Parte Terza Richelieu e l’egemonia francese in Europa
Parte Terza
Richelieu e l’egemonia francese in Europa
Dopo la morte di Wallenstein il re d’Ungheria diviene comandante supremo dell’esercito imperiale. Il 22 luglio 1634 entra in Ratisbona, il 16 agosto attraversa il Danubio e pone l’assedio a Nördlingen, presidiata da un esiguo contingente svedese, restando in attesa di suo cugino il Cardinale Infante a capo di un esercito proveniente dalla Foresta Nera. Il 30 agosto i due eserciti si ricongiungono e ammontano a quasi 40.000 uomini contro i 30.000 del maresciallo Gustavo Horn e del Duca Bernardo di Sassonia-Weimar. Malgrado l’inferiorità numerica il 6 settembre Horn e Bernardo, divisi sul piano strategico e incapaci di una direzione unitaria, decidono per l’attacco. La decisione è frutto di calcoli sbagliati: i due comandanti svedesi sottostimano la forza numerica degli ispano-imperiali e l’esperienza dei veterani spagnoli. Non sanno che la fanteria spagnola è composta da 21.000 uomini -e non da 7.000- come pensavano erroneamente perché nuove forze del Duca di Feria, governatore di Milano, si sono aggiunte alle già imponenti truppe del Cardinale Infante. Lo scontro si rivela subito difficile per gli svedesi; un tentativo di attacco condotto durante la notte fallisce miseramente. Il mattino seguente, i “Tercios Viejos” (vecchi tercio, composti in buona parte da soldati napoletani), comandati da Fuenclara, Idiáquez e Toralto, resistono a quindici cariche di cavalleria svedese. Grazie a loro ogni attacco svedese svanisce e dopo sette ore di combattimento accanito, al grido di “viva Espana”, gli ispano-imperiali rompono le file degli svedesi e vincono trionfalmente la giornata. Gli svedesi lasciano sul campo 17.000 morti e 4.000 prigionieri. Lo stesso Horn viene catturato. I due giovani principi, cugini e cognati, riportano una vittoria trionfale che azzera la vittoria di Gustavo Adolfo a Lützen. Gli svedesi sono costretti a ritirarsi nella Germania settentrionale. Dal punto di vista politico, la battaglia convince la maggior parte degli stati protestanti tedeschi, compresi Sassonia e Brandeburgo, ad abbandonare il conflitto. Dopo una prima serie di accordi, noti come “preliminari di Pirna”, del novembre 1634, il 30 maggio 1635 venne firmata la Pace di Praga, che mette termine alla lotta tra l’Imperatore ed i principi protestanti. Oxenstierna non impaurisce più la Germania e lo stesso alleato francese non è troppo dispiaciuto del tremendo crollo svedese. Questo è il momento di massimo trionfo per la casa d’Asburgo; l’imperatore unisce l’orgoglio di padre del vincitore Re d’Ungheria alla soddisfazione della vittoria. A questo punto però Richelieu deve paradossalmente assumere la direzione politica e militare della causa protestante: non più scontro religioso ma duello mortale tra Borboni e Asburgo per la supremazia in Europa, partita che si gioca sul martoriato terreno tedesco. Un cardine della Chiesa cattolica si accinge ad una lotta senza esclusione contro Roma e il cattolicesimo.
