Parte Quarta Le Paci della Westfalia
Le Paci della Westfalia
Nel 1642 le vicende della guerra volgono al ribasso per la Casa d’Asburgo. Gli svedesi pubblicano un manifesto col quale esortano tutte le Potenze tedesche belligeranti ad una conferenza internazionale per la pace. Si decide di tenere le riunioni preliminari a Osnabrück per gli svedesi e a Münster per la Francia in data 25 marzo. L’imperatore Ferdinando III per prendere tempo ricorre ad un mediocre sotterfugio e invia la ratifica dell’accordo dopo la scadenza dei termini. La mossa non viene gradita neppure dai suoi alleati, in primis Massimiliano di Baviera, ormai vicino ai francesi purché gli confermino l’Elettorato e le conquiste sul Reno. Inoltre crescono i dissapori tra Vienna e Madrid; dopo la morte del Cardinale Infante avvenuta il 9 novembre del 1641, Olivares aveva deciso di nominare suo successore a Bruxelles l’arciduca Leopoldo, fratello dell’imperatore, ma Filippo IV, dopo vari tentennamenti tipici del suo debole carattere, nomina don Francisco De Melo, già ambasciatore spagnolo a Genova e viceré della Sicilia, offendendo così il ramo austriaco della famiglia e precipitando l’Olanda spagnola verso il disastro finale a causa dell’incapacità del nuovo Reggente. Ferdinando III comprende chiaramente che deve salvare l’Austria dal naufragio della monarchia spagnola. La guerra volge a favore della Francia e poco prima di morire Richelieu aveva riorganizzato finalmente l’esercito, favorendo il merito, la disciplina e il comando di giovani ufficiali di valore come il duca d’Enghien, poi Gran Condé, e il visconte di Turenne. Il primo, principe del sangue, aveva sposato nel 1641 una nipote del Cardinale, il secondo passerà alla storia come Grand-Turenne e combatterà contro lo stesso Condé a Bléneau e alle Dune. Il 28 novembre 1642 Richelieu cadeva gravemente malato e moriva, assistito dal suo Re, verso mezzogiorno del 4 dicembre. Nella primavera del 1643 Enghien, assistito dagli esperti Gassion e De l’Hôpital, iniziava le operazioni militari sul confine fiammingo. La sera del 17 maggio Enghien si trova nei pressi di Rocroy e viene informato che il Re è morto tre giorni prima a Saint-Germain-en-Laye. Tiene per sé la notizia per non scoraggiare le sue truppe, il mattino seguente convoca i suoi aiutanti di campo ed espone il suo piano di battaglia. A questo punto informa gli alti ufficiali della morte del Re e li invita ad un giuramento di fedeltà verso il nuovo sovrano, un bambino di cinque anni, e la reggenza composta da Anna d’Austria e Mazarino. Poi con calma inizia le operazioni militari. “…Il nodo della guerra era la Fiandra; le truppe spagnole uscirono dai confini dell’Hainaut con 26 000 uomini al comando di un vecchio generale di lunga esperienza, don Francisco de Mello. Giunsero a saccheggiare le frontiere della Champagne, attaccarono Rocroy e credettero di poter penetrare sino alle porte di Parigi, come avevano fatto otto anni prima. La morte di Luigi XIII, la debolezza di una minorità avevano dato più aire alle loro speranze; e quando videro che gli veniva contrapposta un’armata inferiore di numero, comandata da un giovane di 21 anni, la loro speranza si trasformò in certezza. Quel giovane senza esperienza, che disprezzavano, era Luigi di Borbone, allora duca d’Enghien, poi conosciuto con il nome di Gran Condè. La maggior parte dei grandi capitani sono divenuti tali per gradi. Quel principe era nato generale; l’arte della guerra sembrava in lui un istinto naturale. Fu lui che con la cavalleria attaccò quella fanteria spagnola fino allora invincibile, così forte, così serrata come l’antica falange tanto ammirata e che si apriva, con un’agilità ignota alla falange, per lasciare partire la scarica dei diciotto cannoni che rinchiudeva al suo centro. Il principe l’aggirò e l’attaccò tre volte. Appena riuscito vincitore fermò la carneficina”
