Manzoni
Manzoni
Figlio di Pietro Manzoni, piccolo nobile ricco e amante di arte e poesia da dilettante démodé, e della vivace Giulia Beccaria, intelligente e audace figlia del celeberrimo e mai abbastanza apprezzato Cesare, autore “Dei delitti e delle pene”. Chiacchiere sulla vera paternità di Lisander. Il perfido e malevolo Tommaseo berciava pubblicamente che il vero padre del ragazzo (non ancora monumento) fosse Giovanni Verri, audace libertino amante storico di Giulia prima che la bellissima donna lasciasse il marito per andarsene a vivere a Parigi con Carlo Imbonati, lasciando il giovane Alessandro in collegio. Poi raggiungerà la madre all’età di vent’anni e non le farà mancare le preoccupazioni essendo assai nervoso e fortemente edipico. Così l’astuta e pragmatica Giulia decide che il figlio abbia da prender moglie. Poco importa se la giovane Enrichetta Blondel è calvinista. Così a soli ventitré anni Alessandro impalma la diciassettenne Enrichetta prima con rito civile e poi di religione calvinista.
Nel 1810 conversione al cattolicesimo e conseguente rito cattolico. Dieci figli dei quali solo due sopravviveranno al padre.
Verso i trent’anni “afflitto da balbettamento organico e nervoso” che gli impedisce di svolgere autentica vita pubblica, Alessandro deve essere sempre accompagnato nelle sue uscite. Indossa una maschera conformistica per paludare attacchi di panico continui. Esplodono balbuzie ed agorafobia che non lo lasceranno sino alla morte. Svenimenti, crisi di panico, ipocondria, insonnia cronica, ossessione per il romanzo in cantiere continuamente aperto e rielaborato. Nel 1822 pubblica “Fermo e Lucia”, poi lo rielabora tra il ‘23 e il ‘27, poi per dieci anni lo corregge in modo maniacale. Intanto, sfinita dai parti continui e dalla cecità, nel 1833 Enrichetta muore. La solita Giulia convince il figlio a risposarsi con l’energica e assai pragmatica Teresa Grossi. Il romanzo, finalmente “I promessi sposi” esce nel ‘40, un anno prima della morte di Giulia. Da questo momento silenzio. Era morta l’unica donna che avesse veramente amato nella sua vita.
Il gran romanzo va letto e riletto continuamente ed è impossibile comprenderne la infinita grandezza prima dell’età matura. È il libro scritto da un giovane vecchio che deve difendersi dalla nevrosi probabilmente covata in collegio ed esplosa a trent’anni. Letture psicoanalitiche novecentesche abbondano così come quelle ideologiche. Personalmente non le gradisco punto, le trovo spesso esagerate e onanistiche. Certo è discutibile l’imposizione della lettura di tal romanzo a soli quindici anni. Credo che tutto ciò che è imposizione sia discutibile e deprecabile. Ma se si ha la fortuna, che io ho avuto, di incontrare un eccellente professore, anche la prima lettura scolastica può essere di buon auspicio per il futuro. Difficile comunque apprezzarne le meravigliose ed ardite costruzioni prima dei cinquant’anni. Così come è complicato leggere nelle pieghe più profonde l’Adelchi, i suoi dolorosi pensieri, le sue tremende riflessioni sulla Storia, la natura umana, la quasi totale assenza di luce, il carattere vile degli italiani, l’accadere continuo del Male, la Violenza che innesca violenza, il mancato messaggio di Cristo, la sopravvivenza dei vinti e la feroce volontà di dominio dei vincitori. È possibile soltanto una felicità negativa legata alla forza… “Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi dritto: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e omai la terra altra messe non dà. Reggere iniqui dolce non è; tu l’hai provato: e fosse; non dee finir così? Questo felice, cui la madre morte fa più fermo il soglio, cui tutto arride, tutto palude e serve, questi è un uom che morrà”.
Passi di sapienza gnostica nei quali emerge il trionfo della durissima Realtà Materiale. Un’anticipazione dell’immenso Kafka dove il diritto è la Menzogna che garantisce il mito sacrificale del capro espiatorio celandolo con la Legge.
Il 6 gennaio 1873, all’uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano, l’anziano Manzoni cade e batte la testa. Non lo aiuta apprendere la notizia della morte del figlio maggiore. Dopo qualche giorno entra in stato catatonico. Nel pomeriggio del 22 maggio muore.