Jean-Armand Du Plessis Duca di Richelieu nasce il 9 settembre 1585 nel castello di Richelieu, nel Poitou, sotto il regno di Enrico III, ultimo dei Valois, assassino del Duca di Guisa e assassinato a sua volta, in un tempo di tremende e orribili guerre di religione. Quando il piccolo Armand compie quattro anni sale sul trono Enrico IV di Navarra-Borbone, uno dei più grandi sovrani di Francia; il suo regno durerà ventuno anni. Con Enrico IV si concludono momentaneamente le guerre di religione e la guerra con la Spagna; nel 1598 con lungimiranza il Re firma la pace di Vervins e promulga l’Editto di Nantes. Con la prima, firmata da Filippo II e poi confermata da Filippo III, Asburgo e Borbone interrompono una guerra che durava dai tempi di Carlo V; con il secondo si riconosce la libertà di culto in tutto il territorio francese là dove i protestanti si erano già installati prima del 1597 tranne che a Parigi, Rouen, Lione, Digione e Tolosa, mentre viene proibito il culto cattolico a Saumur, La Rochelle e Montpellier; inoltre viene concessa la possibilità agli ugonotti di accedere a cariche pubbliche e scuole e di possedere un centinaio di piazzeforti. A quel tempo Armand è già orfano di padre da otto anni. Suo padre era un nobile di campagna con scarsi beni fondiari; l’ascesa sociale della famiglia inizia col matrimonio tra il nonno di Richelieu, Luigi Du Plessis e Francoise de Rochechuart, erede di una delle più importanti famiglie francesi, povera ma di gran schiatta e quindi vicina alla Corte. Louis diviene così cameriere e coppiere del Re, va in battaglia, muore presto e lascia cinque figli minorenni. In un’epoca tremenda e di totale disordine la famiglia è una sacra sfera di sopravvivenza e Francoise de Rochechuart educa i figli all’onore e all’amore per la loro schiatta. Il suo secondogenito Francois, dopo aver ucciso un rivale della famiglia su istigazione materna, fugge in Polonia col Duca di Angiò, futuro Enrico III, e ne diviene amico strettissimo. Questo uomo saggio e malinconico, detto Tristano l’eremita, è il padre di Armand. Ed è proprio lui ad arrestare ed interrogare Jacques Clément, l’assassino di Enrico III. Stessa devozione viene tributata ad Enrico IV fino a quando, nel luglio 1590, una febbre violenta non lo uccide; lascia vedova Susanne De la Porte, donna di grande intelligenza, di ferrea volontà ma dolce e silenziosa, dedita completamente ai figli. Il piccolo Armand ha un rapporto stupendo con la madre e le assomiglia nei modi gentili e decisi. Però è un bambino gracile e malato; tutti pensano che non vivrà a lungo. Giá alla nascita ha messo a repentaglio la vita di sua madre. Il pericolo dei tempi, la malattia e la preoccupazione di una morte precoce temprano il carattere del fanciullo, afflitto da orribili emicranie che lo accompagneranno per tutta la vita. Richelieu è preda di crisi epilettiche ricorrenti. A nove anni viene allontanato dalla famiglia e inizia gli studi al collegio di Navarra; studia sugli stessi banchi che avevano ospitato Enrico IV. Poi viene accolto all’Accademia di Pluvinel, una scuola prestigiosa dove contano l’onore nobiliare, il saper vivere e l’eleganza dei modi. In questi anni si sviluppano il coraggio e la temerarietà di Richelieu. La rinuncia del secondogenito Alphonse al vescovado di Lucon a causa di una crisi mistica che lo porta a chiudersi in una Certosa, muta il destino di Armand: dalla carriera militare passa a quella ecclesiastica. Tocca a lui diventare il Vescovo di famiglia. Studia con rigore i testi teologici, legge attentamente i filosofi, disputa pubblicamente con i saggi del tempo, ogni sua mossa è supportata da feroce determinazione. Nel 1605, cinque anni prima del raggiungimento dell’età canonica, viene solennemente eletto Vescovo di Lucon. Il fratello maggiore Enrico lo introduce a Corte e Armand entra immediatamente nelle grazie del grande Re Enrico IV al punto che il Re stesso scrive a Roma per ottenere la dispensa per il suo protetto. Impaziente per le lentezze burocratiche, Armand parte per Roma e qui entra in contatto con la grande diplomazia; soprattutto impara una grande lezione: guadagna chi sa imparare dalla vita, perde chi vuole alla vita insegnare. Conosce bene lo spagnolo, la lingua internazionale del tempo; grazie ai modi eleganti, una prodigiosa memoria e una concentrazione stupefacente entra a far parte della ristretta cerchia del Papa Paolo