerarchicamente, dalle monadi semplici a Dio, che è la monade originaria. Appare problematica l’azione reciproca delle monadi. “Le monadi non hanno finestre attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire”. Esse sono autosufficienti. In ogni monade è presente tutto l’universo. Essa è un microcosmo che contiene in sé anche il passato e il futuro. Idealismo assoluto solipsistico. Tutto si regge grazie, a suo parere, all’armonia prestabilita che regola il rapporto tra le monadi sin dall’inizio. Tutto è tenuto assieme dalla creazione divina. Ecco che allora Leibniz si affanna a dimostrare l’esistenza di Dio e riporta in vita la prova ontologica a priori di Anselmo d’Aosta. Esistono poi verità eterne come le verità matematiche che risiedono nella mente di Dio. Dio è il fondamento della contingenza del mondo. Dio è il grande matematico che calcola tutto ciò che diverrà mondo. Il mondo è la molteplicità dello sguardo divino.
Domanda: si Deus, unde malum? Perché il mondo, proveniente da Dio, contiene tutto questo dolore? Ecco la Teodicea, la giustificazione del male nel mondo malgrado Dio. Secondo Leibniz il male è necessario, è una necessità divina e Dio ha scelto il migliore dei mondi possibili. Voltaire ironizza pesantemente su queste teorie leibniziane. Lo stesso Hegel parla di “romanzo metafisico”.
Per quanto mi riguarda cito Schopenhauer:
“Se finalmente a ciascuno si volessero porre sott’occhio gli orrendi dolori e strazi, a cui è la sua vita perennemente esposta, lo coglierebbe raccapriccio: e se si conducesse il piú ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l’occhio nella torre della fame di Ugolino, finalmente finirebbe anch’egli con l’intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno n’è venuto un inferno bell’e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per una impresa siffatta. Perciò non gli rimase se non trasmetterci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti, che a lui furono colà impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e da differenti santi. Da ciò apparisce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo”.(Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari, 1979, IV, 59, pag. 428)
Di Leibniz colgo aspetti geniali… però… ha ragione il misantropo.
J.V.