Maria Antonietta: dal Rococò alla Ghigliottina
Maria Antonietta: dal Rococò alla Ghigliottina
Vienna, 2 novembre 1755, residenza imperiale della Hofburg, viene al mondo Maria Antonia Josepha Johanna, quindicesima e penultima figlia dell’imperatrice Maria Theresia e di Francesco Stefano di Lorena. A due anni viene colpita dal vaiolo ma, al contrario di molti suoi fratelli e sorelle, sopravvive e non resta neppure deturpata. A quel tempo le malattie terribili come il vaiolo entrano anche nelle residenze imperiali. La bambina cresce sana, deliziosa, capricciosa e assai poco studiosa. I saloni enormi dello Schönbrunn, l’altra residenza imperiale di Vienna, sono per lei solo spazi destinati al gioco con i fratelli e le sorelle, con i piccoli amici. La madre è un’imperatrice troppo occupata con gli affari di Stato per potersi dedicare seriamente all’educazione di questa piccola deliziosa bambina, destinata ad un matrimonio politico importante nella migliore tradizione asburgica: Bella gerant alii, tu felix Austria, nube! Nam quae Mars Aliis, dat tibi regna Venus (Lascia che le guerre le facciano gli altri, tu, felice Austria, vai a nozze, ché Venere ti dona quei regni che gli altri conquistano con l’aiuto di Marte). Tanto affascinante e scaltra da eludere spesso la compiacente sorveglianza della contessa Brandeiss, addetta alla sua istruzione. A dodici anni scrive male tanto in tedesco quanto in francese, legge pochissimo e malvolentieri. Eccelle nella danza grazie ad un portamento altero ed elegante e alle lezioni del celebre maestro Noverre; suona bene l’arpa e apprezza la musica ed in effetti i suoi maestri sono due talenti nel campo: Philippe Joseph Hinner e, soprattutto, Christoph Willibald Gluck. Anche il suo insegnante di lingua italiana, unico idioma che la bambina parla in modo scorrevole, è un uomo di talento: il poeta di corte Pietro Metastasio. Storia e cultura generale lasciano assai a desiderare; pur essendo assai intelligente e pronta, Toinette – così la chiamano in famiglia – non dimostra la benché minima inclinazione per tutto ciò che è serio ed esige profondità di ragionamento. Il 18 agosto 1765 muore Francesco Stefano a causa di un colpo apoplettico. L’imperatrice, che porterà il lutto a vita, associa come coreggente dell’impero il figlio Giuseppe e due anni dopo vede vacillare i suoi piani dinastici a causa di un’epidemia di vaiolo. Le figlie rimaste in vita vengono subito maritate: Maria Carolina con Ferdinando di Napoli e Maria Amalia con Ferdinando di Parma. Il matrimonio più importante è riservato alla piccola Maria Antonia; da secoli Asburgo d’Austria e Borboni di Francia si combattono per la supremazia europea ed è giunto il momento di siglare una pace duratura grazie ad un matrimonio che leghi le due auguste famiglie. Luigi XV è vedovo, ma troppo anziano e assai chiacchierato a causa del comportamento libertino e delle sue relazioni con la Pompadour prima e la Dubarry poi, autentiche padrone di Francia; Giuseppe è vedovo ma non gradisce un matrimonio con una delle tre figlie del re francese, brutte ed insignificanti. Resta l’ipotesi di un matrimonio tra due fanciulli, il delfino Luigi e l’arciduchessa Antonia. Per tre anni Luigi XV si fa inviare da Vienna ritratti della piccola Toinette e finalmente, nel 1768, si decide per il matrimonio più importante del Settecento. L’imperatrice conosce bene il basso livello di istruzione della figlia e, in accordo col vecchio re francese, si decide di affidare la futura regina alle cure di un uomo saggio: l’abate Vermond. Il buon istitutore scrive un giudizio quasi profetico:<< Ha più ingegno di quel che le si è a lungo attribuito. Disgraziatamente tale ingegno fino ai dodici anni non è stato avvezzato ad alcuna concentrazione. Un po’ di pigrizia e molta leggerezza mi hanno reso ancor più difficile istruirla. Ho cominciato per sei settimane dai principi di letteratura. Essa mi comprendeva benissimo quando le presentavo le idee già chiarite; il suo giudizio era quasi sempre netto, ma non mi riusciva ad abituarla ad approfondire un argomento, benché sentissi che ne sarebbe stata capace. Mi parve di capire che non si poteva applicare la sua mente se non divertendola.>> Il 7 giugno 1769 Luigi XV chiede ufficialmente all’imperatrice asburgica la mano dell’arciduchessa Maria Antonia per suo nipote Luigi il Delfino. Entra ora in scena l’Etichetta, il cerimoniale, la macchina più complessa del mondo e che avrà, in questa storia, un ruolo determinante: dal matrimonio, alla nascita dei figli, alla fuga verso Metz, sino alla ghigliottina. Le menti sopraffine di Francia e Impero discutono incessantemente su diritti di priorità, su quali famiglie del sangue vadano invitate e i loro posti a sedere, su una infinità di cavilli. Solo su una cosa sono tutti d’accordo malgrado le ristrettezze economiche dei due grandi regni: la cerimonia deve essere la più sontuosa e lussuosa di ogni tempo, il mondo deve restare meravigliato da tanto splendore. Somme enormi vengono spese per carrozze, livree lucenti, gioielli, cavalli, abiti sontuosi. Il cappello del delfino è adornato dal “Grande Pitt”, il diamante più grosso del tempo; la futura regina ha un corredo mai visto prima e viene dotata di una serie impressionante di gioielli. Finalmente, dopo la rinuncia solenne di Maria Antonietta ai suoi diritti austriaci davanti al Vangelo, feste a palazzo