L’ORA DI RELIGIONE

L’ORA DI RELIGIONE

L’insegnamento della religione cattolica in Italia (talvolta abbreviato IRC e comunemente chiamato ora di religione), nasce dal concordato tra la Repubblica italiana e la Santa Sede. In ogni scuola italiana sono dedicate lezioni settimanali facoltative all’insegnamento della religione cattolica. La scelta di seguire o meno tali lezioni viene comunicata all’inizio del ciclo di studi e può essere liberamente modificata in sede di iscrizione agli anni scolastici successivi al primo.

Un minimo di storia. È d’obbligo partire dalla legge Casati del 1859 promulgata nel Regno di Sardegna. L’insegnamento è obbligatorio per i primi due anni delle elementari e viene impartito dal maestro unico. Nelle scuole secondarie l’insegnamento è a cura di un direttore spirituale. La religione rientra nell’ambito complessivo del programma educativo. Dopo la breccia di Porta Pia e la crisi dei rapporti tra il governo italiano e il Vaticano spesso la religione cattolica viene esclusa dai programmi. L’ora di religione vera e propria viene introdotta soltanto nel 1929, a seguito del Concordato tra Mussolini e la Santa Sede con carattere obbligatorio anche nelle scuole medie e superiori, quale “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”. Con la legge del 5 giugno 1930, n. 824, esecutiva dell’art. 36 del Concordato, si stabilisce che “l’insegnamento della religione è conferito per incarico annuale, dal primo ottobre di ogni anno L’incarico è affidato a sacerdoti e religiosi approvati dall’autorità ecclesiastica; in via sussidiaria, a laici riconosciuti idonei dall’ordinario diocesano”. Nel 1955 i programmi del ministro della D.C. Giuseppe Ermini assumono un carattere marcatamente confessionale. Soltanto con il Concordato del 1984 viene meno l’obbligatorietà dell’insegnamento. Nelle modifiche concordatarie del 1984 (L.121/1985 di applicazione del concordato) la formula viene trasformata così: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”. Si evince da ciò il carattere facoltativo, ribadito comunque da due pronunciamenti della Corte Costituzionale. Nel 2003 viene approvata la norma che istituisce il primo concorso pubblico interno alla scuola per l’immissione in ruolo di 13.000 insegnanti di religione che avessero esercitato la professione per almeno quattro anni nell’ultimo decennio. A tutela della stabilità occupazionale dei docenti viene stabilito che, in caso di revoca della licenza da parte dell’ordinario diocesano, il professore di religione possa passare di ruolo in un’altra materia fra quelle previste per la classe di laurea in suo possesso. Il concorso del 2003-2004 sarà l’unico caso di applicazione della legge 186/03. La legge 186/2003 prevede l’entrata in ruolo, previo concorso abilitativo, di circa quindicimila insegnanti (su circa venticinquemila complessivi), a copertura di circa il 70% delle ore di insegnamento, e rende il docente “organicamente inserito nei ruoli della scuola e non più soggetto ai caroselli degli incarichi annuali” (ministro Giuseppe Fioroni, 6 marzo 2007). La nomina del restante 30% è lasciato alla discrezione della Curia diocesana e alla conferma del dirigente scolastico. L’autorità diocesana si riserva comunque di revocare l’idoneità dell’insegnante per alcuni gravi motivi, come incapacità didattica o pedagogica, e/o condotta morale non coerente con l’insegnamento. Nell’anno scolastico 2009/10 in Italia vi erano 26.326 insegnanti di religione, di cui con 12.446 di ruolo e precari gli altri. Nel corso degli ultimi decenni si è avuta una profonda trasformazione del corpo docente da ecclesiastici a laici.

