Massimo Fini, Nerone
Massimo Fini, Nerone
Nessun personaggio storico, se si esclude, forse, Adolf Hitler, ha mai goduto di così cattiva stampa come Nerone. Alcuni autori cristiani ritennero che fosse addirittura l’Anticristo. In realtà, Nerone fu un grandissimo uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l’Impero conobbe un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai né prima né dopo di lui. Certamente fu un megalomane, un visionario, un esibizionista, un inguaribile narciso e, con tutta probabilità, uno psicolabile schiacciato prima da una madre autoritaria e castratrice e poi dall’enorme peso che, a soli diciassette anni, per le ambizioni di Agrippina, gli era stato scaricato sulle spalle, mentre lui avrebbe forse preferito dedicarsi alle arti predilette. Quel che comunque è certo è che questo imperatore chitarrista, cantante, poeta, attore, scrittore, auriga, curioso di scienza e di tecnica, fautore delle più ardite esplorazioni, fu un unicum non solo nella storia dell’Impero romano. Pensando “in grande stile”, e cercando di modellare il mondo sulle proprie intuizioni e immaginazioni, fu un monarca assoluto che usò del proprio potere in senso democratico: non governò solo in nome del popolo, come voleva l’ipocrisia augustea, ma per il popolo contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano. E per avere il consenso del popolo – oltre che, beninteso, progettare e attuare misure molto concrete inaugurò quella che oggi chiameremmo la politica-spettacolo.
Le élite economiche e intellettuali del tempo non lo capirono, oppure lo capirono fin troppo bene e per questo lo osteggiarono ferocemente costringendolo, alla fine, al suicidio. (Dalla quarta di copertina)
In margine alla visita del Papa alle grotte di San Pietro per pregare sulla tomba che conterrebbe le ossa dell’apostolo è rispuntata fuori la millenaria fandonia di Nerone «primo persecutore dei cristiani». Nerone non perseguitò mai i cristiani in quanto tali, per la loro fede. In materia religiosa era, nel solco della migliore tradizione romana, estremamente tollerante. La questione è un’altra.
Tutto nasce dal devastante incendio che nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 64 colpì Roma e vi infuriò per alcuni giorni. Non era certo il primo. Ce ne erano stati nel 6, nel 27, nel 36, nel 54. Ma quello del 64 fu il più disastroso. La Roma di allora era stretta fra vicoli tortuosi, dove il popolino faceva un uso disinvolto e spesso irresponsabile di bracieri, di fornelli, di torce fra catapecchie di legno che aspettavano solo di prender fuoco (e Nerone ricostruirà Roma in pietra ignifuga).
L’incendio fu casuale. Che Nerone ne sia stato l’autore nessuno storico serio, nè antico nè, tantomeno, moderno l’ha mai sostenuto. Saranno il pettegoliere Svetonio, sett’anni dopo i fatti, e Dione Cassio un secolo dopo Svetonio a costruire l’immagine di un imperatore che «dall’alto del Palatino», munito di cetra osserva la distruzione della capitale per ispirare la sua musa. Ma Nerone sul Palatino non ci poteva essere per la semplice ragione che era in fiamme.
Quella notte Nerone si trovava ad Anzio e, a cavallo, si precipitò a Roma per dirigere le operazioni dei soccorsi con una serie di misure degne, seguendo il racconto di Tacito che pur gli era ostilissimo, di una moderna protezione civile.