Lichtenstein, serate di gala, parate militari, il 19 aprile 1770, viene celebrato il matrimonio per procura nella chiesa degli agostiniani a Vienna: l’arciduca Ferdinando rappresenta il Delfino. Due giorni dopo la futura regina di Francia prende solenne congedo dalla famiglia e sale nella bellissima carrozza francese che la porta a Versailles. Maria Theresia non è tranquilla; conosce sua figlia e teme che non sia all’altezza del compito immane che la attende. Nutre cattivi presagi; ella, profonda conoscitrice di uomini e cose, sa che la fanciulla è immatura, distratta e superficiale e va ad infilare la graziosa testolina nella corte più sontuosa e pericolosa d’Europa. Scrive a Luigi XV chiedendogli con parole di madre di aiutare la piccola e poi si reca in Chiesa a pregare l’onnipotente. Intanto l’immenso corteo che accompagna Maria Antonietta – ad ogni stazione di posta occorre cambiare 340 cavalli – giunge al confine, sulla disabitata isoletta renana tra Kehl e Strasburgo dove è stato costruito da poco l’edificio che deve ospitare la cerimonia della consegna della sposa. Così hanno deciso i cervelloni franco-asburgici, dopo infinite discussioni: l’isoletta sul Reno è terra di nessuno e lì avverrà il passaggio. I nobili di Strasburgo prestano i mobili più belli per adornare lo spoglio padiglione costruito per la bisogna. Arazzi Gobelins, eseguiti su cartoni di Raffaello, del Palazzo arcivescovile adornano le pareti. Un giovane studente tedesco, assieme ad altri compagni, riesce a soddisfare la propria curiosità e con poche monete d’oro convince i guardiani a farlo entrare nel padiglione. Spiega ammirato ai compagni le storie disegnate sugli arazzi quando all’improvviso inorridisce di fronte all’episodio di Giasone e Medea. Quale triste e fosco presagio per una novella sposa! Nessuno tra coloro che hanno arredato il padiglione ha fatto attenzione al terribile cattivo augurio. Il giovane Goethe fugge inorridito per quanto ha visto: la sposa va incontro ad un ben triste destino. Il giorno seguente si svolge la cerimonia: Maria Antonietta viene spogliata di tutti gli abiti austriaci e rivestita con abiti francesi, deve abbandonare tutto ciò che appartiene al suo passato e viene presa in consegna dalla sua nuova dama di compagnia, la contessa di Noailles. Le giustificate lacrime di una bambina lasciano ora il posto alla felicità di una donna che vede Strasburgo in festa, ascolta le campane, le salve di cannone e le grida di giubilo del popolo francese, il suo nuovo popolo. Ma un altro fosco presagio la attende: il primo a darle il benvenuto sulla porta della cattedrale è il principe di Rohan, l’uomo che, quindici anni dopo, getterà la sua corona nel fango. Il corteo giunge nel bosco di Compiègne dove Luigi XV e il nipote sono pronti a riceverla. Ora ella siede in carrozza tra il vecchio re e il giovane marito, un ragazzone dagli occhi bovini, timido ed impacciato, incapace di proferire parola alla giovane sposa. Ci vorranno sette lunghi anni perché Luigi XVI riesca a consumare il matrimonio con Maria Antonietta. Trentasei anni dopo, nello stesso bosco, Napoleone attende un’altra arciduchessa austriaca meno bella e meno affascinante. La stessa sera esigerà i propri diritti maritali per far capire al mondo chi è il padrone d’Europa. Il 16 maggio a Versailles l’arcivescovo di Reims celebra il matrimonio alla presenza della più alta nobiltà francese. Il popolo questa volta non viene ammesso ai festeggiamenti. L’atto matrimoniale viene firmato da tutti i grandi di Francia su una gigantesca pergamena più volte ripiegata: solo la firma di Maria Antonietta è coperta da una macchia d’inchiostro sfuggita alla esitante fanciulla. Un autentico diluvio si abbatte poi su Versailles mentre i ventidue membri della famiglia reale cenano ammirati da seimila nobili che hanno pagato somme incredibili per assistere all’avvenimento. Infine i due giovani vengono accompagnati al talamo nuziale dal re in persona e, chiusi i tendaggi, lasciati al loro destino. Incipit tragedia. Il timido ed impacciato ragazzo, a causa di un piccolo problema al prepuzio e della frustrazione derivante dal mancato assolvimento dei propri obblighi coniugali, non riesce a mettere in atto la strategia vitale per un re di Francia: ingravidare la moglie e mettere la propria vita al riparo col muro invalicabile di diversi figli maschi. A quanti sostengono che la grande Storia si spiega con complicati rapporti di causa ed effetto va spiegato che i particolari sono ciò che più conta nella trama nera e sordida della Storia. Il letto di Versailles spiega molte cose: l’odio che molti nobili francesi nutrono per Maria Antonietta, l’Austriaca – così chiamata dalle perfide figlie di Luigi XV e poi da tutta la corte – viene corroborato dalla mancanza di prole. Il 24 dicembre 1770 viene allontanato il potente ministro degli esteri duca di Choiseul, protettore di Maria Antonietta e uno dei maggiori artefici del riuscito matrimonio. La situazione si fa ancora più complessa dopo la morte di Luigi XV nel 1774 e l’incoronazione di suo marito Luigi XVI perché Maria Antonietta si mostra determinata ad imporre la propria volontà sul suo stile di vita, abituata alla corte di Vienna dove era sua madre a comandare e l’etichetta si fermava sulla porta della residenza privata. Convinta della superiorità asburgica non prende certo ordini da un marito che peraltro non