V, il quale discute con lui riservatamente persino della condotta privata di Enrico IV. Una tale carriera non è immune da invidie e gelosie: i nemici non mancano. Comunque con grave scorno degli invidiosi durante la Pasqua del 1607 Richelieu viene consacrato Vescovo. Atroci dolori e violente emicranie funestano i suoi successi ma una ferrea volontà lo sostiene strenuamente. È stimatissimo dalla Corte e dal Re, eppure il giovane Vescovo comprende che per lui è giunto il momento dell’attesa: la sua carriera è stata troppo rapida, occorre fermarsi prima di spiccare il salto definitivo. Nel mezzo del gelido inverno 1608, distrutto dalla febbre, parte per Lucon, nel più povero vescovado del Reame. Qui si riposa, studia, scrive, prepara la scalata al vertice del potere. Entra in confidenza col grande teologo giansenista Du Vergier de Hauranne abate di Saint-Cyran; Richelieu matura convinzioni profondamente anti luterane e vede con malcelata antipatia lo stesso Giansenismo, a suo giudizio troppo raffinato e contorto per poter essere la religione di tutti i francesi. Ben diversi e strettissimi sono i rapporti con Bérulle, fondatore dell’Oratorio e fautore dell’ascesa politica del giovane Vescovo. Ma l’uomo più importante per l’intera esistenza di Richelieu è un cappuccino, il Padre Giuseppe, al secolo Francois Leclerc du Tremblay, di otto anni più anziano e personaggio di statura europea. Tutti questi uomini influenzano il giovane vescovo, profondamente cattolico ma pronto ad allearsi con i protestanti pur di far trionfare la monarchia francese; perché questo egli è nel profondo: il primo difensore della monarchia e dello Stato francesi. Negli otto anni passati a Lucon Richelieu comprende quali sono i due immani problemi dello Stato francese: debolezza dell’autorità regia e semiautonomia degli ugonotti. Dopo la morte di Enrico IV, avvenuta nel 1610 ad opera di Ravaillac, questi problemi si ingigantiscono. Il potente cardinale Du Perron, colpito dalle qualità di Richelieu, lo invia come rappresentante del clero agli Stati Generali di Poitiers nel 1614. Non verranno più convocati sino al 1789. Le doti di Richelieu non sfuggono neppure alla reggente Maria dei Medici e al suo favorito Concino Concini: nel 1616 viene nominato Segretario di Stato. Malgrado l’assassinio di Concino Concini, suo protettore, la posizione ministeriale di Richelieu è ormai consolidata: è entrato, a 31 anni, nel cerchio magico della Corte. Occorreranno ancora otto anni di macchinazioni, delusioni, trame oscure, spionaggi, umiliazioni per arrivare all’ultimo gradino del potere. Richelieu, dietro un’imperturbabile equilibrio, è soggetto a spaventosi eccessi d’ira e crisi di pianto. A volte ira e pianto sono sapientemente calcolati, a volte no. È un ipersensibile, ossuto, quasi ascetico, perennemente minato nel corpo da un fragile sistema nervoso. Come suo padre è malinconico e infelice, sempre sospeso tra tormento e speranza. Suo fratello Alphonse è convinto di essere Dio (è in buona compagnia) e sua sorella, Madame de Brézé, non rischia di sedersi perché è convinta di essere fatta di vetro. Insomma una famiglia con qualche problema di tenuta nervosa. L’insonnia lo tormenta ma è proprio nelle lunghe veglie notturne che riesce a lavorare assiduamente. Amante dei libri, della musica e soprattutto del fasto che ritiene indispensabile per un principe della Chiesa: la sua Corte è formata da 180 persone e la scuderia è dotata di 140 cavalli. Costruisce sontuosi palazzi per se stesso: il Palais Cardinal a Parigi e un enorme castello a Richelieu. Ama la vita militare e per tre volte partecipa alle operazioni di guerra: a La Rochelle indossa un costume eccentrico e particolare, una sontuosa armatura sopra la porpora cardinalizia e dirige personalmente le operazioni d’assedio. Nel 1629 e nel 1630 per due volte scende in Italia attraverso le Alpi sopportando le stesse privazioni dei soldati. Il suo autoritarismo discende dalla volontà di imporre regole ad un mondo disordinato. Nutre convinzioni pessimistiche sul mondo e sulla natura umana e infatti predilige Tacito del quale mette in atto gli scritti. Un uomo pericoloso in tempi pericolosi. Il periodo 1617-24 è difficile per Richelieu, anni di temporaneo esilio ad Avignone. Il giovane Luigi non vuol saperne di un uomo che in passato lo ha sottovalutato. Ne teme l’autoritarismo. Nel 1621 però muore il Duca di Luynes, favorito