Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio (Unterwegs zur Sprache)
Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio (Unterwegs zur Sprache)
Prima edizione Pfullingen 1959. Contiene saggi e conferenze. Esamina l’essenza della poesia attraverso “Una sera d’inverno” di Georg Trakl. Il linguaggio è nel parlato e la poesia è puro parlato. Nella parola parla il linguaggio e non l’uomo. Paradosso che indica la forza evocativa della poesia. Esperienza orientale del linguaggio, dialogo che avviene tra l’Interlocutore (Heidegger) ed un Giapponese (un allievo del conte Shuzo Kuki). Così Heidegger ripercorre retrospettivamente il proprio cammino filosofico per la determinazione del concetto di ermeneutica, evitando la rappresentazione del linguaggio. Così si può accedere alla dimensione più alta che rende possibile il dialogo al di là di ogni differenza culturale, alla dicotomia Essere/Nulla che caratterizza la metafisica. Atteggiamento passivo, di ascolto, poiché il linguaggio non deve essere pensato dalla prospettiva dell’uomo, ma è il linguaggio stesso a donarsi. Contrapposizione col linguaggio della scienza moderna, dove prevale la formalizzazione tecnica. Il linguaggio nella sua essenza è Ereignis, evento disvelante, ciò che ci parla nel silenzio del dialogo. Linguaggio poetico e differenza con il linguaggio dell’indagine scientifica dove la lingua è soltanto strumento di informazione. Il linguaggio conferisce alle cose il loro essere… è “la casa dell’essere”. Fa venire alla presenza ciò che è e non si lascia fissare come cosa. Spazio di gioco del tempo. Mistero della parola. “Il linguaggio come informazione non è il linguaggio in sé… porta all’estremo l’antico, il già prefigurato”.
Georg Trakl, Una sera d’inverno
Quando la neve cade alla finestra,
A lungo risuona la campana della sera,
Per molti la tavola è pronta
E la casa è tutta in ordine.
Alcuni nel loro errare
Giungono alla porta per oscuri sentieri.
Aureo fiorisce l’ albero delle grazie
Dalla fresca linfa della terra.
Silenzioso entra il viandante;
Il dolore ha pietrificato la soglia.
Là risplende in pura luce
Sopra la tavola pane e vino
(… in fondo è tutto qui)
“Il linguaggio nella sua essenza non è né espressione né attività dell’uomo. Il linguaggio parla. Noi ricerchiamo ora il parlare del linguaggio nella poesia. Ciò che si cerca è, pertanto, racchiuso nella poeticità della parola… Il parlare nomina… Il nominare (…) non applica parole, bensì chiama entro la parola. Il nominare chiama. Il chiamare avvicina ciò che chiama (..). Il luogo dell’arrivo che è con-chiamato nella chiamata è una presenza serbata intatta nella sua natura di assenza (…). Il chiamare è un invitare. E’ un invito alle cose a essere veramente tali per gli uomini… Il terzo e il quarto verso della seconda strofa (…) dicono al mondo di venire e Il mondo concede alle cose la loro essenza. Le cose fanno essere il mondo. Il mondo consente le cose… il dolore è ciò che congiunge nello spezzettamento che divide e aduna”.
E’ l’anima straniera sulla terra, ricerca del Sacro, stirpe umana maledetta. Soltanto lo straniero “dispiega il vero essere dell’uomo portandosi agli inizi di ciò che ancora non è giunto a gestazione”.
Critica del tempo aristotelico. L’essenza del tempo…. “continuerà a rimanere preclusa al pensiero oggi dominante, finchè vigerà la concezione del tempo che da Aristotele in poi è ancora dappertutto determinante. Secondo questa il tempo (…) è la dimensione del calcolo quantitativo o qualitativo della durata che si svolge nella successione. Ma il tempo vero è l’avvento di ciò che è stato. Questo non è il passato, ma il raccogliersi di ciò che è, il quale precede ogni avvento nell’atto che, in quanto appunto raccogliersi, si ritira e cela entro la sua perenne priorità”. Nel linguaggio di Trakl parla “l’essere in cammino della dipartenza”.
Il linguaggio polisenso di Trakl è superiore ad ogni esattezza tecnica che possa essere raggiunta da un concetto la cui univocità sia quella propria della scienza”. Terra d’occidente, terra della sera, stirpe… La sua poesia canta il destino destinante (Geschick) del segno che, segnando di sé la stirpe umana, la porta alla verità, sempre ancora in serbo, del suo essere, e così la salva… L’anima è in cammino verso la terra della sera… Dire e parlare non sono la stessa cosa. Uno può parlare, parla senza fine, e tutto quel parlare non dice nulla. Un altro invece tace, non parla, e però, col suo non parlare, dice molto… Dire (Sagen) significa “mostrare, far che qualcosa appaia, si veda, si senta”.
Paradossalmente l’ateo Heidegger influenza pesantemente la teologia del Novecento. Forte contributo allo sviluppo dell’ermeneutica contemporanea.
J.V.