la appaga neppure sessualmente. Poco si cura dell’obbedienza coniugale e della tradizione. A Versailles si annoia e quindi se ne allontana verso il Trianon o verso la Parigi notturna. Lei è la regina e tutto le è permesso. Gli anni a venire le insegneranno comportamenti più opportuni. I pericoli sono già disseminati lungo la strada e soprattutto tra la sua ristretta cerchia. Fino a quando Luigi XVI, re dal maggio 1774, non avrà figli maschi legittimi, i suoi fratelli, gli ipocriti e spudorati Conte di Provenza e Conte di Artois, nutriranno ambizioni dinastiche. Dalla corte, con fredda e malvagia determinazione, la notizia dell’impotenza regale circola a Parigi e poi in tutto il regno. Libelli osceni contro la regina vengono stampati a spese dei grandi nobili ed in particolar modo dal duca di Orléans, smanioso anch’egli di arrivare al trono. Contro Maria Antonietta, passati i primi festeggiamenti, dopo la morte del vecchio Luigi XV che in qualche modo la proteggeva, si scatena un’orgia di infamie e calunnie. Prima Le vecchie e acide zie la usano contro l’amante di Luigi XV, la Dubarry; poi l’inesperta ragazza cade nella trappola dei cognati, ipocriti e malvagi; infine per compensare la mancata realizzazione come moglie e madre, gioca il ruolo dell’eterna bambina capricciosa, sempre desiderosa di feste, balli, gioielli. Ben consapevole del suo ruolo di regina non cede probabilmente a lusinghe di natura sessuale ma il suo comportamento non è esemplare per coloro che hanno interesse a screditare la monarchia. Le armi che in seguito useranno i giacobini contro Maria Antonietta – le dicerie, le calunnie, i libretti scandalistici – vengono forgiate da fabbri aristocratici e dai loro segretari. Luigi XVI la accontenta in tutto a causa del suo carattere bonario e forse per compensare le sue inadempienze. A Luigi interessano la caccia, il cibo e il lavoro manuale da fabbro. Come dice Stefan Zweig “Chi non può essere Marte si atteggia a Vulcano”. Maria Antonietta da parte sua non sa fingere e pur comportandosi in modo impeccabile nelle grandi occasioni – è stata allevata nel culto delle forme ed è insuperabile in compostezza ed eleganza – spreca la propria esistenza tra moda e gioco, balli e mascherate. Scopre Parigi e vi si reca quasi ogni notte con i cognati e la sua cerchia di sfruttatori e falsi amici. Si sente isolata, sa di non essere amata dalla nobiltà del sangue che in lei vede una straniera, una nemica. Non riesce a comportarsi come la Marchesa di Merteuil, protagonista del romanzo di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, campionessa dell’ipocrisia e del sottile inganno. Questo il pensiero della marchesa:<< Quando feci l’ingresso in società avevo quindici anni; e io già sapevo che il ruolo a cui ero condannata, vale a dire stare zitta ed obbedire ciecamente, mi dava l’opportunità ideale di ascoltare e di osservare. Non quello che mi dicevano, che non era di nessun interesse, ma tutto quello che la gente cercava di nascondere; ed ho esercitato il “distacco”. Imparai a sembrare allegra, mentre sotto la tavola mi piantavo una forchetta nel palmo della mano e finii per diventare una “virtuosa dell’inganno”. Non era il piacere che cercavo, era la conoscenza; e consultavo i più rigidi moralisti, per la scienza dell’apparire, i filosofi, per sapere cosa pensare, e i romanzieri, per capire come cavarmela; e alla fine io ho distillato il tutto, in un principio meravigliosamente semplice: “vincere o morire”.>> De Laclos, attraverso le parole della marchesa, racconta una società raffinata, rococò, colta ed imbelle: l’alta aristocrazia francese ha perso la sua funzione sociale, mantiene i privilegi ma non offre nulla in cambio, è una classe parassitaria. Maria Antonietta è la signora del rococò, al di là delle sue ingenuità personali: ella paga per tutti. Contro di lei si salda l’odio delle classi popolari, dell’alta aristocrazia del sangue, dei capi della futura rivoluzione. Questi ultimi sfruttano soprattutto la campagna denigratoria messa in atto dal duca d’Orléans, vale a dire dal suo segretario Choderlos de Laclos, il futuro organizzatore della marcia delle donne su Versailles. Maria Antonietta non comprende quanto accade attorno a lei: stanca dell’etichetta opprimente di Versailles e degli sguardi ostili dei grandi di Francia, si rifugia al Trianon, il palazzo dove Luigi XV consumava i suoi piaceri con la Dubarry e con le giovani donne da lei invitate. Per lei invece il Trianon è un giocattolo, un mondo fatato dove gioca alla pastorella, con muri fintamente scrostati per farli apparire poveri e spogli mentre l’arredo è sontuoso e le cene sono raffinate. Mentre molti contadini francesi vivono di stenti, in case malsane, la regina di Francia gioca innocentemente ai pastori assieme alla Polignac, agli sciagurati fratelli del re ed ad una spregevole congrega di sfruttatori. Le spese sono enormi ma il re sonnolento e panciuto tutto tollera per la donna che lo chiama benevolmente ma ironicamente “povero uomo”. Nessuno avrebbe osato chiamare Luigi XIV, il Re Sole, “povero uomo”. Sulla Francia si stanno addensando nubi di tempesta che neanche un grande re forse potrebbe allontanare, come spesso accade alla fine di un’epoca, il sovrano più debole deve fronteggiare gli avvenimenti più tragici. L’imperatrice esorta la figlia in via epistolare a non sottovalutare la catastrofica