Quel che resta del giorno
Kazuo Ishiguro, Nobel per la Letteratura 2017 Kazuo Ishiguro, contattato dalla BBC, ha commentato dicendo che è «un magnifico onore, soprattutto perché significa che sto seguendo le orme dei più grandi scrittori di sempre. Il mondo sta attraversando un momento difficile e spero che tutti i premi Nobel siano una forza in qualche modo positiva per il tempo di adesso. Sarei profondamente commosso nel contribuire in qualche modo a un’atmosfera positiva, in tempi così incerti». Ishiguro è stato premiato “per avere rivelato l’abisso al di sotto del nostro senso illusorio di connessione col mondo, in romanzi di grande forza emotiva”. “Se si mettono insieme Jane Austen e Franz Kafka, ecco in nuce Kazuo Ishiguro, a cui però va aggiunto un po’ di Marcel Proust. Poi si mescola un po’ ma non troppo, ed ecco i suoi romanzi”, ha aggiunto Sara Danius, segretaria permanente dell’Accademia dei Nobel.
Kazuo Ishiguro è uno scrittore giapponese naturalizzato britannico, nato a Nagasaki l’8 novembre del 1954 e trasferitosi in Regno Unito con la famiglia a sei anni. Scrive in inglese ed è famoso soprattutto per Quel che resta del giorno del 1989, con cui vinse il Booker Prize e da cui nel 1993 venne tratto l’omonimo film di James Ivory, con Anthony Hopkins. Il romanzo è raccontato dal punto di vista del maggiordomo di una vecchia magione inglese durante la Seconda guerra mondiale, che si confronta con il significato della lealtà, dell’amore, dell’integrità e della tradizione. L’aspetto più significativo è il rapporto con la governante, Miss Kenton, più volte sul punto di diventare una storia sentimentale. Michiko Kakutani, la celebre critica letteraria del New York Times, lo definì «un romanzo intricato e abbacinante».
Colgo l’occasione per scrivere ancora due parole su “Quel che resta del giorno”, (The Remains of the Day) del 1989, terzo stupendo romanzo di Kazuo Ishiguro, scritto sotto forma di diario. L’io narrante è Mr. Stevens, un maggiordomo inglese, che per la gran parte della sua carriera ha lavorato a Darlington Hall, prima al servizio di Lord Darlington e poi dello statunitense Mr. Farraday. Sul finire dell’estate del 1956 Mr. Stevens, su proposta del suo datore di lavoro, intraprende un viaggio di una settimana nella campagna inglese. Egli giustifica con se stesso questa vacanza, adducendo la necessità di far visita a Miss Kenton, che negli anni Venti e Trenta era stata governante a Darlington Hall, per sondare la sua disponibilità a tornare a lavorarvi.
Mr. Stevens racconta vari episodi che si verificano durante il suo viaggio, ma soprattutto ricorda momenti della sua vita risalenti agli anni venti e trenta, ai tempi in cui era maggiordomo di Lord Darlington. Risaltano la dedizione per il suo lavoro e la profonda fedeltà verso Lord Darlington malgrado la simpatia di quest’ultimo verso i nazisti tedeschi.
In effetti in quegli anni alcuni membri della classe dirigente inglese nutrivano simpatie per la Germania nazista, vuoi per sottovalutazione del pericolo o per un frainteso senso dell’onore (non ripetere gli orrori della Grande guerra) per ingenuità politica o per interesse. Lo stesso sovrano Edoardo VIII venne toccato da sospetti prima di abdicare a favore del fratello Giorgio VI, padre di Elisabetta. Romanzo di rara bellezza dove microstoria e Storia si intrecciano, fedeltà e cinismo, amore represso e controllo dei sentimenti, tutto narrato con sapienza, intelligenza, pathos e autentica ricerca delle motivazioni del comportamento umano, spesso irrazionali e legate ad abitudine, convenzioni, repressioni. Lord Darlington appare più ingenuo che nazista ma le belve hanno usato anche quelli come lui per commettere i loro crimini abominevoli. Mr. Stevens non si occupa di politica, per lui Lord Darlington è “Sua Signoria” e tanto basta a sacrificare la propria esistenza per un uomo che egli considera superiore. Ben più realista e attento Mr. Farraday, americano e quindi vero vincitore delle guerre mondiali. Lucida la sua analisi politica del Novecento e la critica degli errori delle classi dirigenti europee. Un autentico capolavoro da cui è stato tratto il bellissimo omonimo film.
Quel che resta del giorno (The Remains of the Day) è un film del 1993 diretto da James Ivory, tratto dal romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro. Raffinato, sontuoso, recitato magistralmente. Tutti i temi del romanzo sono sviluppati con mano sapiente: rapporto servo-padrone, solitudine esistenziale, tempo perduto, nostalgia, etica del dovere, fallimento di una classe dirigente e ascesa degli uomini nuovi, amore perduto e rimpianto. Echi da Cechov e Losey, riflessioni su democrazia e totalitarismo, impossibilità esistenziale e scacco, fallimento malgrado l’impegno e la volontà, ipocrisia e conformismo, cinismo e realpolitik… insomma tutti i temidel romanzo trasposti sullo schermo. Operazione non semplice. Uno dei migliori film di Ivory.
Sull’incapacità comunicativa di Mr. Stevens, che a mio parere è il tema centrale e riguarda tutti noi, mi viene in mente un aforisma di Bergson “La comunicazione avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento di anima.” Spesso, quasi sempre, tutti noi ci comportiamo come Mr. Stevens… è un peccato…
Anthony Hopkins: James Stevens
Emma Thompson: Sally Kenton
James Fox: Lord Darlington
Christopher Reeve: Jack Lewis
Peter Vaughan: William Stevens
Hugh Grant: Cardinal, figlioccio di Lord Darlington
Michael Lonsdale: Giscard du pont d’Ivry
J.V.