del Re, e l’anno dopo Richelieu viene elevato alla porpora cardinalizia. Tre anni dopo, finalmente, Luigi XIII ammette il Cardinale nel Consiglio del Re e gli affida la guida del Governo. Richelieu è riuscito a mediare le tensioni tra il giovane sovrano e l’ingombrante regina madre e va così ad occupare quello spazio lasciato vuoto dal Luynes. Infine la gravità del momento, con un Paese a pezzi a causa delle turbolenze sociali e religiose fa cadere la diffidenza del sovrano. Richelieu gli appare l’unico in grado di raddrizzare la nave. Si può dire che nel 1624 il Cardinale si trova la strada spianata dall’incapacità dei suoi nemici, in particolare Brûlart e La Vieuville, responsabili di uno smacco dietro l’altro per la Corona. Richelieu non è un favorito ma, finalmente, un primo ministro. Va da sé che il Cardinale gioca d’astuzia solleticando il giovane Re sul nervo scoperto: la grandezza della Francia e il paragone con suo padre Enrico IV. In questo senso esiste una profonda differenza con il Conte-Duca Olivares, favorito di Filippo IV. Olivares vive a palazzo reale col suo sovrano, Richelieu vive al Palais Cardinal o nei suoi palazzi fuori Parigi, informato continuamente da uno stuolo di agenti sui movimenti del Re e tenendo una fitta corrispondenza col sovrano. Richelieu e Luigi entrano però pian piano in grande confidenza e il giovane apprende dal suo più esperto servitore la sapienza politica, acquista coraggio e risolutezza, vince le paure giovanili. Persuasione paterna e minacce di abbandono fanno il resto. Le ansie religiose di Luigi vengono sapientemente sfruttate dal Cardinale che spesso lo ascolta anche in confessionale. Nel 1629 Richelieu, in presenza della regina madre, rimprovera a Luigi gravi difetti: temperamento collerico, sospettoso, geloso e soprattutto la tendenza a perdersi in banali dettagli là dove sono invece in gioco questioni essenziali. Gli offre però anche la via d’uscita. Richelieu non lavora soltanto per calcolo personale ma per la concezione sacrale che ha del suo sovrano. Le gracili spalle di Luigi devono sopportare il peso del comando divino e della storia umana. Luigi è chiamato ad assolvere un compito più grande di lui, qualcosa che per Richelieu si chiama realizzazione dello Stato. Il senso dello Stato non gli impedisce di arricchirsi anche personalmente e inoltre, nel 1631, viene elevato al rango di Duca. Il suo obiettivo principale consiste nel tenere sotto controllo l’alta aristocrazia, fonte di pericolo costante per il sovrano. Per questo motivo si circonda di persone a lui fedelissime e tratta con alterigia le grandi famiglie di Francia. Un tale comportamento viene bersagliato dalle feroci critiche degli orgogliosi nobili, ma lui risponde a tono: “È mio orgoglio essere esposto a chiunque per il servizio del Re, grazie a Dio. Ciò che mi consola è che non ho nemici personali e che non ho mai offeso alcuno salvo che nel servizio dello Stato”. Del resto Luigi XIII nel 1626, dopo il complotto di Chalais, aveva fatto al Cardinale una solenne promessa:”Siate certo che vi proteggerò sempre contro tutti i nuovi venuti e che mai vi abbandonerò… siate certo che non muterò mai opinione e che chiunque vi attacchi mi troverà al vostro fianco.” Il cardinale è però consapevole che la distanza tra la polvere e l’altare è breve. Del resto Luigi aveva già dato in pasto ai nemici Concino Concini, orribilmente ucciso. Richelieu ha comunque chiaro il percorso che la monarchia deve intraprendere: accaparrarsi il monopolio della forza contro un’aristocrazia rissosa e violenta. La cospirazione di Chalais del 1626 scredita completamente questa élite nobiliare per la miseria e la grossolanità del complotto ordito contro il cardinale. Henri de Talleyrand-Périgord, conte di Chalais e la sua amante, Marie de Rohan-Montbazon, duchessa di Chevreuse, gran cospiratrice, ed altri principi, compreso il fratello del Re, si associano per annientare il potere di Richelieu. Vogliono uccidere il primo ministro e destituire Luigi XIII a favore del fratello Gastone. Il segreto viene scoperto a causa di dissidi personali tra i congiurati, dilettanteschi e quasi ridicoli. Richelieu esce rafforzato dalla vicenda. Per salvarsi, Gastone confessa subito il suo misfatto e denuncia tutti i suoi complici. Jean-Baptiste d’Ornano, marchese di Montlaur e maresciallo di Francia, già precettore di Gastone, viene arrestato e