situazione francese; i suoi tetri presentimenti si concretizzano sempre più. Maria Antonietta vede soltanto la grandezza della sua posizione, ma non ne scorge la responsabilità, non comprende che agli onori seguono gli oneri. Il re vive di giorno, lei di notte, non si incontrano se non per pochi momenti. Non ama quest’uomo ma lo rispetta a modo suo. Lui la vizia e la trova amabile ma non si decide a farne una moglie e una madre. Lei vive per i sensi ma non vive sensatamente. Lui sembra un borghese pacifico e noncurante di quanto lo circonda. Una coppia inadeguata a fronteggiare la tempesta imminente. Sapranno morire entrambi con grande dignità ma per il momento vivono al di sotto delle loro responsabilità. Lei recita la parte di regina del Rococò in uno scenario artificiale per un finto pubblico; ben altro scenario e altro pubblico la attendono: la grande Storia e il popolo francese smanioso di trovare una colpevole alle proprie disgrazie. Per ora lei vive come donna ma non come Regina. Potrebbe essere la donna più potente d’Europa assieme a sua madre e a Caterina di Russia ma preferisce essere la regina del Trianon e la pastorella del finto villaggio pastorale, il borgo della Regina (hameau de la Reine). Al contrario di Siddharta che vuole conoscere il mondo, ella non esce mai dal perimetro dei suoi castelli, da Versailles, al Trianon, da Fontainebleau a Saint-Cloud; anche quando si reca a Parigi non vede il popolo ma salotti, teatri, balli in maschera, giardini e sontuosi palazzi. Non si reca negli ospedali, non in una casa borghese, in una fattoria. Attribuisce più importanza alla modista, Madame Bertin che ai ministri del regno; il suo ispiratore è il parrucchiere Léonard, architetto di ridicole acconciature che rendono le dame più alte dei granatieri. Una bambina che ha paura di annoiarsi e gioca sino allo stordimento, ignara e inconsapevole del terribile conto che la Storia sta per presentarla. Tra poco un’altra Regina comanderà in Francia: la Ghigliottina. La regia di delegittimazione è sapiente e ben orchestrata: se la rivoluzione sarà il braccio armata, la mente sono i nobili. Madame de Lamballe e la contessa Jules de Polignac sono accusate di amori saffici con la regina. Tutto falso ma “la calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar… alla fin trabocca e scoppia, si propaga, si raddoppia e produce un’esplosione come un colpo di cannone, un tremuoto, un temporale, un tumulto generale, che fa l’aria rimbombar. E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte ha crepar”. Maria Antonietta non reagisce, sopporta tutto con altera e gelida dignità. Paradossalmente l’unico uomo che le ha fatto davvero girare la testa, il conte svedese Hans Axel von Fersen, per rispetto della sovrana va a combattere nelle Americhe con il generale La Fayette. Tra i due per il momento esiste solo un embrione di passione; l’esplosione di questo nobile e tormentato rapporto l’avremo in seguito, nei momenti drammatici della rivoluzione. Ormai, nel 1777, Maria Antonietta è una donna di 22 anni e difficilmente potrà resistere alle tentazioni della carne se il sonnolento marito non si risveglia dal torpore. La cosa sarebbe di grave imbarazzo per gli equilibri politici europei e così l’imperatore Giuseppe II, fratello della regina di Francia, si reca a Parigi col triplice intento di risolvere la scabrosa questione intima del cognato, dare una lezione alla scapestrata sorella e rafforzare i rapporti tra Borboni e Asburgo. Il primo obiettivo viene raggiunto perché il povero uomo Luigi accetta il suggerimento del cognato e si sottopone ad un piccolo intervento chirurgico che gli consente, comunque non senza fatica, di espugnare la roccaforte dopo una guerra erotica dei sette anni, il 30 agosto 1777. Finalmente il 19 dicembre 1778 nasce Maria Teresa Carlotta di Borbone, detta Madame Royale, delfina di Francia e duchessa di Angoulême. La stanza dove partorisce Maria Antonietta è colma all’inverosimile al punto che si teme per la sorte della Regina stessa che si riprende soltanto dopo un salasso a freddo. Non si tratta di un maschio ma la Francia è in festa lo stesso: finalmente i reali hanno dato prova di poter avere eredi. Nell’ombra i più delusi sono i fratelli del re e il duca d’Orlèans, furibondi con la maledetta austriaca che ora mette pure figli al mondo. E non si ferma. Infatti il 22 ottobre 1781 nascerà addirittura un maschio, affossamento delle speranze dei malvagi parenti. Purtroppo per Maria Antonietta il 29 novembre del 1780 muore l’imperatrice, troppo presto per assistere alla nascita del delfino ma, fortunatamente per lei, troppo presto per vedere l’epilogo della tragedia. Nel 1785 nasce un altro maschio e l’anno dopo Sofia Beatrice, ultima figlia dei sovrani. Adesso Maria Antonietta è una donna appagata nel suo desiderio di maternità, consapevole del ruolo che deve giocare per i suoi figli, non innamorata ma rispettosa del marito e fermamente intenzionata ad aiutarlo nel difficile mestiere di re. Troppo tardi: la campana è suonata, il Rococò è finito, la Realtà avanza a grandi passi. Scatta la congiura segreta contro di lei ed è orchestrata tra il palazzo del Lussemburgo, il Palais Royal, il Bellevue e Versailles. Tutti alleati contro il Trianon. Le tre perfide zie guidano il coro ingiurioso, assetate di vendetta contro la regina che non ha seguito la loro scuola di cattiveria a