Pascal
Blaise Pascal non va a scuola ma è un enfant prodige. Suo padre gli insegna le lingue e lo costringe ad uno studio severo. Al ragazzino interessano matematica e scienze naturali. Con un pezzetto di gesso riscopre la geometria euclidea nel chiuso della sua stanza. A sedici anni scrive un trattato sulle coniche ancora attuale. A diciannove inventa una macchina calcolatrice per aiutare il padre esattore. Studia il calcolo delle probabilità, pone le premesse del calcolo infinitesimale che poi verrà approfondito da Leibniz. Ma il suo interesse principale è la filosofia, l’uomo, le sue passioni. Poi giunge il misticismo.
“Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe.
Non dei filosofi e dei dotti.
Certezza. Certezza. Sentimento. Gioia. Pace.
Dio di Gesù Cristo.
Deum meum et Deum vestrum.
«Il tuo Dio sarà il mio Dio».
Oblio del mondo e di tutto, tranne Dio.
Non lo si trova che per le vie insegnate dal Vangelo. Grandezza dell’anima umana.
«Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto».
Gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia.
Io me ne sono separato;
Dereliquerunt me fontem aquae vivae.
Dio mio, mi abbandonerete?
Che io non ne sia separato in eterno.
«Questa è la vita eterna, ch’essi ti conoscano solo vero Dio, e Colui che tu hai mandato, Gesù Cristo».
Gesù Cristo.
Gesù Cristo.
Io me ne sono separato: l’ho fuggito, rinnegato, crocifisso. Ch’io non ne sia mai separato.
Non lo si conserva che per le vie insegnate dal Vangelo. Rinuncia totale e dolce.
Sottomissione totale a Gesù Cristo e al mio direttore. Eternamente in gioia per un giorno di prova sulla terra. Non obliviscar sermones tuos. Amen”
Questo il testo del biglietto cucito nella veste di Pascal e trovato al momento della sua morte, nel 1662. Ha trentanove anni. Gli ultimi anni di vita li trascorre in silenzio, dedicandosi ai poveri, digiunando e allontanandosi dal mondo materiale, al punto di rifiutare le cure mediche. Sofferente di gravi malattie per tutta la vita.
Affascinato dalla natura e dall’infinito, consapevole che l’uomo coglie soltanto fenomeni e non le essenze delle cose. Tutto si nasconde in un mistero impenetrabile. L’uomo oscilla tra i due abissi dell’infinito e del nulla. Duplicità dell’esistenza, contraddizione insanabile, una canna che pensa. Eppure l’uomo può pensare l’infinito, può comprendere la propria debolezza. Egli sa di dover morire e in questo consiste la sua grandezza. Dietro la vita quotidiana, la sua monotonia, la smania del divertimento, si nasconde la paura della solitudine “Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non saper restarsene tranquilli in una camera”. Dalla solitudine nasce l’angoscia. L’uomo vuole dimenticare la propria condizione, l’intollerabilità della propria esistenza. Noia, disperazione, impotenza, vuoto sono il pane quotidiano. Ineluttabilità della morte. Siamo esseri fragili che corrono verso il precipizio. Vogliamo verità ma viviamo nell’incertezza, siamo dotati di consapevolezza ma non valiamo più di un verme. È incomprensibile che Dio esista ed è incomprensibile che non esista. Siamo gloria e rifiuto dell’universo nello stesso tempo. Esistenza insensata giocata nell’alternativa tra Dio e Nulla. Ragione insufficiente per comprendere il Mistero. Solo Dio può aiutarci. Siamo caduti nel dolore e nella sofferenza e soltanto la Grazia può salvarci. Dio è muto, suo Figlio ci pone enigmi, non offre una spiegazione razionale. Il salto nella Fede è irrazionale ma necessario. Deus absconditus, fede come rischio, scommessa. La filosofia deve piegarsi alla fede, rinunciare a se stessa come esito estremo. Così dice lo scienziato migliore del suo tempo…
Cartesio usa Dio e poi lo mette da parte per affermare l’Io nella sua finitezza rendendolo infinito con tutte le conseguenze negative del caso. Pascal ritorna a Dio, un Dio infinito, imperscrutabile, misterioso, del cui disegno nulla sappiamo. Ad esso dobbiamo abbandonarci. Inutile cercare senso nel Mondo… è privo di senso. Siamo suonatori di flauto ciechi sull’orlo dell’abisso.
“Dio d’Abramo… “ La scelta è semplice: o Dio o Nulla.
J.V.