Assai ambiguo è lo Statuto didattico perché secondo il Testo unico in materia di istruzione “I docenti incaricati dell’insegnamento della Religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica”(Decreto Legislativo 16 aprile 1994, art. 309.3). Secondo tale disposizione sembra che il docente di IRC, al pari degli altri insegnanti, possa determinare promozione e bocciatura degli avvalentisi (l’espressione ricorrente in ambito scolastico è che il docente “può alzare la mano” come gli altri docenti in sede di scrutinio). Tuttavia altre normative sono meno chiare. In particolare l’intesa fra il Ministro della pubblica istruzione e il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 13 giugno 1990, convalidata dal DPR 23 giugno 1990, n. 202[ recita al punto 2.7: “Nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale”. Il termine ‘espresso’ è ambiguo: nello scrutinio il docente IRC deve ‘esprimere’ un giudizio che deve essere messo a verbale, ma non è chiaro se tale giudizio ha un carattere decisionale e costitutivo della maggioranza oppure no. La Sentenza n. 5 del 5 gennaio 1994 del TAR Puglia (sezione Lecce) ha stabilito che il giudizio degli insegnanti di religione cattolica iscritto a verbale deve “mantenere un carattere decisionale e costitutivo della maggioranza”. Dunque è valido per determinare promozione o bocciatura. Sullo stesso tenore la Sentenza del TAR Toscana n. 1089 del 20 dicembre 1999, ribadita dallo stesso TAR per un diverso ricorso con la Sentenza n. 5528 del 3 novembre 2005. Di parere opposto è la Sentenza n. 780 del 16 ottobre 1996 emessa dalla prima sezione del TAR del Piemonte, per la quale la valutazione espressa dall’insegnante di religione non rientra nel piano del computo effettivo dei voti. L’ordinanza ministeriale del 21 maggio 2001 n. 90 ha in parte ripreso l’ambiguità del DPR del 1990, stabilendo che nello scrutinio finale “il voto espresso dall’insegnante di religione, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale” (37.1). Nell’art 14.2 chiarisce però che “i docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento”.

Il ministro Fioroni con l’ordinanza ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007 sembrava aver chiarito definitivamente la questione concedendo all’IRC (e alle materie alternative) pari dignità rispetto alle altre materie: “I docenti che svolgono l’insegnamento della Religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Analoga posizione compete, in sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime” (8.13). Tuttavia il TAR del Lazio, accogliendo il ricorso di diverse persone ed associazioni laiche e cristiane non cattoliche, con l’ordinanza n. 2408 del 24 maggio 2007[dichiara invalidi i punti relativi all’IRC presenti nell’ordinanza del ministro Fioroni. A questa ordinanza del TAR farà però seguito l’ordinanza del Consiglio di Stato (di grado superiore al TAR del Lazio) n. 2920 del 12 giugno 2007 che accoglie il ricorso del ministro Fioroni. Poi nel 2009 sempre il TAR del Lazio, accogliendo ricorsi presentati da associazioni laiche e non cattoliche, con la sentenza n. 7076 del 17 luglio 2009, stabilisce, come nel 2007, che gli studenti frequentanti l’ora di religione non possono aggiungere crediti formativi al loro curriculum per l’esame di maturità e che agli scrutini gli insegnanti di religione non possono presenziarvi a pieno titolo. Il 12 agosto il ministro Gelmini annuncia ricorso al Consiglio di Stato, come fece Fioroni nel 2007. Il 10 maggio 2010 il Consiglio di Stato accoglie il ricorso del Ministero della Pubblica Istruzione avverso la sentenza del Tar del Lazio n. 7076 del 2009, pertanto gli studenti frequentanti l’ora di religione vedono ora riconosciuti crediti scolastici derivanti dalla frequenza dell’Insegnamento della Religione Cattolica. L’art. 6 comma 3 del DPR 122 del 22 giugno 2009, in vigore dal 20 agosto 2009, non ha nulla a che vedere con l’aggiunta di punti di credito scolastico derivanti dall’avvalersi dell’IRC, che era specificamente l’oggetto del ricorso del Ministero al Consiglio di Stato avverso la decisione del TAR del Lazio, perché riguarda la partecipazione alle decisioni riguardanti la determinazione del credito scolastico (all’interno della fascia di oscillazione determinata dal curricolo scolastico) che è lasciata alla discrezionalità del Consiglio di Classe. Come si vede un iter travagliatissimo con polemiche a non finire.

Gli studenti non avvalentesi possono scegliere una delle possibilità che ogni scuola deve offrire attività didattiche e formative (i cosiddetti “insegnamenti alternativi”) consistenti in studio individuale assistito, studio individuale libero, uscita dall’edificio scolastico (eccezion fatta per gli alunni delle scuole materne comunali, i quali hanno solo la possibilità di non avvalersi dell’IRC).

L’insegnamento delle religioni nelle scuole pubbliche è presente in quasi tutti gli altri paesi europei tranne Francia, Repubblica Ceca, Slovenia e Albania.

Ancora oggi in Italia IRC è al centro di feroci polemiche che discendono da differenti concezioni del mondo e della vita.