buon mercato. L’odio del duca d’Orléans nasce dai suoi desideri dinastici e dall’offesa, a suo parere arrecategli dalla regina, di non aver ricevuto il bastone del comando di grande ammiraglio di Francia. Il suo palazzo si trasforma nel primo club rivoluzionario e la macchina del fango si mette in movimento: sbandati, anarchici, liberali, volteriani, massoni e ogni tipo di canaglia si riunisce a casa sua per complottare, danneggiare, sabotare, rovesciare l’ordine costituito. Vi sono uomini animati da sinceri ideali e facinorosi e rancorosi di infimo ordine. Il duca scherza col fuoco perché gli stessi uomini a cui concede pelosa ospitalità lo manderanno alla ghigliottina qualche giorno prima di Maria Antonietta, il 6 novembre 1793. Peggio di lui i fratelli del re. Al perfido Conte di Provenza, futuro Luigi XVIII, e all’ipocrita Conte di Artois, futuro Carlo X, si attribuiscono con fondatezza i finanziamenti per la circolazione a mezzo stampa degli immondi libelli contro la Regina. Maria Antonietta reagisce con stoica e fiera nobiltà alle infamanti accuse, sapendo di essere innocente, ma sottovaluta la pericolosità di un mostro ormai adulto: l’opinione pubblica, apparentemente indipendente, quasi sempre eterodiretta verso un bersaglio prestabilito. Intanto nella loro beata supponenza Maria Antonietta e la sua cerchia rappresentano al Trianon il primo aprile 1784 “Il matrimonio di Figaro”, opera pericolosissima per l’aristocrazia e che persino il pavido Luigi XVI ha ordinato di censurare. L’ambiguo e cinico Beaumarchais fa il suo ingresso al Théâtre Français col beneplacito della Regina, che arriva ad imporre la propria volontà al re in perfetto stile suicida, il 17 aprile 1784. Quasi tutta la nobiltà parigina applaude in modo frenetico l’opera che è palesemente la messa in mora del loro privilegio. Quos Deus vult perdere, dementat prius. Proprio Beaumarchais che ha le mani sporche di inchiostro infamante contro la regina, gode della sua protezione. Povera insensata Toinette! Beaumarchais è alla moda e lei è la regina della moda. Cosa c’è di male? Tutto! Perché lei è regina di Francia ed ha contribuito a minare quel poco che restava dell’onore e dell’autorità di suo marito e quindi dello Stato. I grandi nobili, imprigionati a Versailles da un vero re, ora si ribellano al suo indegno pronipote e alla di lui moglie austriaca. Ormai Maria Antonietta è sola: il popolo la odia, Versailles la detesta, il clero la considera una sciagurata non tanto per ciò che fa ma perché non lo nasconde. I libelli pornografici e scandalistici la accusano di qualsiasi nefandezza scatenando la fantasia erotica e le più turpi fantasie del popolaccio. Il carburante è presente in grande quantità, manca la fiamma ma arriva puntuale: l’affare della collana. Nello stesso mese di aprile 1784 il gioielliere di corte, l’ebreo sassone Böhmer chiede udienza alla regina; è preoccupato, spaventato, sconvolto; straparla di una collana dal valore inestimabile che la regina avrebbe comprato da lui e non pagato mentre egli ha bisogno di denaro. Certo la regina conosce la famosa collana perché Böhmer ha già cercato di vendergliela per un milione e ottocentomila livres, ma lei ha rifiutato perché i ministri parlano di deficit. Ora addirittura si parla di pagamento a rate. Incredibile. La regina convoca il gioielliere soltanto il 9 agosto invece di ascoltarlo subito e le viene propalata una storia inverosimile: una contessa di Valois, amica intima della regina avrebbe esaminato da lui il gioiello, raccontando che la regina stessa desiderava acquistarlo in segreto. Il cardinale di Rohan, momentaneo finanziatore, lo avrebbe preso in consegna per donarlo alla regina in persona. Maria Antonietta freme di sdegno. Non conosce questa fantomatica contessa di Valois e, soprattutto, ella detesta il cardinale di Rohan, sia per quanto le ha suggerito in passato sua madre, sia per repulsione personale. Soltanto il 14 agosto racconta tutto al re e ordina, a suo solito modo, che venga fatta giustizia. Non comprende che un giudizio pubblico può dimostrarsi deleterio e nocivo per la corona in ogni caso. L’affare andrebbe risolto nel segreto e invece il povero uomo non sa dire di no e asseconda l’impulsività della moglie. In realtà il cardinale di Rohan in cuor suo vorrebbe essere amico della regina e soffre della sua ostilità. A causa di ingenuità e smisurata considerazione di sé cade nella trappola di Jeanne de La Motte, la sedicente contessa di Valois che si spaccia per intima della regina. Il 15 agosto il re sospende il consiglio dei ministri e fa arrestare il cardinale suscitando l’ira di tutti i grandi nobili. Un Rohan arrestato per volontà dell’austriaca. La misura è colma. Il re comprende troppo tardi che il passo compiuto è sbagliato; vuole concedere la grazia ma il cardinale la rifiuta e vuole andare a giudizio del Parlamento. La precipitosa regina comprende di essere caduta in una trappola ma è tardi per rimediare. La commedia del Rococò volge al termine e si trasforma in tragedia. Vediamo intanto i fatti: Jeanne de La Motte è effettivamente una Valois perché figlia di Jacques de Saint-Rémy, bracconiere ed ubriacone ma erede diretto dei Valois. La marchesa di Boulanvilliers, commossa dal racconto della povera disgraziata fanciulla provvede che essa, assieme alla sorella minore, venga educata in un collegio. Ma Jeanne non ha alcuna intenzione