rinchiuso nel Castello di Vincennes dove muore pochi mesi dopo, probabilmente per avvelenamento. Cesare di Borbone-Vendôme se la cava con quattro anni di reclusione nel castello di Vincennes ed il successivo esilio. Il conte di Talleyrand-Périgord viene condannato a morte e, a causa dell’imperizia dell’improvvisato carnefice, la sua decapitazione si trasforma in un lunghissimo calvario: ci vorranno diversi colpi d’ascia per finirlo. L’esecuzione di Chalais suscita enorme impressione sulla nobiltà: un rampollo dell’illustre casa dei Talleyrand è stato orribilmente massacrato e finito con un coltello da bottaio. I nobili comprendono che i rapporti di forza tra loro e il Cardinale sono mutati. Il duello tra grandi nobili e Cardinale dura sino al 1630 ma il primo ministro riesce a guadagnare Condé alla sua causa e questo è un punto decisivo; opposizione aristocratica e rivolta ugonotta sono i due problemi, come Richelieu già da tempo aveva compreso, da risolvere. Nel luglio 1627 la spedizione inglese guidata da Buckingham parte alla volta dell’Ile de Ré per offrire aiuto a La Rochelle. Il momento è drammatico per la Monarchia, attaccata su tutti i fronti. Luigi decide di partire per la costa di Saintoge ma viene colpito da una forte febbre e rischia la morte. Il suo successore, l’inetto Gastone, è uno strumento in mano ai nobili. Per Richelieu, odiato dalla plebaglia su istigazione nobiliare, si avvicina la fine. Il 20 luglio, proprio mentre le vele inglesi spuntano al largo dell’Ile de Ré, il sovrano si riprende. La convalescenza è lunga e il Cardinale prende personalmente il comando delle operazioni per cacciare gli inglesi e costringere La Rochelle alla resa. Dalla salute del Re dipende quella dello Stato e l’imprevedibilità degli eventi può mutare in un istante il corso della Storia. Comunque La Rochelle si arrende il 28 ottobre 1628. Il Cardinale ha vinto. Nel febbraio 1629 Richelieu e Luigi passano le Alpi alla testa di un imponente esercito e agli inizi di marzo sbaragliano Carlo Emanuele di Savoia a Susa. La pressione francese costringe Gonzalo de Córdoba a togliere l’assedio a Casale. Un anno dopo, il 29 marzo 1630, le truppe francesi si impadroniscono della fortezza di Pinerolo e nel maggio Luigi conquista la Savoia. Le vittorie militari accrescono il prestigio del Re e rafforzano l’assolutismo. Alle critiche nobiliari e al desiderio di pace del popolo stremato Richelieu risponde che “l’avversione del popolo alla guerra non è un valido motivo a favore della pace”. La regina madre vede il Cardinale come il nemico principale ed è alla testa del partito della pace. Il 21 settembre 1630 il Re viene colpito da febbri violente e il 29, a Lione, riceve l’estrema unzione. I grandi nobili pensano già all’eliminazione del Cardinale ma il 30 Luigi inizia a riprendersi e il 13 ottobre rientra a Parigi. La regina madre fa pressione sul figlio malato perché licenzi Richelieu. La resa dei conti viene accelerata dal rifiuto del Cardinale di avallare il negoziato di Ratisbona del 13 ottobre, firmato dai plenipotenziari francesi Brûlart e padre Giuseppe, dopo la fine delle ostilità in Italia. Accettando questo armistizio con l’Imperatore gli inviati impegnano la Francia ad abbandonare gli alleati e minano la coalizione antiasburgica voluta dal Cardinale. La lotta con Maria dei Medici raggiunge il parossismo e culmina nella journée de dupes (il giorno degli ingannati) l’11 novembre. Maria arriva ad un passo della vittoria ma Richelieu usa tutta la sua astuzia e, dopo un lungo colloquio con Luigi, ottiene il completo appoggio del sovrano. La regina madre viene esiliata a Compiègne nel febbraio 1631, da dove fuggirà il 18 luglio per raggiungere i Paesi Bassi Spagnoli, mentre l’altro figlio, il principe Gastone, duca d’Orléans si rifugia alla corte del duca di Lorena, da dove continuerà a complottare contro il fratello. Il maresciallo Bassompierre viene imprigionato alla Bastiglia, da dove uscirà solo nel 1643; il duca di Guisa preferisce chiedere l’autorizzazione a partire per un pellegrinaggio in Italia, dalla quale non tornerà più. Di fronte ad un tale sconvolgimento della situazione Guillaume Bautru, conte di Serrant esclamò la famosa frase che passò alla storia dando il nome alla congiura: «C’est la journée des dupes!» (È la giornata degl’ingannati!). Richelieu è il padrone di Francia e si appresta al duello mortale con gli Asburgo.
