Napoleone

Napoleone

“E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.”

(Manzoni, 5 maggio)

Uno Washington francese di trent’anni. Re a quaranta. Poi sconfitto e prigioniero. Incarna la rivoluzione come Mirabeau o Robespierre ma la porta a compimento. Da giovane è uno straniero, un corso appartenente ad una tribù più che ad una famiglia. Un povero nobile corso che studia gratuitamente nella scuola militare del Re. Particolarmente dotato in storia e matematica, solitario, determinato, veloce di pensiero. Disprezza Luigi XVI perché non ordina il fuoco contro i rivoltosi del 20 giugno 1792 alle Tuileries. Il suo legame con la Corsica si spezza nell’aprile 1793 grazie alla vittoria di Paoli. I Bonaparte sono considerati filofrancesi e fuggono a Marsiglia. È un capitano di 24 anni robespierrista, un convinto giacobino, amico personale di Augustin Robespierre, fratello di Maxim. Affascinato dall’autorità senza limiti del potere, dalla carriera aperta al talento. Seguendo il compatriota Saliceti salda i suoi interessi con quelli della rivoluzione. Ormai è francese a tutti gli effetti. Realizza il primo capolavoro militare quando, grazie ai suoi preziosi consigli, Tolone viene tolta agli inglesi. Così ottiene la promozione a generale di brigata. Nel febbraio del 1794 comanda l’artiglieria dell’Armata d’Italia che affronta gli austriaci. È un giovane di ventiquattro anni. Poi i termidoriani lo imprigionano ma Barras gli offrirà l’occasione della vita il 13 vendemmiaio anno IV (5 ottobre 1795) quando spazza via i monarchici a colpi di mitraglia. Ora il giovane generale fa parte della nomenclatura rivoluzionaria e del denaro. La repubblica virtuosa di Robespierre è finita, sua maestà il denaro è tornato sul trono ma si è alleato con la Rivoluzione. L’ex visconte ed ex terrorista Barras scarica l’ingombrante e un tantino ingombrante  amante Josephine Beauharnais al giovane generale magro ed emaciato. Col matrimonio il piccolo corso cancella le umiliazioni giovanili e diviene completamente francese. Come altri rivoluzionari prima di lui il giovane Bonaparte vuole governare la Rivoluzione. Ma in lui si coniugano uguaglianza, gloria, genio e massima forza militare. L’Italia è il palcoscenico ideale per la recita. Capisce prima degli altri la forza dell’opinione pubblica e ammanta di gloria le sue fulminee vittorie italiane dettando bollettini a tutto spiano. A Milano, a palazzo Mombello, vive già come un re, circondato da una corte vorace, ipocrita e malvagia. Spiccano per ipocrisia ed avidità i suoi congiunti tribali capeggiati dall’arcigna madre e la navigatissima Josephine con relativo amante. Sono tutti parvenu degni di un romanzo di Balzac. Il generale-re d’Italia lascia fare, tratta da pari col Direttorio, sente il suo “destino”. Ha le idee chiarissime “Ciò che ho fatto adesso non è ancora nulla. Sono solo agli inizi della carriera che devo percorrere. Credete che io trionfi in Italia per servire alla grandezza degli avvocati del Direttorio, dei Carnot, dei Barras? O magari per fondare una Repubblica? Che idea! Una repubblica di trenta milioni di persone!… come sarebbe possibile? È una chimera di cui i francesi si sono infatuati, ma che passerà come tante altre. A loro occorre la gloria, le soddisfazioni della vanità. Ma della libertà non capiscono niente…” Una dittatura rivoluzionaria fondata non più sulla grottesca virtù robespierrista ma sui solidi e tangibili interessi. Poi salva per interposta persona  (Augereau) il Direttorio il 4 settembre  1797 (18 fruttidoro anno V) ma non si mescola alle loro responsabilità. Si lascia mano libera. Poi la spettacolare attesa del sogno egiziano. Una inutile e mal progettata spedizione che serve esclusivamente alla gloria del Generale. Il 22 agosto 1799 abbandona il suo esercito in Egitto e giunge a Fréjus il 9 ottobre, accolto dal giubilo dei francesi. Il 18 brumaio è pronto. Napoleone sposa la Rivoluzione francese, è il Primo console. La Francia trova la Monarchia Repubblicana che cercava a tentoni dieci anni prima con un attore, Luigi XVI, non all’altezza del ruolo. Ora l’attore protagonista è giovane, forte, vincitore, figlio del popolo francese, scaltro, veloce, capace, implacabile. Lavora freneticamente circondato dai suoi generali, dalla ormai “fedele” Giuseppina che, dopo aver rischiato l’osso del collo più volte, è cosciente di aver vinto il primo premio della lotteria, dai famelici e odiosi parenti. Napoleone non perde tempo in stupidi e vuoti cerimoniali, mangia poco e velocemente, beve poco, si veste sempre con gli stessi abiti, lavora freneticamente, detta tre lettere alla volta, pensa e decide, lavora e risolve… una macchina da guerra. Lumi, proprietà e commercio sono i suoi riferimenti. Egli è l’Eroe civile dei francesi. Il suo credo è essenziale e vincente: proprietà privata intoccabile, matrimonio, famiglia, donna a casa, ordine nelle piazze, carriere aperte al talento. Così salva la Rivoluzione fermando la Rivoluzione e i suoi eccessi che avevano francamente ammorbato l’esistenza dei francesi. Il popolo contadino di piccolo-borghesi proprietari si riconosce nel Primo console. Finisce il romanzo della Rivoluzione, inizia la Storia di Napoleone. Per farla breve diciamo che si è realizzato, con dieci anni di ritardo, il progetto di Mirabeau. Il paradosso è che Napoleone è mille volte più autoritario del povero Luigi XVI. L’idea del potere assoluto, eredità dei Capetingi, ora può essere messa al servizio della democrazia. Napoleone guadagna due punti rispetto ai sovrani assoluti: non deve fare i conti con lo sguardo di Dio e governa su uomini isolati che si ritengono uguali invece che su corpi dello Stato che sanno di essere diseguali. Lo Stato moderno è pronto e servito. Lo strumento sarà il Codice civile, l’amministrazione è la linfa vitale, il razionalismo cartesiano l’ossatura del dispotismo illuminato. Centralizzazione, sistema prefettizio, Parigi contrapposta alla provincia. Il sistema presenta un punto di forza: Napoleone. E uno di debolezza: Napoleone.