di diventare monaca e a 22 anni scappa con la sorella. Conosce Nicolas de La Motte che nel 1780 la sposa e i due decidono di salire nella scala sociale con qualsiasi mezzo. La gallina dalle uova d’oro arriva con il cardinale Rohan del quale Jeanne, col beneplacito del marito, diviene l’amante in cambio di denaro, favori e carriera militare per lui. Lei si spaccia per amica intima della regina e riesce a farsi credere. D’altra parte la credulità è la malattia del Settecento. Voltaire ha messo fuori uso la fede e quindi resta la credulità. Rohan ha a libro paga un lestofante come Cagliostro del quale si beve tutte le sciocchezze. Le fiamme dell’Illuminismo alzano enormi ombre sull’intelligenza umana. Rohan sogna di diventare primo ministro ed amico della regina. Jeanne ha gioco facile: venuta a conoscenza dell’esistenza della collana, frutto della megalomania di Böhmer che ha investito in essa tutta la sua fortuna, convince il cardinale a comprarla per la regina e addirittura fa incontrare i due con grande felicità di Rohan. Nell’ombra del parco di Versailles Rohan e la regina si incontrano e la dama velata rassicura il cardinale che il futuro sarà per lui radioso e che le incomprensioni del passato sono finite. Rohan è al settimo cielo. Peccato che la dama velata non fosse la regina ma una giovane donna di nome Nicole, molto graziosa e somigliante alla regina, vestita esattamente come lei. Rohan decide di comprare la collana per la regina, momentaneamente impossibilitata a pagare una somma tanto esorbitante in modo da accattivarsene il favore. Per far riuscire un imbroglio occorrono gli imbroglioni e gli imbecilli. Rohan dimostra di essere il campione di questa seconda specie. Come poteva immaginare, se non con infinita considerazione di se stesso, che Maria Antonietta accossentisse ad un simile affare? Comunque Jeanne e il marito si impadroniscono del denaro e della collana che, frantumata, venderanno a Londra.maria Antonietta non ha alcuna responsabilità nell’affare ma è la sua cattiva fama di amante dei gioielli che scatena la fantasia dei truffatori e rende credibile la cosa ad un superficiale come Rohan. Tutta Versailles, tutta Parigi ed il parlamento stanno dalla parte del cardinale in odio all’austriaca. Anche la massoneria si schiera a difesa del proprio capo Cagliostro, trascinato a torto nell’affare. La regina è esposta alla berlina e tutta la corte viene data in pasto all’opinione pubblica. I giudici comprendono l’importanza della posta in gioco: se Rohan viene assolto, la regina è condannata moralmente. Il 31 maggio 1786 viene emessa la sentenza dopo sedici ore di discussione: con ventisei voti contro ventidue il cardinale e il suo amico Cagliostro vengono assolti senza alcun biasimo. Il Parlamento ottiene così la sua vendetta contro il re e la regina. Se la cavano tutti tranne Jeanne che viene condannata alla reclusione a vita. Fuggirà dopo qualche settimana dopo aver incassato la solidarietà di molti nobili ed in particolare del duca d’Orléans e la sua fuga ben architettata porta la firma del solito Choderlos de Laclos. Il Cardinale di Rohan viene portato in trionfo. In politica non conta la verità ma ciò che si vuol far credere alla superficiale opinione pubblica. Questa volta Maria Antonietta paga errori passati ma non ha commesso alcun reato. Libelli, insulti, ogni genere di infamia viene scatenato sulle sue deboli spalle. Non si tocca il re ma la regina. Dopo l’affare della collana per lei inizia il calvario. Un calvario ben organizzato da chi vuole rovesciare la famiglia reale. Nulla di nuovo sotto il sole. La delegittimazione politica attraverso la macchina del fango sarà prassi costante di Ottocento e Novecento e ne abbiamo fulgidi esempi sotto gli occhi anche oggi. Sull’affare della collana, incidente sfruttato ad hoc, valga per tutti il giudizio di Goethe:<< intaccò le fondamenta dello Stato, annientò il rispetto verso la regina e in genere verso le classi elevate: giacché tutto quello che venne in discussione non fece che manifestare chiaramente l’orribile corruzione in cui si trovava impaniata la corte e gli aristocratici>>. Per Goethe è questo l’inizio della rivoluzione francese. Ora Maria Antonietta vorrebbe pace e silenzio, occuparsi dell’educazione dei figli. Troppo tardi. La tempesta è già iniziata. La lotta esplode nel 1789 con la convocazione degli Stati Generali e il significato è chiaro: Monarchia o Assemblea Nazionale. Dal 4 maggio il duca d’Orléans si pavoneggia demagogicamente col Terzo Stato. Maria Antonietta assiste impassibile ai lavori, chiusa nel suo atroce dolore: il delfino è gravemente malato e da lì a qualche giorno, il 3 giugno, morirà. La Regina odia la rivoluzione e la rivoluzione odia la regina. Maria Antonietta, educata alla corte di Vienna considera illegittimo tutto ciò che sta accadendo: la presa della Bastiglia, la violenza della plebaglia. Vede solo ciò che i suoi occhi possono vedere e non scorge l’anelito di libertà e dignità che scaturisce da quella cieca violenza. I capi della rivoluzione comprendono che lei è l’ostacolo da abbattere, non il re. Lei, come dice Mirabeau, è l’unico uomo della corte. Ora che tutto è perduto, Maria Antonietta, studia, legge, organizza, difende con i denti il trono del figlio maschio che le è rimasto vivo. Luigi XVI cunctator non combatte, è indeciso, irresoluto, ascolta l’ultimo consigliere. Tanto