RIPORTO DUE POSIZIONI ASSAI DIFFERENTI

Quell’ora di religione che è da eliminare

Dall’Unità d’Italia passando per il Concordato che ha resistito alla fine del fascismo fino ad arrivare a oggi, perché è giunto il momento di eliminare l’ora di religione a scuola. Perché “senza laicità non c’è democrazia”.

Con l’Unità d’Italia e dopo la famosa Breccia di Porta Pia del 20 settembre del 1870, che segnava la fine del potere temporale dei papi, il giovane Stato italiano avviava un processo di laicizzazione della società, anche estromettendo l’insegnamento confessionale dalle sue scuole con la legge Coppino del 15 luglio 1877.

Questa classe dirigente liberale progressista e più attenta alle istanze sociali, era permeata della cultura europea positivista, e si rendeva conto della necessità di educare fin dall’infanzia al metodo scientifico. E per questo la scuola doveva insegnare ad osservare cose e fatti per sviluppare capacità di giudizio anlitico-critiche. Nelle classi della scuola elementare, facevano così la comparsa piccoli laboratori scientifici e armadietti con libri da prendere in prestito.

La scuola statale diventava il grande e prioritario investimento per l’istruzione di massa, obbligatoria almeno fino al ciclo elementare. In questa prospettiva nascevano nel 1888 i nuovi programmi per le elementari (R.D. n. 5292, 16 febbraio 1888), che introducevano lo studio dell’Educazione ai doveri dell’uomo e del cittadino al fine di fondare il nuovo legame comune di appartenenza alla cittadinanza. Come si diceva, il municipio si sostituiva al campanile!

L’alleanza clerical-fascista

La paura del rosso che aveva portato le forze più moderate e conservatrici del liberalismo a individuare nella religione del beati i poveri perchè loro sarà il regno dei cieli il migliore baluardo contro ogni cambiamento sociale, determinò l’abbraccio col fascismo. Con l’ascesa di Mussolini al governo, poteva allora accadere che il crocifisso ricomparisse nei luoghi pubblici, aule scolastiche comprese, e che le scuole dei preti avessero il riconoscimento statale, compresa l’Università cattolica fondata da Agostino Gemelli.

Lo Statuto Albertino stabiliva pur sempre che la religione cattolica fosse religione di Stato, e adesso il fascismo rispolverava questo principio in omaggio al Vaticano. Poteva allora accadere che il ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile, nel 1924 introducesse alle elementari in orario scolastico e a spese dello Stato l’ora di religione: «A fondamento e coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica».

Il Concordato e l’ora di religione

Col Concordato del 1929 si recideva quel processo di laicizzazione che lo Stato liberale aveva faticosamente iniziato a costruire, e si creava una strutturale interferenza della curia vaticana nella sovranità statale. Mentre si propagandava che i patti lateranensi sanavano la “questione romana”.

Ci si guardava però bene dal ricordare la legge delle Guarentigie del 13 maggio 1871, con cui lo Stato liberale aveva riconosciuto al papato oltre alla sua funzione di esercizio religioso, esenzioni tributarie e numerose proprietà immobiliari, si era impegnato a versargli per il sostegno del clero ben 3.225.000 lire annuali e rivalutabili. Ma Pio IX, che pur si vedeva arrivare nelle sue casse quel generosissimo tributo dallo Stato italiano, continuava a reclamare il potere temporale: «potestà a Noi affidata da Dio» (Enciclica Ubi Nos). Così pure i pontefici dopo di lui, fino a quando non arrivò Benito Mussolini, che Pio XI salutava come «l’uomo della provvidenza», mobilitando anche tutti i Vescovi in questa propaganda con una lettera del 28 ottobre 1922 (tre giorni prima della Marcia su Roma).

Col Concordato del 1929, la religione cattolica diventava religione di Stato, ed era posta «a coronamento» dell’istruzione pubblica. La materia “Religione” compariva ad inizio pagella, ma non incideva sulla media dei voti. Da “Religione”, tuttavia si poteva anche essere esonerati: a domanda scritta e motivata dal genitore.

Il Fascismo cadde. Il Concordato no

Anzi venne menzionato addirittura nella Costituzione repubblicana, che pure dall’antifascismo nasceva. Nelle scuole della Repubblica “Religione” continuava ad esserci. Alle elementari era insegnata dagli stessi maestri. E si limitava molto spesso ad una recita di qualche preghiera prima dell’inizio delle lezioni. Alla scuola media consisteva in nozioni di catechismo. Alle superiori, gli studenti solitamente approfittavano di quell’ora per prepararsi nelle altre materie.

