PARTHENOPE

PARTHENOPE

Parthenope è un film del 2024 scritto e diretto da Paolo Sorrentino.

“vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni, e corre ancora sui poggi, erra sulla spiaggia, si affaccia al vulcano, si smarrisce nelle vallate” (Matilde Serao, Leggende napoletane)

Film sul tempo e sul dolore, sull’odio e amore per Napoli. Incesto e orrore, bellezza e dolore, sacro e profano si intrecciano continuamente. Sorrentino vuole stare a Napoli come Fellini stava a Roma e se “La grande bellezza” ricordava (in peggio) “La dolce vita”, “Parthenope” ricorda malamente “Amarcord”. Trovo stucchevole, ridondante e assai furbastro il cinema del sopravvalutato Sorrentino al quale riconosco abilità tecnica, intelligenza e maestria ma il suo prodotto finale non mi convince e non mi appassiona. Malgrado la perla rappresentata dalla presenza di Gary Oldmann nei panni dello scrittore alcolista e disincantato John Cheever, dialoghi spesso profondi e di pregevole fattura sui grandi temi dell’esistenza, il film mi appare come uno spot pubblicitario di alto livello a carattere ammiccante alla pornografia spacciata per bellezza ma in realtà amara e disgustosa. Davvero indigeribile la scena dell’accoppiamento tra i due rampolli dell’aristocrazia camorrista. Si rischia l’abbandono della sala cinematografica. Qualcuno ha parlato di miseria e nobiltà ma quanta distanza dal magnifico Totò…

E poi blasfemia allo stato puro nelle sequenze sul tesoro di San Gennaro, improbabili amplessi tra la bellissima Parthenope e l’orrido alto prelato Tesorone. Una macchietta il camorrista Criscuolo e infine la pazienza giunge al capolinea sulle sequenze a casa del professor Marotta. In chiusura i festeggiamenti per il terzo scudetto del Napoli ai quali assiste sorridendo la settantatreenne Parthenope tornata dall’esilio quarantennale in quel di Trento. Ora si sente di nuovo parte della città del suo padrino Achille Lauro e tenta di trovare la pace perduta dopo il suicidio del fratello Raimondo. E così termina lo spot pubblicitario di oltre due ore annaffiato da belle canzoni sul tempo che scorre e da dotte citazioni prese da Céline e altri scrittori e filosofi.

Anche questa volta mi pare, sicuramente per limiti miei, di aver assistito ad un esercizio infruttuoso, alla dissipazione di un talento sprecato. Come quasi sempre è avvenuto nella mia vita mi troverò seduto dalla parte del torto e certamente la mia incomprensione dell’opera deriva dalla profonda diffidenza verso chi le spara troppo grosse.

J.V.

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