L’incendio fu casuale. Ma non è escluso che, alcune frange di estremisti cristiani, che vedevano la Roma baccante di Nerone come una nuova Sodoma e ne sognavano la distruzione, ci abbiano messo una manina per alimentarlo (lo stesso Paolo, nella ‘Lettera ai romani’ si mostra preoccupato per l’estremismo di alcuni suoi compagni di fede). In ogni caso la comunità cristiana ebbe l’imprudenza di manifestare la propria gioia per quella immane catastrofe. Per questo gli uomini di Tigellino diressero la loro attenzione verso quelle parti. Alcuni confessarono prima ancora di essere arrestati: per la gloria del martirio, come i moderni terroristi islamici, anche se probabilmente non avevano fatto niente. In tutto ne furono arrestati 300. Alcuni vennero assolti, altri condannati a pene minori, 200 a morte. I processi furono accurati , durarono due mesi, tanti per la veloce e pragmatica giustizia romana. Le pene terribili: arsi vivi, crocefissi, dati in pasto ai cani. Tutto si svolse secondo le leggi e i costumi dell’epoca. Niente di più. Ma anche niente di meno. In quella occasione Nerone, «per quanto forte fosse la sua avversione per le pene capitali» (Grant) usò il massimo rigore. Ma se le autorità romane credevano, a torto o a ragione, che frange di estremisti cristiani fossero responsabili di un atto terroristico così grave, di fronte al quale quello dell’11 settembre impallidisce, la reazione non fu sproporzionata: 200 esecuzioni su una comunità che contava 3000 persone e che, in quanto tale, non fu toccata. Lo stesso Paolo, il leader dei cristiani a Roma, potè continuare la sua predicazione e nessuna conseguenza ci fu per i cristiani delle province. E in seguito, durante il principato di Nerone, non fu varata nessuna legge che proibisse ai cristiani di professare la propria fede. Le persecuzioni cominciarono dopo con Domiziano (81-96), e proseguirono con Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Settimio Severo, Massimino, per assumere, con Diocleziano, le forme del genocidio. Ma con tutto questo Lucio Domizio Enobarbo, alias Nerone, non c’entra nulla. (Massimo Fini)
Libro utilissimo in tempi di notizie false e di menzogne, di bufale e stupidaggini spacciate come assolute verità. Nerone è vittima di una leggenda nera costruita nel corso del tempo dalle storiografie Cristiana e senatoriale. Fu un buon imperatore, vicino al popolo e ostile all’aristocrazia oligarchica. Seneca, il suo educatore, e Agrippina minore, sua madre, tentarono di manipolarlo senza esito. Tra le varie menzogne che lo riguardano la più clamorosa riguarda l’incendio di Roma. Nerone non aveva nessun interesse ad incendiare la capitale… anzi! Chi fu l’autore dell’incendio? Probabilmente il caso. Gli incendi scoppiavano di frequente. Grazie all’imperatore invece la città si salvò per due terzi. Andarono distrutte le casupole di legno di alcune zone ma grazie al tempestivo intervento delle truppe imperiali la maggior parte della città venne salvata dal fuoco.
Sui costumi licenziosi occorre ricordare che quasi tutti gli imperatori romani, tranne rare eccezioni, conducevano una vita privata lontana dai canoni del senso comune odierno. In ogni caso se proprio si vuol essere moralisti a tutti i costi, Tiberio arriverebbe primo classificato e in ottima compagnia.
È vero che fece uccidere sua madre ma si può affermare che fu soltanto più lesto di lei… era pronto un complotto organizzato da Agrippina minore per rovesciarlo.
Altra riflessione andrebbe fatta sulla natura violenta del potere perché quasi tutti gli imperatori romani sino al V secolo, quindi il massimo del potere conosciuto, moriranno di morte violenta (assassinio, suicidio obbligato, veleno, colpiti a tradimento in guerra) e pochissimi di vecchiaia (Augusto, Vespasiano e pochi altri). Nerone morirà suicida a soli trent’anni dopo quattordici anni di potere assoluto e di tentativo di sostituire i più civili costumi greci all’austerità romana. Commise molti errori ma non tali da giustificare una calunnia bimillenaria così pesante.
Persino la pessima cinematografia, grazie a Peter Ustinov in Quo Vadis? Del 1951 lo dipinge come un cinico pazzo che canta mentre Roma brucia.
Perché presento questo libro? Intanto mi è piaciuto perché Fini, malgrado su molti punti non la pensi come lui, scrive bene e soprattutto perché negli ultimi anni ho compreso in modo profondo cosa significhi essere vittima della calunnia orchestrata dai mezzi di (dis)informazione.
J.V.
J.V.