Poi arrivò il boom economico. A seguire il grande processo di emancipazione culturale e sociale, culminato negli anni 70. La fede anche a scuola trovava sempre meno credito, soprattutto nei licei, dove gli insegnanti di “Religione” per intrattenere i ragazzi parlavano con loro di questioni sociali e problemi giovanili.

L’ora di religione diventava una sorta di incontro dove poter dire le proprie opinioni su sessualità, rapporti con la famiglia, ecc. Ma i pochi insegnanti di religione che osavano prendere posizioni difformi dalla ufficiale morale cattolica su divorzio, pillola, aborto, omosessualità, famiglia, femminismo, ecc. erano su ordine del Vicariato prontamente sollevati dalla cattedra e dallo stipendio.

La selezione e designazione di questi particolari docenti a cui lo Stato italiano paga lo stipendio, come previsto dal nuovo Concordato del 1984, e come ancora oggi avviene spetta infatti ai Vescovi locali.

1984 – il nuovo Concordato

Al governo c’era Bettino Craxi, che in cerca di unzioni ecclesiali, offriva al mondo clericale l’opportunità per riconquistare il terreno perduto in una società sempre più laicizzata e secolarizzata.

Col nuovo Concordato la religione cattolica non è più religione di Stato, ma «riconoscendo il valore della cultura religiosa e […] i principi del cattolicesimo […] parte del patrimonio storico del popolo italiano» (art. 30), la Chiesa curiale era chiamata dalla Repubblica alla «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del paese» (art. 1).

Insomma, ancora una volta (e forse peggio di una volta) si legittimava una defezione di sovranità statale nella subordinazione a un sistema valoriale di fede, fatto assurgere a entità degli italiani tutti.

In virtù del nuovo Concordato la Chiesa vaticana riprendeva quota, anche grazie ai fiumi di denaro che lo Stato italiano le elargiva.

E che continua a elargirle esentandola anche dal pagamento di tasse e tributi di ogni sorta.

IRC

Col rinnovo del Concordato, ragione avrebbe voluto che nella scuola statale di un paese laico e democratico non ci fosse nessun insegnamento confessionale. Un’istanza perorata anche da tanti credenti ormai emancipati dal confessionalismo clericale.

Ma le cose andarono diversamente. La vecchia ora settimanale di “Religione”, inserita in tutti gli ordini e gradi di scuola veniva estesa finanche nella scuola d’infanzia. La denominazione adesso era esplicitata in Insegnamento della Religione Cattolica (IRC).

Insegnamento – attenzione a questa dicitura – «obbligatorio nell’orario e facoltativo nella scelta». Una formula studiata per garantire all’IRC presenza strutturale. Garantendo a quell’ora settimanale di confessionalismo cattolico di essere parte integrante dell’orario scolastico. E quindi, diciamo, del sistema scolastico.

E nelle scuole fu guerra di religione!

Da subito, si cominciò a pretendere che restassero a scuola anche quanti non volessero frequentare né religione, né materie alternative, né studi individuali (queste le opzioni per legge).

Chi aveva in quegli anni figli e nipoti in età scolare ben rammenta le discriminazioni subite, le pressioni fatte sui bimbetti a cui insegnanti attivissimi spiegavano che era tanto bello stare tutti insieme a parlare di Gesù, della Madonna madre di tutti, e di Dio Padre onnipotente. Mentre certe madri e certi padri invece volevano portarli via; non farli stare in classe con tutti gli altri.

Chi non ha vissuto quel periodo neppure immagina il dolore e lo strazio procurato da quei “pii maestri” che nelle classi facevano apparire agli occhi avvalentisi (questa è la dicitura di legge di chi sceglie l’IRC) come un’anomalia i non avvalentisi (definizione anche questa di legge, ma dalla connotazione negativa).

Per i genitori che volevano far valere il diritto di lasciare i figli fuori dall’IRC era un dramma. Come spiegare a un bambino, che tornava a casa triste perché magari era stato anche rimbrottato dai compagnucci “avvalentisi”, il valore della libertà di coscienza, quando proprio nella Scuola della Repubblica c’era chi contro quella libertà di coscienza remava?

La lotta fu davvero dura ed impari. Ma quei genitori-coraggio hanno resistito! E hanno trovato il modo di far capire ai bambini “non avvalentisi” dove stava il torto e la ragione.