Lo descrive bene un suo brillante nemico, Chateaubriand, quando parla di genio elettrico e natura impetuosa che tutto travolge. Napoleone è di fatto il Re Sole dello Stato democratico. Napoleone è il simbolo della nuova Francia e le sue braccia sono l’amministrazione e l’esercito. Tutta la funzione pubblica, dal grado più basso, al più elevato lo adora, lo imita, lo vezzeggia. Persino i nobili che rientrano in patria attaccano l’asino dove vuole il nuovo padrone. È in atto la trasfigurazione democratica delle cariche. Poi il Concordato del 1801 col quale sottomette completamente la Chiesa di Francia ma le restituisce una funzione. Non è più la Chiesa del passato ma un puntello del sistema napoleonico. Ragiona in termini di ragion di stato, senza inutili e deleteri ateismi. Le persone semplici hanno bisogno della religione per non trasformarsi in briganti assassini. Voltaire e Machiavelli fusi nel pragmatismo militare del Primo Console. Ora offre anche una pace vittoriosa (Amiens 1802) al suo popolo. Diviene onnipotente. E qui sta il problema: quanto può durare la pace?
Poco e niente. Nel 1803 riprende un decennio di guerre che porterà alla caduta. Una guerra che durava già da dieci anni. L’Inghilterra vuole continuare questa guerra. Dopo la proclamazione dell’Impero nel 1804 lo scontro sarà all’ultimo sangue. La Francia è minuziosamente controllata da un apparato poliziesco che neanche Luigi XIV avrebbe potuto possedere. La guerra deciderà la sorte dell’Impero e della Gloria francese. L’uomo nato dalla guerra sarà condannato a continuarla. Bonaparte – Carlo Magno deve combattere continuamente e vincere ogni battaglia. Quando perde per la prima volta viene travolto, suo figlio svanisce nel nulla, la Francia torna alle frontiere del 1789. Persino i Cento giorni rappresentano un sogno romantico. La marcia trionfale dal Fréjus alle Tuileries scalda i nostri cuori. L’Imperatore è tornato, viva l’Imperatore. Poi la tragedia di Waterloo e la sofferenza indicibile di Sant’Elena. Il titano imprigionato. La narrazione della sconfitta nel Memoriale sarà la sua vittoria postuma.
Noi ti ameremo sempre nostro Imperatore. Hai umiliato i nobili sfaticati e aperto la strada al talento, hai alzato i ranghi senza mai stuzzicare l’invidia plebea. La tua fine ci commuove ancora perché, in mezzo a molti umani errori, ci hai difeso dai veri nemici.
Oggi viviamo nella vergogna di un mondo senza merito e che disprezza il talento.
Torna nostro Imperatore, torna… almeno nei nostri sogni e nella nostra attuale Sant’Elena.

“Come ultimo risultato, tutto si avvia alla sua fine, il terribile spirito di novità che percorreva il mondo, diceva l’imperatore, e al quale aveva opposto lo sbarramento del suo genio, riprende il suo corso; le istituzioni del conquistatore vengono meno; la sua sarà stata l’ultima delle grandi esistenze individuali; nulla dominerà ormai nelle società infime e livellate; l’ombra di Napoleone si drizzerà sola all’estremità dell’antico mondo distrutto, come il fantasma del diluvio in riva al suo abisso: la posterità lontana scoprirà quest’ombra di là dal gorgo dove cadranno i secoli sconosciuti sino al giorno segnato per la rinascita sociale.“
(Chateaubriand)

J.V.

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