La pace di Cherasco del l’aprile 1631 segna la fine della guerra per la successione di Mantova. Quattro anni dopo , nel maggio 1635, le ostilità tra Francia e Spagna vengono aperte in modo ufficiale. Durante i quattro anni di guerra fredda tra le due Corone asburgica e borbonica Richelieu rafforza la riva sinistra del Reno, Gustavo Adolfo muore a Lützen, il re d’Ungheria e il Cardinale Infante sbaragliano gli svedesi a Nördlingen e la Santa Sede cerca una mediazione conscia del pericolo gravissimo che sta correndo a causa dell’alleanza della Corona francese con i nemici protestanti. L’8 febbraio 1635 Richelieu firma un trattato con gli olandesi e il 28 aprile rinnova l’alleanza con la Svezia. Il 19 maggio un messo d’armi proclama nella grande piazza di Bruxelles che il Re di Francia dichiara guerra al Re di Spagna e al Cardinale Infante, governatore dei Paesi Bassi. Luigi XIII era anche in guerra con l’Imperatore malgrado questi non venisse nominato. Il Cardinale assume inoltre al suo servizio due piccoli eserciti tedeschi, uno al comando di Guglielmo di Assia-Cassel, l’altro al comando di Bernardo di Weimar. Il piano del Cardinale consiste nell’attaccare la Casa d’Asburgo simultaneamente nei Paesi Bassi e in Italia. I risultati sono deludenti e nell’estate del 1636 gli eserciti di Spagna e Impero invadono il territorio francese dimostrando così la scarsa preparazione dell’esercito francese. La cavalleria bavarese guidata dal brillante Johann von Werth entra in Piccardia assieme all’esercito del Cardinale Infante e il generale imperiale Gallas occupa la Franca Contea e la Borgogna. Nell’agosto, dopo la caduta della piazzaforte di Corbie, la stessa Parigi è in pericolo. Scoppiano rivolte popolari e negli ambienti politici si parla di imminente caduta di Richelieu. Il Cardinale e il Re dimostrano invece una fermezza d’animo incredibile; Luigi in persona raggiunge l’esercito come comandante in capo e riconquista Corbie mentre Gallas viene fermato a Saint-Jean-de-Losne, da questo momento ribattezzata Saint-Jean-Belle-Defense. Gli eserciti nemici si ritirano dal suolo francese. Intanto gli svedesi, comandati dai marescialli Banér e Torstenson, sconfiggono bavaresi e imperiali a Wittstock nel Brandeburgo, il 6 ottobre 1636, avanzando sino a Lipsia. L’anno 1637 si apre con la morte di Ferdinando II e il passaggio della corona imperiale al Re d’Ungheria Ferdinando III. Col nuovo imperatore non muta la condotta della guerra. A loro volta Richelieu e Oxenstierna rafforzano i loro eserciti. Il cancelliere era tornato a Stoccolma nel luglio 1636 per procurarsi denaro e nuove reclute; altri uomini gli arrivano dal fronte polacco grazie al disimpegno delle truppe dovuto all’armistizio di Stuhmsdorf con la Polonia del settembre 1635. Dopo un esordio poco felice Richelieu si dedica ad un’attività frenetica per riorganizzare l’apparato militare e aumentare il numero dei soldati; promuove la carriera di due giovani comandanti di grande valore: il visconte di Turenne e il Duca d’Enghien, principe del sangue e in seguito noto come principe di Condé. Il 15 marzo 1638, col trattato di Amburgo si rinsalda l’alleanza tra Francia e Svezia. Una clausola del trattato prevede che Luigi XIII dichiari ufficialmente guerra all’Imperatore e che non firmi alcuna pace separata col nemico; un’altra clausola prevede che Parigi dia alla Svezia un sussidio annuo di un milione di livres. Poco prima della firma del trattato di Amburgo, esattamente il 3 marzo, a Rheinfelden, vicino