Così Francois Marie Arouet, detto Voltaire, descrive la battaglia di Rocroy in “Le Siècle de Louis XIV”
La cittadina di Rocroy, nelle Ardenne, assediata dagli spagnoli, è la chiave per aprire la porta di Parigi. Per gli Imperiali rappresenta l’ultimo ostacolo sulla strada della capitale. La piccola città fortificata, difesa da una guarnigione francese, è posta sotto assedio dalle truppe di don Francisco de Melo, Reggente dei PaesiBassi spagnoli. Il 12 maggio il comandante spagnolo era stato raggiunto dalla cavalleria d’assalto, al comando del fiammingo conte d’Isembourg, portando così gli uomini ai suoi ordini a ventiseimila, contro i ventiduemila del duca d’Enghien. Il 18 inizia la battaglia. Gli spagnoli sono schierati su tre linee, con alle ali la cavalleria protetta dall’artiglieria, e al centro la famosa e temuta fanteria dei “tercios”, al comando del conte de Fuentes. L’avanguardia francese, al comando del conte Gassion, si mette in movimento e attraversa la foresta senza incontrare resistenza. Lo segue il duca d’Enghien, alla testa di duemila cavalieri. Il maresciallo francese De l’Hôpital, senza attendere ordini dal duca, manda in avanti il generale Henri de La Fertè-Senneterre per saggiare le forze nemiche. Un errore del quale approfitta Isembourg che immediatamente lancia la sua cavalleria contro il nemico e lo costringe a ritirarsi. La fortuna corre in aiuto a d’Enghien. Inspiegabilmente Francisco de Melo ordina alla cavalleria di Isembourg di ritirarsi, e questi, malvolentieri, deve accettare. Ormai è sera e cessano i combattimenti. La mattina del 19 riprende la battaglia. Il conte di Gassion e il duca attaccano con quindici squadroni. Subito fuori dalla foresta, il duca d’Enghien travolge la cavalleria leggera spagnola comandata da Albuquerque mentre le artiglierie si scambiano una fitta serie di colpi. Purtroppo La Fertè-Sanneterre sta ripetendo l’errore del giorno prima, ma questa volta Isemburg non si ferma e, dopo aver travolto i francesi, cattura lo stesso La Fertè, gravemente ferito. La battaglia sembra perduta; lo schieramento francese entra in crisi, l’ala sinistra di De l’Hôpital viene sgominata e l’artiglieria cade in mano al nemico. A questo punto, dopo aver ordinato a Gaisson di trattenere la cavalleria di Albuquerque, il duca d’Enghien si lancia in una carica travolgente contro l’ala destra spagnola, aggirando l’intero schieramento e mette in crisi lo sbigottito De Melo. L’assalto del giovane duca è così impetuoso che il nemico cede di colpo. Resta però l’ultimo, più arduo baluardo, per la vittoria finale: la formidabile fanteria spagnola dei “tercios”. Per ben tre volte il principe di Condè si lancia all’assalto della fanteria nemica, dopo che Gaisson aveva messo in fuga la cavalleria di Isembourg e di Albuquerque. Il duca d’Enghien si precipita dentro lo schieramento spagnolo, mentre alle sue spalle la fanteria francese dà il colpo di grazia. Fuentes muore colpito da una pallottola vagante. Gli ufficiali spagnoli alzano bandiera bianca ed Enghien vuole render gli l’onore delle armi. Cavalca verso gli sconfitti ma questo suo