Plotino

Mortificazione del corpo. Avversione per la propria esistenza. Così ci narra Porfirio, il suo allievo, nella Vita di Plotino. Non prende medicine, trascura il cibo, dorme pochissimo. Si occupa di filosofia dai 28 anni grazie ad Ammonio detto “portasacco” perché lavorava come giardiniere. Insegna ad Alessandria e poi a Roma. Lezioni assai animate e turbolente, seguite persino da alcuni senatori e dallo stesso imperatore Gallieno e di sua moglie Cornelia Salonina.

Anche le donne possono infatti partecipare. Plotino non teme la morte e la considera liberazione dell’anima dal corpo con chiaro orientamento platonico.“Ora voglio tentare di ricongiungere il divino che è in me al divino che è nel tutto” sono le sue ultime parole. L’esistenza nel mondo è per lui esilio e maledizione. Le parole non possono esprimere il divino perché troppo legate al mondo. Il divino è “l’inesprimibile nella verità… il divino è altro rispetto a tutto ciò che da lui proviene”. Si avvicina a Dio per negazione. Viene negato tutto ciò che non è divino, il finito, la singola esistenza temporale. Nega la molteplicità e giunge al divino inteso come Uno infinito, illimitato, indivisibile, aspaziale, atemporale, senza movimento e senza quiete, privo di forma e di volontà. Plotino non definisce ma offre un’indicazione. L’Uno è innominabile e contiene al suo interno il molteplice. Tutto si origina dall’Uno e tutto ritorna a lui. Filosofia del circolo. L’uomo può cogliere l’Uno soltanto dimenticando la molteplicità. Soltanto così giunge al momento estatico, di ricongiungimento con l’Uno. Dilemma: il molteplice esiste o è illusorio? Differenze con gli gnostici e i filosofi cristiani in quanto l’Uno non esiste originariamente di per sé. Perché il divino non può restare in se stesso? Perché deve dispiegarsi nel mondo? Non è sufficiente una fondazione soggettiva. Se l’Uno non ha bisogno di nulla perché si dispiega nel mondo? I cristiani offrono come soluzione l’amore divino, fondamento della creazione. Per Plotino non è così perché persino l’amore è bisogno. Non resta che ammettere il mondo come proveniente dalla pienezza divina dove il divenire è una sorta di “processione” atemporale, eterna, paradossale. Essa si compie per ipostasi secondo un ordine di perfezione decrescente: Uno in quanto tale, contemplazione dell’Uno da parte dell’Uno stesso e generazione del Nous (Intelligenza) e del mondo in lui contenuto, cioè le Idee. Entrambi hanno perso la purezza dell’Uno a causa della molteplicità. Si crea un dualismo irriducibile. Nella discesa dello sguardo del Nous sorge l’anima del mondo che appartiene all’eterno ma volge lo sguardo verso il basso dando così origine al mondo delle cose nell’infinita molteplicita. Così si conclude la processione verso il basso. A causa della sua provenienza dall’anima del mondo, il sensibile è bello e perfetto a differenza di quanto sostengono i cristiani che disprezzano il mondo fenomenico. Purtroppo bellezza e perfezione vengono contaminate dalla materia, orizzonte ultimo della discesa, limite lontano dell’anima del mondo, oscurità che definisce il contorno della luce. Per immagini potremmo dire che Plotino paragona l’Uno al sole, l’Intelletto alla luce, e infine l’Anima alla luna, la cui luce è solo un «derivato conglomerato della luce del sole”.

Divinizzazione del mondo. E l’uomo? Qual è il suo posto in tutto ciò? L’anima quando cade, si mescola al corpo e dimentica la sua origine, è affaticata dal quotidiano, non ha memoria della sua origine divina. Ha però Nostalgia del Divino e viene spinta a liberarsi dalle catene del corpo, “a spogliarsi dell’abito che ha indossato durante la discesa”, a ripercorrere il cammino del ritorno, volgendosi dapprima a se stessa e infine al divino. Questa via ardua è la filosofia. Anche qui troviamo quattro momenti: separazione dal piacere della vita individuale e attenzione per le virtù della vita in comune quali coraggio, giustizia, temperanza, saggezza; abbandono del sensibile dato dalle passioni; ascesa al Nous dove prende forma l’esistenza teoretica che si appaga nella contemplazione delle idee; infine abbandono di ogni singola realtà è “accesso alla parte più recondita dell’anima” dove finalmente uomo e Dio sono un tutt’uno. Dobbiamo “per così dire chiudere gli occhi e destare in noi un altro volto” in modo semplice e “divenir silenziosi, fino a che esso appare”. Allora possiamo “vedere, insieme all’esterno che portiamo in noi, l’Eternità e l’Eterno”. Ecco l’istante dell’Estasi, la riunione a Dio, silenziosamente presente. L’estasi per Plotino non è il dono del Dio Cristiano, ma una possibilità naturale dell’anima, non volontaria, che sorge spontaneamente, fuori dalla portata temporale.

Un gigante del pensiero, ispiratore di teologi, mistici, metafisici cristiani, ebrei, pagani. Forti ascendenze parmenidee, eredità platonica, sintesi magistrale di uno e molteplice confluenti nella filosofia del circolo. Riporta all’unità il dualismo platonico. Influenzato dal pensiero stoico, lo supera e lo invera in un sistema perfetto. Studia Magi persiani, gimnosofisti indiani, saggi egiziani grazie al viaggio compiuto con l’esercito di Gordiano III che marcia verso la Persia. La spedizione è disastrosa. Con fatica ritorna ad Antiochia e a quarant’anni, attorno al 245, sotto il regno di Filippo l’arabo, si reca a Roma. Progetta di fondare una città di filosofi in Campania, Platonopoli ma non ottiene i fondi sufficienti dall’imperatore suo amico. Non scrive nulla sino al 253 perché considera la scrittura ingannevole. Poi compone le Enneadi, riordinate da Porfirio in quanto erano soltanto appunti per le lezioni.

La sua grandezza viene interamente scoperta da Hegel che lo saccheggia a piene mani.

Con Plotino si chiude il mondo antico. Il suo pensiero influenza tutta la filosofia successiva, dal medioevo di Tommaso al Rinascimento di Ficino, dagli idealisti a Schopenhauer, da Emerson e Leopardi sino a Carl Gustav Jung.

Plotino possiede l’umiltà dei giganti. Con lui occorrono Rispetto e Silenzio.

J.V.

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