Basilea, Bernardo di Weimar sconfigge un esercito imperiale appoggiato dalla cavalleria bavarese di Werth. Lo stesso Werth viene catturato e resterà prigioniero sino al 1642. Ma il colpo decisivo viene inferto da Bernardo e Turenne che riuniscono i loro eserciti nei pressi di Breisach e la cingono d’assedio: il 17 dicembre 1638 la città cade e tutta l’Alsazia può essere occupata. La caduta di Breisach è un colpo mortale per l’Impero ed è dovuta alla mancanza del l’appoggio spagnolo agli imperiali. Due mesi prima, il 10ottobre, era caduta anche Breda, in mano spagnola dal famoso assedio di Spinola del 1625. Ora il corridoio renano era definitivamente tagliato e le truppe spagnole non avevano possibilità alcuna di passaggio dal momento che anche la via di mare per le Fiandre non poteva essere seguita a causa della vittoria dell’ammiraglio olandese Tromp nella battaglia delle Dune, vicino Dover, nel corso della quale l’intera flotta spagnola era andata distrutta. Il 1640 è un anno tremendo per la Spagna di Olivares; la stessa sopravvivenza della monarchia è in pericolo: la Catalogna insorge ed elegge Luigi XIII duca di Barcellona, il Portogallo, unito alla Spagna dal 1580, ritira il proprio appoggio a Madrid ed elegge un re portoghese, Giovanni IV, della casa di Braganza. In sostanza Madrid sta morendo e si trascina nella sconfitta anche Vienna. La Spagna è al collasso malgrado l’ostinazione del Conte-Duca che continua a tessere infruttuose trattative segrete con Richelieu, ormai tranquillo grazie ai successi militari e quindi non più interessato ad una tregua col nemico. Inoltre Banér con una brillante campagna ricaccia gli imperiali e i sassoni sino a Dresda, vince nel maggio 1639 a Chemnitz e arriva alle porte di Praga. Non potendo prendere la città il maresciallo svedese lascia che il suo esercito devasti la Boemia settentrionale. Poi, nel maggio del 1640 arriva ad Erfurt dove si congiunge con gli eserciti francesi, dell’Assia e del Brunswick ma gli imperiali di Piccolomini non accettano lo scontro e la campagna si risolve in uno stallo. Vista la gravità della situazione Ferdinando III convoca una Dieta a Ratisbona, la prima dal 1608. Chiede l’appoggio di tutti i principi tedeschi per chiudere la guerra. La Dieta si apre il 13 settembre 1640; dopo qualche risultato iniziale positivo la situazione precipita nel dicembre con la morte dell’elettore del Brandeburgo Giorgio Guglielmo perché gli succede il figlio ventenne Federico Guglielmo, noto più tardi come il Grande Elettore, ben più determinato del debole padre. Come prima cosa licenzia il primo ministro Schwarzenberg, cattolico e filo-asburgico, libera il suo territorio dalle bande di saccheggiatori e per colmare la misura dichiara che sulla base della pace di Praga non si può giungere ad alcun accordo, smentendo così clamorosamente l’Imperatore. Non pago di quanto realizzato, nel luglio 1641 firma una tregua con la Svezia indebolendo ancora di più Ferdinando III. Grazie al giovane e determinato Federico Guglielmo cresce l’opposizione all’Imperatore all’interno della Dieta che si chiude nell’ottobre 1641 con una sonora batosta per Vienna: Ferdinando non ottiene i finanziamenti per sopperire alla debolezza spagnola e non conserva il ruolo di guida all’interno dell’Impero. Certo i principi tedeschi desideravano la pace piuttosto che la guerra e di pace si parlava già dal 1635; nel 1638 Urbano VIII si era proposto, senza esito, come mediatore e dal 1638 al 1641 gli ambasciatori francese, svedese