gesto viene scambiato da qualcuno come un ennesimo attacco e si riapre il fuoco. I francesi indignati assaltano quanto resta della fanteria spagnola malgrado Enghien continui a gridare di concedere loro quartiere. Al calare delle tenebre la giornata di Rocroy è vinta. Le perdite sono ingenti in entrambi gli schieramenti: su 18.000 fanti spagnoli settemila sono prigionieri e ottomila sono morti. È la fine dell’esercito spagnolo; la cavalleria si è salvata ma non è utilizzabile senza la splendida fanteria, vero nerbo dell’esercito. I veterani sono morti e non c’è più nessuno che possa insegnare ai giovani il mestiere delle armi. Gli svedesi a Nördlingen avevano perso la reputazione, gli spagnoli a Rocroy non la perdono ma non ne saranno più all’altezza. Rocroy segna la fine del l’orgoglio e della grandezza di Spagna. Mazarino, ormai padrone di Francia, enfatizza la brillante vittoria e si occupa della propaganda: la sconfitta spagnola viene paragonata alla distruzione dell’Armada nel 1588. Il dato reale è che l’imperatore Ferdinando III dopo Rocroy non riceve più aiuti dalla Spagna e nei restanti cinque anni di guerra la sua forza militare sarà sempre più esigua. Il 23 giugno Ferdinando III autorizza in via ufficiale i negoziati di pace con Francia e Svezia. In realtà il congresso di Münster si apre soltanto il4 dicembre 1644 a causa di altre liti tra imperatore e Stati tedeschi, una improvvisa situazione di relativa debolezza della Francia e, soprattutto, della rottura tra Svezia e Danimarca. Inoltre il 24 novembre 1643 nella regione del Baden, nella Germania sud-occidentale, i francesi al comando del maresciallo Josias Rantzau, nel corso di un’avanzata nella regione del fiume Reno, vengono sorpresi dalle forze imperiali di Franz von Mercy, che comprendevano, oltre alle truppe dell’impero, anche contingenti bavaresi e lorenesi. Von Mercy attacca gli avversari presso la città di Tuttlingen, sorprendendoli completamente; la battaglia si conclude con la ritirata delle forze francesi in Alsazia, al di là del Reno, mentre in mano imperiale rimanevano 7.000 prigionieri circa, incluso il maresciallo Rantzau. Gli imperiali proclamano in tutta Europa che Tuttlingen è la risposta a Rocroy. Non è così ma un allarmato Mazarino convoca Turenne e lo incarica di chiudere la partita militare una volta per sempre. Madrid spera in una crisi della Reggenza ma il comportamento di Anna d’Austria, il suo rapporto fiduciario con Mazarino, la continuazione della linea tracciata da Richelieu non offrono appigli agli Asburgo: la difesa della Francia e del trono del figlio Luigi XIV in Anna è più forte del senso di appartenenza agli Asburgo. Casomai sono le Province Unite, dopo Rocroy, a temere un alleato francese troppo forte ai propri confini. Un ulteriore pericolo per Parigi si presenta dopo la morte del papa Urbano VIII il 29 luglio 1644. Maffeo Barberini era stato una garanzia per la Francia mentre il nuovo papa Innocenzo X – Giambattista Pamphili- era ostile a Parigi. Mazarino teme che da Münster venga allontanato il fidato Fabio Chigi in qualità di mediatore e Innocenzo X lo sostituisca con un legato filo spagnolo. Chigi non verrà allontanato ma i rapporti tra Roma e Parigi si guastano effettivamente. Ciò che rallenta i lavori della conferenza di pace in modo più marcato è la crisi dei rapporti tra Danimarca e Svezia perchéCristiano firma un trattato commerciale con la Spagna,combina il matrimonio tra suo figlio e la figlia dell’elettore di