Levi Primo
Levi Primo
“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no…“
(Primo Levi)
Testimone delle deportazioni naziste, sopravvissuto ai lager hitleriani. Torino, luglio ‘19, origine ebraica. Ada Maria sorella minore di due anni a cui sarà legatissimo. Cagionevole di salute, fragile e sensibile, infanzia contrassegnata da solitudine. Studi al liceo D’Azeglio, prestigiosa scuola ricca di eccellenti professori come Umberto Cosmo e Norberto Bobbio e altri antifascisti. Allievo brillante tanto nelle lettere quanto nelle scienze. Chimica è la sua passione. Laurea con lode nel ‘41. Un piccolo particolare macchia quell’attestato, la dicitura “Primo Levi, di razza ebraica”. Levi commenta: “[…]le leggi razziali furono provvidenziali per me, ma anche per gli altri: costituirono la dimostrazione per assurdo della stupidità del fascismo. Si era ormai dimenticato il volto criminale del fascismo (quello del delitto Matteotti per intenderci); rimaneva da vederne quello sciocco”. Partigiano sulle montagne sopra Aosta. Catturato dai fascisti e internato prima a Fossoli poi ad Auschwitz. Racconta l’indicibile nel romanzo-testimonianza, “Se questo è un uomo”, pubblicato nel 1947. Grande umanità e intelligenza, disposto a perdonare i suoi aguzzini. Non prova rancore nei confronti dei nazisti. Ciò che gli importa è rendere testimonianza diretta, per fornire un contributo al fine di impedire il ripetersi dell’orrore.
Liberato dai Russi il 27 gennaio ‘45, impiega mesi per tornare a casa. La cronaca del ritorno a casa è descritta nel ‘63 nel libro La tregua. Poi, nell’86, I Sommersi e i Salvati. Vincitore di prestigiosi premi letterari quali Strega e Campiello. Si interroga sulla zona grigia, così da lui definita “È ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un’ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori, e di farlo con mano più leggera, e con spirito meno torbido, di quanto non si sia fatto ad esempio in alcuni film. Solo una retorica schematica può sostenere che quello spazio sia vuoto: non lo è mai, è costellato di figure turpi o patetiche (a volte posseggono le due qualità ad un tempo), che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana”
Muore, probabilmente suicida, l’11 aprile 1987. Per tutta la vita si è sentito “colpevole” di essersi salvato.
J.V.