Personaggi de I promessi sposi. Don Abbondio
Personaggi de I promessi sposi. Don Abbondio
Meschino, codardo, gretto e avido, non sa cosa sia l’orgoglio, usa la sua scarsa cultura come arma contro la povera gente, ozioso, usuraio, incapace di migliorare neanche dopo l’epidemia,
“…proseguiva il suo cammino, guardando a terra e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano d’inciampo nel sentiero… egli, continuò a leggere tratti del suo salmo e si fermava… dopo alcuni tratti egli si fermava e lo leggeva… […] Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro.”
Così scrive Francesco De Sanctis “Come in don Rodrigo, così in don Abbondio il senso del bene e del male è oscurato, e il mondo è guardato giudicato attraverso di un’atmosfera viziata. Il demonio del potente don Rodrigo è l’orgoglio; il demonio del debole don Abbondio è la paura. La contraddizione fra il suo dovere e la sua paura genera una situazione di un comico tanto più vivace, quanto più egli cerca di dissimularla. E la dissimulazione non è già ipocrisia e doppiezza, che lo renderebbe odioso e spregevole, ma è un fenomeno ella medesima della paura”.
Manzoni è assai indulgente con lui e lo presenta quasi come una vittima. Leonardo Sciascia addirittura lo considera il personaggio più forte del romanzo “don Abbondio è forte, è il più forte di tutti, è colui che effettivamente vince, è colui per il quale veramente il “lieto fine” del romanzo è un “lieto fine”. Il suo sistema è un sistema di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da una posizione di forza, da una posizione di indipendenza, qual era quella di un prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono, inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L’uomo del Guicciardini, l’uomo del “particulare” contro cui tuonò il De Sanctis, perviene con don Abbondio alla sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi, in funzione della sua apoteosi, che Manzoni delinea – accorato, ansioso, ammonitore – un disperato ritratto delle cose d’Italia: l’Italia delle grida, l’Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l’Italia dei Ferrer italiani dal doppio linguaggio, l’Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano…”
Disprezzo Don Abbondio. È un pavido che minimizza il rischio. Sceglie la neutralità disarmata anche se consapevolmente sa di danneggiare altri. Non provo nessuna simpatia per lui come non la provo per tutti coloro che ho incontrato nella mia vita, e sono molti, con le stesse caratteristiche. Codardi e pusillanimi che non si assumono una responsabilità neanche di fronte alla più palese evidenza. Oggi i Don Abbondio “abbondano” e sono la massa grigia della banalità del male. Sono gli eroi del quieto vivere. Sono coloro che chiedono molto e non danno nulla. Sono gli egoisti che appoggiano sempre i potenti di turno, impermeabili a qualsiasi ideale, considerano gli altri alla loro stregua, provano risentimento per i coraggiosi e gli audaci. Don Abbondio è il vero blasfemo, fa i conti soltanto con la forza “non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza”. Certo è un tipo molto razionale, di una cinica e lucida razionalità. Indossa una corazza che niente e nessuno può scalfire. Non prova la minima compassione per l’umano dolore.
Cessata la peste Don Abbondio resta qual era.
Non illudetevi sarà così anche per i milioni di Don Abbondio dei nostri tempi.
J.V.