Sassonia, alleato imperiale e aumenta i pedaggi del Sound per sanare il bilancio del suo Stato. A questo punto Oxenstierna dà istruzioni a Lennart Torstensson, Generalissimo delle forze svedesi dal 1641, ordinandogli di attaccare i territori danesi; entro la fine di gennaio 1644 Holstein e Jutland sono in mano svedese. Torstenson aveva combattuto a Breitenfeld e Rain, prigioniero di Wallenstein dopo Alte Veste e trattenuto un anno a Ingolstadt, si distingue nella battaglia di Wittstock al comando di Johan Banér, combatte a Chemnitz ma nel 1641 è costretto a rientrare in patria a causa delle cattive condizioni di salute derivategli dall’anno di prigionia; qui fa parte del Consiglio Privato di Svezia. Dopo la morte di Báner torna in Germania. Le sue vittorie danesi costringono il re Cristiano IV di Danimarca a firmare il Trattato di Brömsebro. Torstenson è uno dei migliori comandanti dell’intera guerra malgrado debba dirigere le operazioni sdraiato su una lettiga e arrivi al punto da non poter neppure firmare gli ordini a causa della gotta che gli colpisce le mani. Le vittorie svedesi preoccupano non poco gli olandesi e Mazarino. Intanto in Svezia la regina Cristina compie 18 anni il 18 settembre 1644 e si occupa personalmente delle questioni di governo con la forza e l’intelligenza ereditate dal padre. Coltissima e determinata, abituata a studiare dieci ore al giorno sin da bambina, anticonformista e desiderosa di chiudere la guerra, si scontra con Axel Oxenstierna che ha idee differenti sul comportamento da tenere a Osnabrück. Non fidandosi di Johan Oxenstierna, figlio del pur da lei stimato cancelliere, gli affianca un suo fedelissimo, Johan Adler Salvius, al quale assegna un compito: chiudere la guerra anche sacrificando eventuali ingrandimenti territoriali svedesi. Grazie soprattutto a Cristina i lavori del Congresso possono iniziare il 4 dicembre, trentadue mesi dopo la data originaria fissata per la sua convocazione dai delegati di Amburgo. Ovviamente la guerra non si ferma e continuerà nei quattro anni successivi. Sebbene tutta la Germania patisce la fame a Münster e Osnabrück nessuno la soffre dal momento che non mancano i rifornimenti per i plenipotenziari; occorrono sei mesi per decidere l’ordine di precedenza e i posti a sedere. L’ambasciatore francese Longueville esige il titolo di Altezza pena il rifiuto di entrare in sala e comunque rifiuterà di incontrare il delegato spagnolo per tutta la durata del congresso. Una generale cessazione delle ostilità avrebbe favorito lo sviluppo delle trattative mentre la continuazione delle operazioni militari induce i vari plenipotenziari a sfruttare eventuali vittorie nel gioco diplomatico a scapito delle popolazioni di tutti gli Stati. In modo particolare Longueville esaspera gli altri delegati con tattiche attendiste volute da Mazarino in persona allo scopo di logorare militarmente la Spagna ed escluderla in via definitiva dal gioco internazionale anche per il futuro. Gli altri ambasciatori francesi sono Claude de Mêsme, marchese d’Avaux, abile ma poco prudente e Abel Servien, marchese di Sablé, vero uomo di fiducia del Cardinale e quindi oggetto di gelosia da parte di d’Avaux. Si può dire che Servien si trova nel rapporto con d’Avaux un po’ come Salvius nei confronti dell’inetto ubriacone Johan Oxenstierna che ha come unico merito quello di essere figlio di un padre eccezionale. L’ambasciatore spagnolo è il conte Gaspar y Guzmán Penaranda de Bracamonte, tipico esponente del sussiego