Il ripristino della laicità costituzionale

Nel frattempo, la battaglia legale che era stata intrapresa dai laici pertinaci dava i primi risultati positivi, e ricordava a tutti che c’è la Carta costituzionale a garantire la civile convivenza democratica. E questa esclude privilegi e discriminazioni. Compresi quelli che qualcuno vorrebbe accaparrarsi in nome di Dio (o se preferite nominando Dio invano!)

Ci sono voluti ben due pronunciamenti della Consulta per liberare gli studenti “non avvalentesi” dall’essere sequestrati a scuola durante l’ora di IRC che i loro compagni di classe frequentavano.

Finalmente la Suprema Corte statuiva, non solo la legittimità di non seguire l’ora di cattolicesimo, ma neppure un insegnamento ad esso alternativo, e neanche lo studio individuale.

La sentenza n°203 del 1989 affermava infatti: «la previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno».

E la sentenza n° 13 del 1991 fissava la non negoziabilità dello «stato di non obbligo».

Si chiariva così l’assurdità di voler porre a tutti i costi una correlazione tra IRC e Materia alternativa, perché lesiva della libertà di coscienza garantita dallo Stato laico.

Di qui – stabiliva la Consulta – l’inderogabilità di «non rendere equivalenti o alternativi l’insegnamento della religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall’interno della coscienza individuale l’esercizio di una libertà costituzionale, come la libertà religiosa».

I ragazzi erano più tutelati dai pronunciamenti giuridici. E in nome del supremo principio costituzionale della laicità dello stato (ribadito proprio dalla Corte Costituzione in occasione di tali sentenze) presidi e insegnati si impegnavano con più sicurezza a fare la loro battaglia e a sorvegliare contro eventuali discriminazioni.

Le scuole per facilitare l’organizzazione di tutta la materia: collocavano l’IRC alla prima o all’ultima ora; fornivano l’assistenza allo studio individuale e alle attività libere; deliberavano anche di non stabilire materie alternative, favorendo così l’uscita da scuola…

E facendo cadere nel vuoto anche l’ipotesi ministeriale di introdurre una stupefacente unica materia alternativa: «Conoscenza dei diritti umani», il cui programma suggeriva la riflessione sulla diversità. E diverso non è considerato chi non fa e pensa quello che fanno tutti gli altri? Quindi, chi non frequentava l’ora di religione non era chiamato in pratica a riflettere sulla sua diversità? Ovviamente non ne fece nulla.

Religione in default ed espedienti di salvataggio falliti

Alle superiori, intanto, il numero di coloro che sceglievano l’IRC andava diminuendo negli anni.

Un dramma per i clericali! Che fare? Ecco allora il ricorso all’espediente di dare peso all’ora di Religione ai fini della valutazione. Fare in modo cioè che il giudizio dell’insegnante di cattolicesimo pesasse al momento dello scrutinio per decidere la progressione scolastica.

E anche lì altre lotte per ricordare che, proprio col Concordato del 1984 e con le intese tra Ministero della Pubblica Istruzione e la Cei (DPR 751 del 1985 e modifiche del DPR 202 del 1990), l’insegnante di religione cattolica siede al consiglio di classe, dice la sua per quei ragazzi che frequentano l’IRC, ma in occasione della delibera di promozione o bocciatura, il suo voto non conta. Ci fu bisogno di ricordare che per l’IRC è prevista una nota informativa al di fuori della pagella (Decreto legislativo 297/ 94).

Insomma, che si trattava di un giudizio e non di un voto. I voti si hanno infatti nelle materie obbligatorie per tutti. Quelle che fanno media. Quelle sulle quali si sostengono esami. E per le quali si è promossi o bocciati.

Ma ogni occasione era buona per cercare di aggirare la legge per rilanciare l’IRC soprattutto nei licei e nelle grandi città, dove le scelte dei ragazzi ribaltavano i rapporti numerici: se prima quelli che non seguivano l’ora di religione erano uno, due o tre per classe, adesso capitava il contrario.

Ecco allora che (senza successo) ministri zelanti cercarono di darle peso nel punteggio di presentazione agli esami di Diploma. Ma anche in questa occasione la Magistratura (Cfr: sentenza n°7076 del 17 luglio 2009, emessa dal TAR del Lazio) ha dichiarato del tutto illegittima la pretesa; rifacendosi anche alle fondamentali sentenze della Corte Costituzionale (n° 203 del 1989 e n° 13 del 1991).