Ai solenni funerali del Senatore, celebrati in Duomo il 29, partecipano le massime autorità dello Stato, tra cui il futuro re Umberto I, il ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta e le rappresentanze della Camera, del Senato, delle Province e delle Città del Regno. Così scrive Venosta “Per le strade un gridio di venditori di fotografie del gran poeta, di ritratti d’ogni formato, d’ogni prezzo… Le pareti delle case erano tappezzate di avvisi portanti il nome del Manzoni […] gli uomini erano tutti nelle vie, e metà Milano, a non esagerare, volle seguire il feretro al Cimitero”
I cattolici intransigenti non si uniscono al generale cordoglio.
Don Davide Albertario, uno dei più accaniti oppositori della religiosità e dell’opera manzoniana, scrive “Manzoni non iscorse o non volle iscorgere l’inganno che la rivoluzione nascondeva alle promesse di unità italiana […] Egli pertanto non si unì ai difensori della fede; lasciò in disparte gli alti interessi del cattolico e fece proprii quelli della rivoluzione; non per questo rinnegò il cattolicismo, ma lo portò seco nel campo nemico, ed i nemici accolsero con plauso lui e il divin prigioniero [il Papa, n.d.a].“
Benedetto Croce, nel 1941, ricorda come ancora a distanza di anni dopo la morte di Manzoni i cattolici “intransigenti” facessero sentire la loro voce tramite quella di Giovanni Papini “Alessandro Manzoni, ricco dei più velenosi succhi dell’illuminismo francese, non vede nel Cattolicesimo se non un umanitarismo sociale con dei riti da godere più che da approfondire; aspetta che sian morti tutti i giansenisti italiani per disdire le sue prime tentazioni di schifiltoso rigorista, e nemmeno le disdice; rappresenta un Vescovo talmente grande che è difficile trovarlo nella vita e nella storia, fuorché nei Santi, mentre il suo santo non è; rappresenta un frate, dissimile troppo dai suoi pari e superiori; una suora omicida, lussuriosa e manutengola; rappresenta un parroco tanto vile che san Giovanni Bosco non glielo perdonerà mai; non dice una parola, nella sua lunga vita, a difesa del Pontificato romano nell’Ottocento, sfidando condanne autentiche della Santa Sede, a cui obbedivano, pur soffrendo, Vescovi, sacerdoti, laici; e nonostante tutto questo, tutti i cattolici lo considerano lo scrittore cattolico per eccellenza e qualcuno addirittura lo proporrebbe volentieri per santo.” Insomma una condanna senza appello in linea con la critica ideologica della vulgata “sinistra“.
Tra coloro che lo apprezzano invece troviamo il grande Giuseppe Verdi che nel 1874, nel primo anniversario della morte, dirige personalmente nella chiesa di San Marco di Milano la Messa di requiem, composta per onorarne la memoria.
Poco mi interessano le critiche malevole e superficiali o dettate da livore ideologico. Ciò che mi interessa sono gli studi seri, attenti e rigorosi di critici come Carlo Emilio Gadda, capace di demolire il sopravvalutato e malevolo Moravia, Luigi Russo, Giovanni Getto, Lanfranco Caretti, Ezio Raimondi. Grazie a questi studiosi si è scrostato Manzoni dalla patina di pregiudizio ideologico.
Si può intuire la grandezza di Manzoni guardando un film di Ermanno Olmi, “Il mestiere delle armi”,rigoroso, filologico, secco, triste, buio… non vi è luce divina sulla terra… solo freddo e nebbia, fatica e dolore. Meditazione sulla Storia, sulla Guerra, sulla Morte. Volutamente lento come la nostra sofferenza, intelligente, profondo, ricco di umana compassione. Un film manzoniano sino al midollo. Da Manzoni ho imparato molto, con lentezza, sacrificio, impegno, attenta lettura. Manzoni è come i grandi amori che durano una vita ma si palesano in tutta la loro evidenza soltanto in un attimo, somma di lentezza, pazienza, abnegazione, silenzio e comprensione. Ormai sono consapevole che soltanto un debole raggio di luce può illuminare tenuemente una strada densa di buio e nebbia. Però quella timida luce ancora esiste.
J.V.