spagnolesco, bello, irascibile e falso, attento ad insignificanti particolari ma privo di una visione complessiva dei problemi da discutere. Per fortuna di Madrid lo affianca un secondo ambasciatore: Antonio Brun, umanista raffinato e conoscitore della burocrazia di Stato. I delegati delle Province Unite sono Adriaen Pauw per l’Olanda e Johan Knuyt per la Zelanda, il primo esponente del partito della pace, filo spagnolo e sospettoso delle trame di Mazarino, il secondo filo francese e quindi legato agli Orange. Paw possiede una eccezionale intelligenza ed è forse il diplomatico più scaltro, bravissimo nel nascondere le sue divergenze con Knuyt. I due mediatori di pace sono Fabio Chigi, nunzio papale e Alvise Contarini, ambasciatore veneziano. In definitiva su circa 140 deputati presenti alla Westfalia solo tre si distinguono per eccezionali capacità: Pauw, Brun e Salvius; gli altri si perdono in cocciutaggini inutili e tecniche dilatorie a buon mercato. Il successo diplomatico francese si deve più alle vittorie di Turenne e alle debolezze di Penaranda che all’abilità dei suoi ambasciatori. Alla fine di novembre 1645 giunge a Münster una figura di spicco, un uomo paziente e concreto, inviato da Ferdinando III dal momento che i francesi ritengono il funzionario governativo Isacco Volmar di scarso rango: il conte Maximilian Trautmansdorff. Il rappresentante imperiale ha una visione chiara dei problemi: le pretese degli Stati imperiali, le condizioni dell’amnistia per i ribelli, i rimborsi per gli alleati e i compensi per gli spossessati. Il terzo punto è quello decisivo: non si giunge alla pace senza la soddisfazione di svedesi e francesi, i cui rispettivi delegati si guardano con notevole diffidenza. Ogni ambasciatore deve assolvere il duplice compito di negoziare al meglio la pace per il proprio paese e di mettere zizzania tra i nemici. Da aggiungere che nel febbraio 1645 Torstensson sbaraglia gli imperiali e i bavaresi a Jankau, vicino al monte Tabor e questa vittoria rappresenta per gli svedesi la Rocroy tedesca dal momento che la famosa cavalleria bavarese di fatto non esiste più. Un altro punto di forza militare, dopo quello dei Tercios, si infrange per sempre. Il risultato strategico è la fuga dell’imperatore da Praga, sul modello del re di un inverno Federico V venticinque anni prima dopo la Montagna Bianca. Turenne nel mese di maggio viene battuto a Mergentheim da Werth e Von Mercy. Le dimissioni del visconte vengono respinte da Mazarino; in estate Turenne si ricongiunge con il duca d’Enghien e torna all’offensiva. Il 24 luglio von Mercy si trincera su un gruppo di colline a sud-est di Nördlingen, vicino Allerheim, convinto di battere i due giovani condottieri francesi. Il 3 agosto i francesi riportano invece una sanguinosa vittoria che lascia sul terreno migliaia di morti e feriti gravi di entrambi gli eserciti; una vittoria di Pirro. I generali francesi vittoriosi non sono in grado di continuare la campagna a causa delle ingenti perdite. La causa imperiale riceve un colpo durissimo: muore lo stesso Franz von Mercy, il migliore generale imperiale, l’uomo che per anni aveva contrastato Turenne. Intanto Federico Guglielmo del Brandeburgo firma la pace con la Svezia e Giovanni Giorgio di Sassonia stipula con Torstensson i preliminari di Kötschenbroda nell’agosto. A questo punto il pavido Massimiliano di Baviera istruisce il proprio rappresentante al congresso ordinandogli di firmare qualsiasi pace vantaggiosa per la Baviera.
