Meister Eckhart

Medioevo tedesco. Eckhart predica anche in conventi femminili e alterna il tedesco al latino dei dotti. Nasce intorno al 1260 a Hochheim. Studia nel convento domenicano di Erfurt, poi a Strasburgo e Colonia. Priore nel convento della sua terra natale, in Turingia, poi Magister a Parigi dal 1302. Vicario generale della Boemia. Muore a Colonia, dove insegna all’università, nel 1327.

Contrasti continui con la Chiesa ufficiale; soggetto, malgrado le sue alte cariche, all’inquisizione. Non potendo attaccare direttamente il Magister, si attaccano i discepoli. Roghi, annegamenti, torture. Alla fine lo stesso Eckhart viene rinviato a giudizio. L’ordine domenicano di schiera a difesa. Assolto. Dopo la morte però il Papa condanna come eretiche ventotto sue proposizioni. Oblio e sottovalutazione come armi del Potere contro il Maestro. Letture razionalistiche mettono in ombra e in cattiva luce il suo misticismo. La via percorsa è quella che parte da Plotino sino a Scoto Eriugena. Dopo di lui Nicola Cusano, Jacobo Böheme, Franz von Baader. Gli sono debitori anche gli idealisti tedeschi Fichte, Schelling ed Hegel. Il suo cammino mistico nega la realtà mondana, giunge al distacco “Quando predico mi curo sempre di parlare del distacco”. Cammino di separazione, congedo, dimenticanza. L’uomo deve affrancarsi dalla schiavitù delle cose. Chi si affranca dal mondo giunge alla pura interiorità perché “l’uomo porta ogni verità essenzialmente dentro di sé”. Autorinuncia, abbandono del sè, sereno abbandono. “Tutto il nostro essere non è nient’altro che un divenire nulla”.

La separazione dal mondo e dal Sé offre alla parte più interna dell’anima di mostrarsi. Il linguaggio non può esprimere l’esperienza mistica, sfugge alla razionalità soggetta alla fede come vorrebbe la Chiesa secolare medievale. Ed ecco lo scandalo: questa interiorità umana vuole forse sostituirsi al Dio creatore? Eckhart scrive che la piccola scintilla dell’anima sarebbe “creata da Dio” ma è “infondata, increata”. Da questa ambiguità nasce il sospetto delle gerarchie ecclesiastiche. Secondo il Maestro “Dio giace nascosto nel profondo dell’anima”; soltanto nella profondità l’anima può conoscere Dio attraverso il distacco “Toccare la profondità della propria anima significa giungere a Dio… nessuna unione è più grande”. Tramonto di Dio e rinascita, anima sepolta nel divino che sfuma nel nulla. Soltanto nella scomparsa dell’unicità dell’io accade la nascita di Dio nell’anima. Le cose create non sono nulla di per sé, ma sono soltanto per grazia dell’essere di Dio, che è “natura di tutte le nature… luce delle luci… vita del vivente… essenza di ciò che è… parola del parlante”. Ed ecco il pericolo panteista ”tutte le cose sono Dio stesso”. Dio messo sullo stesso piano delle cose. In realtà ad Eckhart non è sufficiente il linguaggio. Il linguaggio non può esprimere Dio in quanto Essere.

Il pensiero incontra il “quieto deserto”, incontra Dio nella sua abissale profondità. Dio è inconoscibile, innominabile, un non-Dio, un non-spirito, una non-immagine. Teologia negativa, misticismo… eppure si ha l’impressione che Eckhart si sia avvicinato molto, per via negativa, al cuore del Problema. La strada è aperta per Cusano, Böhme… sino a Schopenhauer e ai nostri giorni.

J.V.

Rispondi