Senza laicità non c’è democrazia

Insomma, è stato ribadito che la laica Repubblica democratica italiana «non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante, quindi un’indiscriminata tutela violando il pluralismo ideologico e religioso che caratterizza indefettibilmente ogni ordinamento democratico moderno». Pertanto «certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un’implicita promessa di vantaggi didattici, professionali e in definitiva materiali». E ancora: «Un insegnamento di carattere etico e religioso strettamente attinente alla fede individuale non può infatti assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede».

Vale per il cattolicesimo e per ogni altra confessione religiosa, come esplicitava la Magistratura italiana, specificando che «L’insegnamento di una religione, qualunque essa sia (cattolica che di altri culti) possa essere assimilata a qualsiasi altra attività intellettuale o educativa».

Insomma, l’ora di religione, e di qualunque religione si tratti non è equipollente alle altre materie. E onde evitare altri equivoci relativi ai “crediti scolastici” che il consiglio dei docenti può decidere di attribuire ad attività svolte fuori dalla scuola (extrascolastiche), la Magistratura ha stabilito che: «qualsiasi religione per sua natura non è né un’attività culturale, né artistica, né ludica, né un’attività sportiva né un’attività lavorativa, ma attiene all’essere più profondo della spiritualità dell’uomo e a tale stregua va considerata a tutti gli effetti».

Ma la Magistratura vuole contrastare anche forzature utilitaristiche allo scopo di incrementare l’adesione al cattolicesimo. E così stabilisce: «Sotto tale profilo è dunque evidente l’irragionevolezza dell’Ordinanza che, nel consentire l’attribuzione di vantaggi curricolari, inevitabilmente collega in concreto tale utilità alla misura dell’adesione ai valori dell’insegnamento cattolico impartito». Insomma, la fede non va a punti! Né può essere strumentalmente utilizzata per accreditare il suo sistema valoriale nel processo educativo. Diversamente ci troveremmo in uno Stato confessionale! In uno stato teocratico!

L’operazione “scuola dell’identità”

I politici chierichetti non desistono! Ed ecco il lancio della “scuola dell’identità”, che avrebbe dovuto pervadere trasversalmente tutte le discipline d’insegnamento. Mentre l’ora di religione (IRC) si cerca di rilanciarla in veste di «insegnamento obbligatorio opzionale». Un ossimoro che serviva a riportare agli onori della pagella l’ora di religione cattolica per farla contare tra i voti.

La truppa berlusconiana ne aveva fatto il proprio vessillo, nello sfarzo mediatico ad honorem del cavaliere, novello Unto del Signore, osannato e incensato dai maggiori vertici della Chiesa vaticana.

Vale appena ricordare la proposta dell’on. Garagnani, approvata il 22 gennaio 2009, che recitava: «sia reso esplicitamente obbligatorio nelle indicazioni nazionali il preciso riferimento alla nostra tradizione culturale e spirituale che si riconnette esplicitamente al Cristianesimo».

E il Governo plaudente ricordava che il progetto era stato già avviato: «Peraltro la nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo così come le vicende dei rapporti tra Stato e Chiesa, con particolare riferimento all’Italia, già sono oggetto di studio nell’insegnamento della storia sin dalla scuola primaria e rappresentano, trasversalmente, l’asse portante di altri insegnamenti».

Era la riproposta di quella “scuola dell’identità” nucleo della riforma Moratti (Legge delega nel 2003), che metteva mano ai programmi per trasformare le materie d’insegnamento in una lunga ora di religione cattolica. Si partiva dalla Storia, ma tutte le materie d’insegnamento dovevano adeguarsi, in ossequio a creazionismo e catechismo.

Su questa autostrada, si innesta nel 2008 il disegno di legge n° 953 di Valentina Aprea: «Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti», che prevedeva di piegare la libertà d’insegnamento dei docenti «al sistema valoriale dei gruppi prevalenti sul territorio». In pratica la rete delle parrocchie.

Per non parlare della “cultura civica” inserita dalla ministra Gelmini nei programmi scolastici, e lasciata in pratica al “volontariato” (dove certo non mancano le truppe cattoliche).

Altro giro, stesso valzer!

E chi dal Ministero dell’Istruzione, in qualche modo la danza ostacola, non dura molto!