L’alleanza imperiale è in profonda crisi e Ferdinando III è un uomo sconfitto quando Trautmansdorff giunge in incognito a Münster la sera del 29 novembre 1645. Altissimo, assai brutto d’aspetto, è riservato e capace. Incontra Longueville, Penaranda e Salvius, suscitando in tutti un’ottima impressione e, soprattutto, essendo l’amico fraterno dell’imperatore è in grado di offrire concrete garanzie sulla volontà di pace degli Asburgo. Il plenipotenziario imperiale lavora diciotto mesi a Münster; la sera del 16 luglio 1647 riparte per Vienna soddisfatto del lavoro svolto. Al suo arrivo a Münster, Ferdinando III era appeso ad un filo, ora può respirare. Il 30 gennaio 1648 Spagna e Province Unite concludono la pace separata di Münster mettendo fine ad una guerra che durava da ottant’anni. Gli olandesi, ormai padroni del Sund da tre anni e delle rotte commerciali del Baltico, non vedono motivo di continuare la guerra con la Spagna, una guerra che veniva utile soltanto alla Francia. Il motto olandese era Gallus amicus sed non vicinus. Il patriziato mercantile olandese preferisce avere come vicini i Paesi Bassi spagnoli ormai neutralizzati e non la potente monarchia francese. Le Province Unite conservano le zone settentrionali delle Fiandre e del Brabante, con la città di Maastricht, oltre ai possedimenti nelle Indie occidentali e orientali. inoltre viene loro garantito che sarebbe stata impedita la navigazione sulla Schelda. Per l’Olanda spagnola è la fine: Amsterdam viene favorita su Anversa e la città si prende la rivincita sugli Orange, sminuiti nel loro prestigio. Guglielmo II d’Orange è furibondo e interviene militarmente contro l’oligarchia di Amsterdam ponendo l’assedio alla città. La morte lo coglie improvvisamente nel 1650 mentre medita di portare soccorso alla monarchia inglese contro il Parlamento di Cromwell. Sarà lo stesso Cromwell a porre fine alla supremazia di Amsterdam qualche anno dopo dal momento che l’interesse dell’oligarchia inglese si scontrava con quello del patriziato olandese. Ovviamente con la caduta della monarchia Stuart in Inghilterra, la questione del Palatinato perde importanza nel corso delle trattative della Westfalia. Comunque la pace separata degli olandesi costringe la diplomazia francese a correre ai ripari e tentare di rompere definitivamente l’alleanza tra Vienna e Madrid rinsaldata dal matrimonio del vedovo Filippo IV con Maria Anna, figlia dell’imperatore. A Mazarino interessa la guerra con la Spagna e non fantomatiche mire sull’impero e sa benissimo che malgrado la fine delle ostilità con gli olandesi la posizione della Spagna è definitivamente compromessa: rivolte interne, crisi rivoluzionaria nel Regno delle Due Sicilie, crisi economica devastante. La diplomazia francese ha però bisogno di legittimazioni militari per chiudere la partita. Arrivano. Il 17 maggio vicino Augusta, a Zusmarshausen, i franco-svedesi di Turenne e Wrangel si scontrano con le truppe imperiali del feldmaresciallo Raimondo Montecuccoli e dei generali Jost Maximilian von Gronsfeld e Peter Melander. La vittoria dei franco-svedesi è quasi scontata per numero di effettivi sul terreno e per organizzazione; la Baviera viene invasa e devastata per l’ennesima volta a causa dei tentennamenti di Massimiliano. Un altro esercito svedese agli ordini di Königsmark nel mese di luglio invade la Boemia e assedia Praga. Per ironia della sorte la città dove tutto ebbe inizio e che venne occupata nel 1620 e nel 1635 quasi senza opporre resistenza, adesso resiste per mesi agli assalti svedesi e combatte ancora per nove giorni dopo la notizia della pace definitiva. Poi nel mese di agosto Leopoldo viene sbaragliato da Enghien a Lens. Per Ferdinando III è troppo; sa di essere giunto alla fine del viaggio: ha perso la Baviera a Zusmarshausen, Praga è sotto assedio, suo fratello Leopoldo è sconfitto senza appello. Non