cresce il disappunto per il comportamento del marito, tanto più la donna si lega all’unico amico sincero che le è rimasto, l’unico uomo che lei abbia davvero amato: il conte Fersen. Lui che è rimasto in disparte nel momento del massimo potere di Maria Antonietta, ora si manifesta discretamente nell’ora del pericolo. Il 5 ottobre Choderlos de Laclos mette in atto un’idea geniale a favore del suo signore, il duca d’Orléans: riportare a Parigi il re grazie ad una marcia di sole donne. Poco importa se molte sono uomini travestiti. Sotto un diluvio torrenziali e accompagnati da abbondanti scorte di vino, le “donne” dimostrano di conoscere molto bene i locali di Versailles e puntano direttamente verso le camere della regina per ucciderla. Potenza della sorte: fioraie dei quartieri malfamati di Parigi che si orientano così bene nella enorme ed intricata Versailles! La Fayette, responsabile della vita dei reali, arriva dopo che la regina è riuscita miracolosamente a salvarsi fuggendo nelle stanze del consorte. Ella disprezza questo generale smanioso di sostituirsi a suo marito e non ne fa mistero. Più aumenta il pericolo e maggiore diviene il suo disprezzo per quanti osano mettere in discussione l’autorità di suo marito, un’autorità che lei per prima, in tempi passati, ha contribuito a minare. La famiglia reale viene riportata a Parigi e costretta a vivere alle Tuileries. La regina comprende che la loro posizione sta precipitando di giorno in giorno. Il dolore è il suo primo vero maestro di vita. Eppure esiste ancora un uomo in grado di salvare la monarchia: Mirabeau. Questo capo della rivoluzione, dal passato oscuro e chiacchierato, corrotto ma capace, guarda alla regina come una dea e la incontra segretamente il 3 luglio 1790 nei giardini del castello di Saint-Cloud. La bella e la bestia si parlano. Non possiamo sapere cosa si sono detti ma la regina riprende speranza. Purtroppo per lei il 2 aprile 1791 Mirabeau, minato da una vita disordinata, dal lavoro incessante degli ultimi anni e dopo una notte di stravizi, cede di schianto. L’ultimo mediatore è morto. Ora non resta che la fuga. Molti nobili sono già all’estero. Ma fuggire non è semplice. La famiglia reale è controllata senza sosta. Solo un uomo può organizzarla: Fersen. Pensa a tutto lui, si ammazza di fatica per far fuggire la donna amata, metterla al riparo dalla canaglia plebea. Il 20 giugno è tutto pronto ma un pericolo incombe sui fuggitivi: l’etichetta. Il re, la regina, i due bambini e Madame Elisabetta dovevano fuggire da Parigi su due carrozze leggere e veloci in modo tale da giungere in cinque ore al confine, prima che scattasse l’allarme. Invece viaggiano tutti in una sola enorme, sontuosa berlina trainata da dodici cavalli, suscitando lo stupore e la curiosità popolare ad ogni cambio di posta. Inoltre il re si fa prendere da un tardivo e inconsulto moto di gelosia e non vuole che Fersen li accompagni a cavallo durante il viaggio. Con Fersen al loro seguito le cose sarebbero andare diversamente, ma come si sa il senno del poi è l’unica scienza esatta. Inoltre non si rinuncia a portare un quintale di bagagli colmi di abiti sontuosi da indossare appena giunti a Montmédy. Il cerimoniale francese non prevedeva la fuga del re e così i reali sono costretti ad improvvisare. Per ironia della sorte il re che si trascina il peso dell’etichetta per fuggire dall’inferno, si traveste da maggiordomo. Come dirà Robespierre quando gli porteranno la notizia della fuga:<< un re che fugge vestito da maggiordomo ad ogni metro percorso è sempre meno re>>. Il colmo dell’idiozia lo si raggiunge affidando a Léonard il compito di ufficiale di collegamento tra l’immensa berlina e le truppe di Choiseul. Il povero parrucchiere commette un errore dietro l’altro e la carrozza in pesante ritardo viene fermata a Varennes. I sovrani sono riconosciuti a Aainte-Ménehould dal mastro di posta Drouet, un rabbioso giacobino. Si tratta di prendere tempo in attesa dei dragoni. Sarebbe sufficiente un re vestito da re o una carica alla sciabola di Fersen per allontanare la folla che circonda la carrozza. Per la prima volta Maria Antonietta entra in un casa borghese, quella del sindaco Sauce, che odora di salsicce e olio. Mantiene la sua fredda alterigia mentre il cristianissimo erede di San Luigi chiede un pezzo di formaggio. Ogni scusa per perdere tempo viene messa in atto ma alla fine inizia il viaggio di ritorno verso Parigi. Venti minuti dopo giungono i dragoni: troppo tardi, questo il leit-motiv dell’epilogo della monarchia francese. Il ritorno è infernale e dura giorni. Un supplizio, una pubblica gogna. La cosa più grave è che invece il conte di Provenza è riuscito a fuggire e dal suo comodo riparo all’estero inizia a provocare i rivoluzionari sperando così di eliminare ogni ostacolo tra sé e il futuro trono. Da questo momento inizia la vera e propria discesa all’inferno: il 20 aprile 1792 Luigi XVI è costretto a dichiarare guerra all’impero asburgico. L’imperatore Francesco e le altre teste coronate d’Europa vogliono difendere il principio monarchico ed isolare la Francia, ma non hanno a cuore le sorti dei reali francesi. Non ha importanza quale Luigi regni in Francia, ciò che conta è annegare nel sangue la rivoluzione. Il 20 giugno 1792, anniversario della fallita fuga, il popolo assalta le Tuileries e il re è costretto a mettere il cappello frigio. Il 