e imperiale si erano riuniti qualche volta per trovare una via d’uscita. Il 25 dicembre 1641 gli ambasciatori firmano un accordo preliminare nel quale si prevede di aprire due conferenze di pace, una a Münster, dove l’imperatore avrebbe negoziato con la Francia e i suoi alleati con la mediazione del Santo Padre e della Repubblica di Venezia, l’altra a Osnabrück, dove l’imperatore avrebbe trattato con la Svezia grazie alla mediazione danese. Luigi XIII sottoscrive l’accordo preliminare nel febbraio 1642, l’imperatore nel mese di luglio. In realtà il congresso inizierà i lavori soltanto nel 1644 e i diplomatici prendono tempo con tattiche dilatorie nella speranza di una vittoria militare che gli consenta di aver maggior peso in sede di trattativa futura. Nel 1641 Richelieu rinnova l’alleanza con la Svezia e, grazie alla debolezza spagnola, i suoi eserciti occupano l’Artois e il Rossiglione. Il 4 dicembre 1642 Richelieu muore con la consapevolezza di aver realizzato il suo disegno: la Francia controlla il Reno grazie a Breisach, il nord Italia grazie a Pinerolo e ha il possesso di Alsazia, Artois e Rossiglione. Tutto ciò sarà ratificato coi trattati del 1648 e del 1659. Prima di morire il Cardinale suggerisce a Luigi di nominare primo ministro il Cardinale Mazzarino, sua creatura. Un feroce critico di Richelieu, Mathieu De Morgues scrive in un epitaffio:<< L’Italia, la Spagna, la Germania, i Paesi Bassi, la Lorena, la Borgogna, ma soprattutto la Francia dureranno più di un secolo per riprendersi dalla rovina che il breve passaggio della sua fortuna ha causato>>. Un verdetto severo e ingiusto ma significativo; per imporre il suo disegno di Stato il Cardinale eliminò fisicamente qualsiasi oppositore, molti vennero giustiziati, altri esiliati o imprigionati. Alla sua morte la Francia, come la Spagna di Olivares, è un paese in rivolta, in miseria e dissanguato dagli esattori del Re. Profittatori e corrotti si erano arricchiti grazie alla guerra e alla condotta del Cardinale. La Fronda stessa sarà un’eredità del Cardinale: i nobili del sangue, troppo a lungo schiacciati da Richelieu, proveranno ad alzare la testa contro il potere centrale. In ogni caso la straordinaria vita del Cardinale è qualcosa che ha a che fare con la Storia, la grande Storia, dove il giudizio morale ha scarso peso e fallimento e successo perdono significato. Se Richelieu muore da vincitore il Conte-Duca Olivares è il grande sconfitto: Filippo IV, su pressione feroce degli oppositori di Olivares, lo licenzia il 17 gennaio 1643. Stanco e sconfitto si ritira in campagna. Meditando sul lungo leriodo di guerra che lo aveva visto contrapposto a Richelieu, in una lettera al suo segretario, scrive:<< Non è il caso di speculare, Senor Antonio Carnero, o di rivolger le cose nella mente, poiché questo è il mondo e così è sempre stato. E noi cerchiamo di compier miracoli e ridurre il mondo a ciò che non può essere, quando è evidente che l’unica cosa certa su di esso è la sua instabilità e incostanza e mancanza di gratitudine. Abbiamo completamente scordato Dio e riposto la nostra fede negli uomini e quanto più ci tormenteremo la mente su questo, tanto più cadremo preda della pazzia.>> Olivares muore a Toro il 22 luglio 1645. Luigi XIII aveva già raggiunto Richelieu il 14 maggio 1643. La Francia e l’Europa restano in mano al Cardinale Giulio Mazzarino che governa assieme alla reggente Anna d’Austria per conto di un bambino di cinque anni: Luigi XIV. La guerra continua.
Nicolò Scialfa
J.V.