resta che firma la pace e salvare l’Austria e i possedimenti asburgici prima che sia troppo tardi. Sabato 24 ottobre 1648, superate altre infinite questioni procedurali, vengono finalmente firmati i trattati. Settanta cannoni sparano tre successive salve, le campane suonano, si intonano i Te Deum. In realtà i cannoni continueranno a sparare non a salve ancora per qualche tempo. I soldati smobilitati rappresentano un pericolo concreto; alcuni si raggruppano e formano bande di predoni, cioè continuano lo sporco lavoro che hanno esercitato in trent’anni di guerra: saccheggiare, derubare, torturare, uccidere i contadini inermi. L’ultima guarnigione nemica viene ritirata dalla Germania soltanto nel maggio 1654, più di cinque anni dopo la firma della pace. La Svezia non accetta che i rappresentanti del Papa fungano da mediatori, né, d’altra parte il nunzio pontificio vuole trattare con gli eretici. In conclusione le trattative fra la Spagna e le Province Unite e quelle fra la Francia e l’Impero si tengono a Münster e alle seconde partecipano entrambi i mediatori. Le trattative fra l’Impero e la Svezia (e i protestanti tedeschi suoi alleati) si svolgono invece a Osnabrück con la partecipazione del solo mediatore veneziano Contarini. I due trattati di Münster riguardano quindi la pace fra la Francia e l’Impero e fra le Province Unite e la Spagna. Il trattato di Osnabrück la pace fra la Svezia e l’Impero. I due trattati con la Francia e con la Svezia, di fatto con i cattolici e con i protestanti, con il nome di Instrumentum pacis, divengono una sorta di costituzione del Sacro Romano Impero sino al 1806, anno della conquista napoleonica. Si conferma la libertà degli stati tedeschi in materia religiosa. Inoltre l’ Instrumentum pacis concede agli stati tedeschi la libertà di poter impostare una politica estera autonoma. Inoltre sul piano politico si giunge alle seguenti conclusioni:
alla Francia vanno la Lorena, Metz, Toul, Verdun, i territori asburgici dell’Alsazia e, con Breisach, il controllo del Reno.
La Svezia riceve un risarcimento in denaro per le spese sostenute durante la guerra, la Pomerania Anteriore e i vescovati di Brema e Verden, che garantiscono il controllo delle foci dei fiumi Oder, Elba e Weser, ottenendo in tal modo l’egemonia sul Mar Baltico – posizione che verrà poi assunta dalla Russia di Pietro il Grande -; viene inoltre concesso di inviare tre rappresentanti al Consiglio dei prìncipi dell’Impero, che rappresentava uno dei collegi del Reichstag.
Il Palatinato viene diviso tra il figlio di Federico V, Carlo Luigi, ed il duca Massimiliano di Baviera, che ottiene l’Alto Palatinato. Il Duca di Baviera conserva il titolo di elettore garantitogli nel 1628 (il numero degli elettori venne quindi portato a otto): cinque cattolici, due protestanti e uno calvinista.
Il Brandeburgo (futura Prussia) riceve la Pomerania Orientale e i vescovadi di Magdeburgo, Halberstadt, Kammin e Minden, nonché i territori di Cleves, Mark e Ravensberg in seguito alla risoluzione della disputa per i territori del defunto Duca di Jülich-Cleves-Berg.
I Paesi Bassi e la Svizzera vengono riconosciuti sovrani ed indipendenti dall’Impero. Viene invece ufficialmente soppresso il Regno d’Italia, considerato ufficialmente parte dell’Impero.
Resta aperto il conflitto tra Francia e Spagna. Nella Battaglia di Bléneau il 7 aprile 1652 Turenne sconfigge le truppe spagnole comandate dal Gran Condé, passato dalla parte del nemico dopo la partecipazione alla Fronda nobiliare contro Mazarino. Nel 1658 Turenne sconfigge nuovamente gli spagnoli del Condé nella battaglia delle Dune presso Dunkerque. A questo punto gli Asburgo di Spagna firmano il Trattato dei Pirenei nel mese ci novembre del 1659. La Spagna è definitivamente battuta.
Cosa si può dire di questo immenso macello che ha visto come vittime soprattutto le popolazioni inermi?