25 luglio il Duca di Brunswick lancia un proclama ai cittadini francesi che equivale ad una condanna a morte per il re; minaccia di esecuzione capitale chiunque tocchi i reali di Francia come se avesse già conquistato Parigi. L’ira di venti milioni di uomini esplode dopo l’uscita di questo imbecille… o peggio. Il 10 agosto Danton arma la mano dei parigini e ordina nell’ombra un altro assalto alle Tuileries; un tenente di artiglieria in licenza a Parigi assiste in silenzio e pensa che basterebbe un comandante energico e qualche cannone per spazzare via quella canaglia. Così non è. Il suo tempo deve ancora giungere e in quel momento non osa pensare che diventerà, grazie alla rivoluzione che voleva abbattere la monarchia, un imperatore ben più potente del povero re Luigi XVI. I luigi di Francia hanno regnato su uomini che sapevano di essere diseguali, napoleone governerà su uomini che pensano di essere uguali. La famiglia reale fugge presso l’Assemblea nazionale. Da questo momento, di fatto, non esiste più la monarchia in Francia. I prigionieri vengono chiusi nella prigione del Tempio. Tre giorni dopo, nel momento di massima crisi della rivoluzione, con le armate straniere alle frontiere e una crisi economica spaventosa, il governo risponde col Terrore. Dal 2 al 5 settembre si consuma un’orgia di sangue aristocratico; Danton si macchia dell’orrendo crimine di comandare l’assalto alle carceri dove vengono trucidati migliaia di prigionieri sospetti. La principessa di Lamballe viene stuprata, mutilata e decapitata. La sua testa viene conficcata in una picca e portata sotto le finestre del Tempio in modo che la Regina veda quell’orrore. Il tutto condito da ignobili parole. Il 21 settembre nasce la Prima Repubblica francese e cade de jure la monarchia. Il destino del cittadino Luigi Capeto è segnato. Il 21 gennaio 1793 la sua testa viene mostrata alla folla ebbra di sangue. Maria Antonietta fu arciduchessa, delfina, regina; ora è la vedova Capeto. Le sofferenze non sono finite perché il primo luglio il perfido e malvagio Hébert, tipico esempio di canaglia travestita da rivoluzionario, rancoroso ed ignorante, allontana il delfino dalla madre e lo affida alle cure di un altro sanculotto bestiale ed ignorante come lui: l’analfabeta Simon. In Hébert si scorge l’antenato in linea diretta di Hitler e Stalin, con la stessa ottusità demoniaca e lo spirito cocciuto di far male inutilmente. Robespierre pur commettendo atroci crimini è stato sempre spinto da un’alta idealità, ma questa, messa in mano a personaggi come Hébert diviene la giustificazione di atti gretti e meschini. Il primo agosto la vedova Capeto viene portata alla Conciergerie. Da lì si esce soltanto per andare alla ghigliottina. La aspetta ancora la sofferenza più atroce ed il gradino più basso dell’umiliazione. Fino a questo momento Maria Antonietta ha reagito con un comportamento regale, non si è mai lamentata, non ha chiesto nulla ai suoi carcerieri. Prega per il suo bambino ed attende il momento finale. Ma di fronte all’ennesimo orrore consumato da Hébert e Simon si ribella. Per condannarla si estorce al delfino una confessione scritta che accusa la madre di incesto. Alla domanda del giudice su cosa abbia da rispondere, la donna Maria Antonietta, con tutto il disprezzo possibile e con voce commossa dice:<<Se non ho risposto è perché la natura si rifiuta di rispondere ad un’accusa simile rivolta ad una madre! Mi appello a tutte le madri che possono essere in quest’aula>>. Le donne ammutoliscono, Hébert sa di aver passato il segno. Quando riferiscono la notizia a Robespierre freme di sdegno e inveisce contro l’imbecille che ha reso un’ultima vittoria alla regina. Robespierre è stanco di questo sanguinario. Pochi mesi dopo anche Hébert percorrerà la strada dalla Conciergerie alla Ghigliottina. Così Danton, Robespierre, Saint-Just e tutti gli altri capi della rivoluzione. Gli déi hanno sete. La rivoluzione come Urano divora i suoi figli. Il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta sale sul patibolo. A mezzogiorno il boia mostra la sua testa alla folla. Fersen non si dà pace. Dopo la morte della sua amata odia ferocemente il popolo ed è ricambiato con la stessa moneta. Vive nel senso di colpa di aver abbandonato, suo malgrado, la donna della sua vita il 20 giugno 1791. Sono passati diciannove anni e a Stoccolma si dice che il defunto re sia stato avvelenato da Fersen che aspira a prenderne il posto per poter dichiarare guerra all’odiata Francia. Naturalmente non è vero ma questo creduto fu ché il miser suole dar facile credenza a ciò che vuole. Una folla inferocita rompe le linee dei soldati, assale la carrozza di Fersen e lo uccide selvaggiamente. Il 20 giugno 1810 il bel conte si ricongiunge con la sua amata. Per molti anni alla corte di Vienna è vietato parlare di Maria Antonietta, forse per il comportamento ignobile tenuto dai suoi parenti imperiali. Suo cognato, il conte di Provenza, riesce a divenire re di Francia nel 1814, col nome di Luigi XVIII. Dopo i cento giorni non esita ad usare i servigi di uno degli assassini di suo fratello, il regicida Fouché, per tornare sul trono. Soltanto dopo ventidue anni, nel 1815, viene impartito l’ordine di trovare le salme di Luigi XVI e Maria Antonietta nelle fosse comuni dove erano state gettate. Oggi riposano nella cattedrale di Saint-Denis a Parigi.
Di Nicolò Scialfa
J.V.