Come nel caso del ministro Lorenzo Fioravanti, che nel 2019 osava difendere la laicità della scuola statale, esprimendo anche il proprio dissenso sull’affissione del crocifisso: «Io credo – aveva osato dire in una trasmissione televisiva – in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche […]. Meglio appendere una cartina geografica del mondo con richiami alla Costituzione». Risultato? Veniva silurato dopo soli 3 mesi di incarico, e isolato politicamente anche dai vertici del suo partito! Oppure si pensi che, tra le tante guerre strumentali portate alla ministra Lucia Azzolina, non è mancata quella di non voler difendere “l’identità cattolica”. A cui lei con serenità rispondeva: «caratteristica prima della scuola pubblica italiana è la sua laicità e pluralità: la scuola è di tutti e per tutti, senza distinzione di razza, di sesso, di genere, di religione. Esiste un dettato costituzionale che è bene ricordare tutti i giorni».

La laurea passe-partout

Il mai dismesso disegno della colonizzazione vaticana della scuola pubblica sta attualmente tentando una nuova strada.

Nel quasi totale silenzio mediatico, in occasione dell’approvazione in Senato (13 maggio 2021) della «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, recante misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici» è passato un emendamento (10.27) a firma del senatore Roberto Rampi che recita:

«A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, per il reclutamento di personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 maggio 2001, n. 165, il possesso del titolo di laurea magistrale in scienze delle religioni (LM64), secondo la classificazione indicata dal decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, spiega [ha] i medesimi effetti del titolo di laurea magistrale in scienze storiche (LM84), scienze filosofiche (LM78) e in antropologia culturale ed etnologia (LM01)».

Questo significa che gli «scienziati delle religioni» possono aspirare all’insegnamento di Italiano, Storia, Geografia nella scuola media. Alle superiori di Filosofia, Psicologia, Pedagogia, Italiano, Storia, Storia dell’arte, Latino, Greco. E chissà quanto altro ancora, tra “sperimentazioni” e “accorpamenti” di aree disciplinari.

Una manna, se pensiamo che gli sbocchi lavorativi codificati per i laureati in scienze delle religioni erano quelli di mediatori e comunicatori in materia religiosa, nonché titolo (previo bene stare del Vescovo – Ordinario diocesano) per l’insegnamento della religione cattolica.

Intanto, nel mercato del cyberspazio-laurea, pare si stiano moltiplicando le offerte per mettere in grado i laureati in scienze delle religioni di accumulare i punti necessari ad assicurarsi la ghiotta e inaspettata opportunità di accessi pluricattedre.

E in un futuro non molto lontano non è difficile ipotizzare il moltiplicarsi dei corsi di laurea in scienze delle religioni. Un giro d’affari in cui non mancherà certo il ruolo di chi della religione dice di avere il sacro appalto!

La riconquista di Porta Pia?

Lo spettro di una lunga ora di religione cattolica avanza. Una vera e propria riconquista della scuola “santuario dell’educazione cristiana”, come a ridosso del Concordato mussoliniano ricordava Pio XI con l’enciclica Divini illius magistri: «La scuola, considerata anche nelle sue origini storiche, è, di sua natura, istituzione sussidiaria e complementare della famiglia e della Chiesa; e pertanto, per logica necessaria morale, deve non soltanto non contraddire, ma positivamente accordarsi con gli altri due ambienti, nell’unità morale più perfetta che sia possibile, tanto da poter costituire, insieme con la famiglia e la Chiesa, un solo santuario, sacro all’educazione cristiana».

E il tema della sussidiarietà non è stato e continua ad essere vivo nelle istanze vaticane per giustificare la legittimità del finanziamento delle sue scuole private (in Italia a stragrande maggioranza cattolica)?

Come si vede il pericolo di riportare la religione cattolica a coronamento dell’istruzione è sempre in agguato.

Attenzione ai surrogati

Allora occorre anche fare molta attenzione a quella ricorrente insidiosissima proposta di sostituire l’IRC con “Cultura religiosa” o “Storia delle religioni”.

Stiamo molto attenti. Perché, un conto è affrontare il fenomeno della religione in una prospettiva storico-antropologica-scientifica. Ben altro è fissarlo in una dimensione di sacralità, parte integrante di una sopposta essenza umana, ontologicamente programmata nel finalismo religioso.

Ma preoccupazione dovrebbe darci anche l’avanzare della legittimazione della sharia. Già legalizzata nella gestione del diritto di famiglia in alcuni stati europei. E che in nome del frainteso multiculturalismo potrebbe portare a elevare le scuole coraniche alla funzione di sussidiaria pubblica.