Dopo Westfalia di fatto l’Impero è ormai una mera espressione geografica mentre sorgono con un’identità nazionale l’Austria, la Baviera, la Sassonia e il Brandeburgo-Prussia. Grazie alla politica di potenza francese il centro d’Europa è vuoto e il Brandeburgo-Prussia si impegnerà a lasciarlo tale in futuro. Un’altra conseguenza della pace sarà l’odio della Germania del nord verso gli Asburgo, ritenuti i responsabili del disastro tedesco; l’accusa è di aver sacrificato l’impero al’Austria per ottenere una pace umiliante. Accusa tutto sommato ingiusta perché gli Asburgo in realtà tentano di unificare il centro d’Europa e dare dignità all’impero. Gli svedesi approfittano delle divisioni tra i principi tedeschi per espandersi in Germania e la Francia ottiene l’Alsazia, fonte di guai per i futuri secoli, a causa della vigliaccheria e del doppiogiochismo di Massimiliano di Baviera. Il dato saliente è comunque la frattura insanabile tra Nord tedesco e Austria. La verità è che la tragedia tedesca è soprattutto responsabilità delle liti e delle divisioni tra i principi tedeschi, incapaci di una strategia comune e di vasto respiro, chiusi in una visione particolaristica e miope. Richelieu e Olivares, Gustavo Adolfo e Ferdinando II, Ferdinando III e Mazarino giocarono proprio su queste divisioni, sugli interessi privati dei principi: Sassonia contro Baviera, Brandeburgo contro Sassonia. Di chi la responsabilità della guerra? Nessuno alla Westfalia vuole prendersela. Il Papa esprime forti parole di condanna. Le responsabilità sono collettive ma aumentano in diretta proporzione col rango e il potere personale dei protagonisti. Forse solo Cristina di Svezia ebbe la lungimiranza di cercare la pace anche contro gli interessi specifici del suo paese. Due personaggi hanno particolari responsabilità: Giovanni Giorgio di Sassonia e Massimiliano di Baviera. Assieme questi due potenti principi avrebbero potuto fermare le mire ambiziose di Ferdinando di Stiria e di Federico del Palatinato impedendo così gli interventi spagnolo e francese. In particolare poi Massimiliano è colpevole di aver barattato l’Elettorato con l’appoggio a Ferdinando, assestando un colpo mortale alla Germania; inoltre, sempre per difendere la carica elettiva sottratta a Federico V consente a Mazarino di strappare l’Alsazia all’impero. La guerra fu una catastrofe per la Germania e per l’Europa, le Paci di Westfalia annunciavano altre guerre e più che di trattati di pace si può parlare di rimaneggiamenti della carta geografica in funzione francese. La guerra non risolse alcun problema e, se i conflitti armati sono insensati, questo lo fu più di altri. Dopo Westfalia non si ucciderà più in nome di Dio, ma in nome della Ragione, dello Stato, dell’amore di Patria. Poco cambia: occorre sempre uno straccio rosso da agitare sotto gli occhi del toro per farlo caricare.
Affidiamoci alle parole di un grande tedesco, Friedrich Schiller: “Se gli interessi privati e quelli pubblici non si fossero sovrapposti, né la voce dei teologi né quella delle genti avrebbero trovato dei principi così disponibili ad ascoltarle; mai nuove dottrine avrebbero armato tanto zelo e tanti valenti difensori… Anche se non si può negare che l’amore per l’indipendenza e la prospettiva del ricco bottino che prometteva l’appropriazione dei monasteri e delle abbazie, accrescesse, agli occhi di molti principi, il merito delle dottrine di Lutero, per deciderli a difendere apertamente queste dottrine era necessario che la ragion di stato ne facesse per loro un dovere”. Schiller non fa mistero delle sue simpatie per la parte protestante, ma osserva che la religione, fu strumentalizzata da tutti i partecipanti al conflitto. Mentre per molti la guerra a favore o contro l’Imperatore – a favore o contro il potere della Chiesa cattolica- fu una questione di cuore e di sentimento, per i principi che manovravano gli eserciti, la religione rimase sempre un mezzo di potere. Schiller vede nella guerra dei trent’anni il primo conflitto a livello europeo, e quindi per quei tempi mondiale, che alla fine, con la Pace di Vestfalia, porta l’Europa distrutta a una nuova consapevolezza: che gli stati dell’Europa costituiscono una comunità e che una guerra come questa, che ha dimezzato la popolazione dell’Europa centrale, non doveva mai più succedere. Peccava di ottimismo ma non conosceva ancora le conseguenze devastanti delle terribili guerre del Novecento.
Nicolò Scialfa
J.V.