Allora, se crediamo ancora nell’Europa e nei valori di libertà laicità democrazia, ritengo che sia sempre più quanto mai necessario intensificare la nostra azione culturale-politica-sociale affinché il nostro motto: Né dogmi Né padroni sia sempre più il motore per l’emancipazione e l’autodeterminazione individuale e sociale. Di cui la scuola dello sviluppo del pensiero analitico-critico, è il volano per contrastare la destrutturazione cognitiva di società sempre più democraticamente liquefatte. E che favoriscono, quindi, l’avanzata di nazionalismi e totalitarismi.

(MARIA MANTELLO, MICROMEGA, 20 Giugno 2022)

Perché insegnare religione cattolica nello stato laico?

Quaderno 4066 – pag. 411 – 412

17 Novembre 2019

In un contesto sociale secolarizzato molti si pongono questa domanda, spesso con malevolo scetticismo. Risponde Angèle Rachel Bilégué, professoressa di Filosofia e di Religione cattolica a Roma. La sua documentata analisi può essere interessante anche in quanto lei, pur vivendo in Italia, proviene dal Camerun e il suo sguardo è meno influenzato da pregiudizi ambientali. La questione è sempre attuale in Europa, ma diventa un problema spinoso in Italia, dove la presenza del papato e quella dello Stato della Chiesa hanno attraversato i secoli.

L’insegnamento della religione cattolica è dunque compatibile con lo Stato laico? Lo Stato è obbligato ad assicurarlo in forza degli accordi con la Santa Sede; tuttavia, lasciando da parte la giurisprudenza, la sua presenza nella scuola pubblica è fondata sul riconoscimento di un triplice ordine di considerazioni. 1) Innanzitutto, l’intera tradizione culturale occidentale si è formata attraverso la continua interazione con il fenomeno religioso; per questo non si possono capire le sue stesse radici senza una piena comprensione dell’evoluzione religiosa e della sua influenza nella storia europea. 2) La religione cattolica, poi, è centrale nel patrimonio storico e nell’identità del popolo italiano, e la vita sociale si regola ancora secondo le ricorrenze del cristianesimo. 3) Più in generale, la proposta di un insegnamento religioso «consente la riflessione sui grandi interrogativi posti dalla condizione umana (ricerca identitaria, vita di relazione, complessità del reale, bene e male, scelte di valore, origine e fine della vita, radicali domande di senso…)» (p. 51).

Fra l’altro, con la revisione del Concordato del 1984, l’insegnamento della religione cattolica diventa una materia facoltativa, e viene lasciata alla libertà di coscienza di alunni e genitori la scelta se avvalersene o meno. Esso diviene anche un insegnamento culturale, e non più catechetico. Non richiede la conversione e la fede, ma, inserito nel quadro delle finalità della scuola, può contribuire al pieno sviluppo della personalità, «offrendo un contributo originale e specifico al percorso educativo» (p. 33); può aiutare il dialogo in un mondo religioso plurale e portare a un arricchimento culturale, sociale e umano.

Per il suo particolare carattere, questo insegnamento si pone in stretto rapporto con la Chiesa; ma più che la necessaria conformità alla dottrina, giova mettere in risalto la particolare natura del profilo richiesto all’insegnante: egli deve essere innanzitutto un uomo di fede, testimone coerente, per una proposta attuale e una scelta di vita totalizzante, lontana da proselitismo ottuso e fideismo integralista.

L’autrice tende a chiarire ogni dubbio circa l’insegnamento della religione cattolica e il contributo che esso può dare anche in uno Stato laico, delinean­do tuttavia un quadro ideale che si scontra con una realtà problematica e complessa, nella quale «la crisi educativa è molto evidente» (p. 33), c’è una profonda discontinuità tra scuola, famiglia e società, ed è molto difficile trasmettere valori primari di riferimento alle nuove generazioni. La dimensione religiosa viene spesso disprezzata, disattesa ed emarginata, soprattutto negli ultimi anni della scuola secondaria.

In questa situazione, tutti gli attori – famiglie, insegnanti (compresi quelli di religione cattolica), Chiesa e comunità – sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità, per tentare di uscire dall’emergenza educativa, sostenendo «l’impegno personale del giovane, mostrando la bellezza e la positività del dono di sé agli altri» (p. 94).

(ANGÈLE RACHEL BILÉGUÉ, Perché insegnare religione cattolica nello stato laico?, Torino, Elledici)

Per quanto mi riguarda ritengo che la storia d’Europa sia legata alla storia religiosa. Rifiuto però ogni insegnamento di tipo confessionale.

J.V.

Rispondi