Rivoluzione francese.Parte quarta

Rivoluzione francese. Quarta parte

Dopo la caduta di Robespierre la Pianura governa in solitudine. Ora la guida del Paese passa ai Termidoriani. Saranno poco amati dalla Storia perché incuneati tra gli “eroi” montagnardi e il grande generale. Un governo equivoco e corrotto che colpisce a destra e sinistra e quindi viene maltrattato da tutti gli storici. Eppure essi rappresentano i veri vincitori, sono l’essenza della borghesia al potere. Tallien, Barras, Sieyès, Carnot, Hoche e Bonaparte stesso sono uniti dal timore della restaurazione e dalla volontà di frenare gli eccessi rivoluzionari. Con loro tornano in voga il Piacere, il Lusso, la Festa. Si mette fine al moralismo puritano di Robespierre. Splendide donne come Madame Tallien, scampata per un pelo alla ghigliottina, passano da un amante all’altro in un orgia voluttuosa di ricerca della vita. Inizia il gran ballo della finanza. Ritornano gli emigrati, si moltiplicano i Grandet, i piccoli proprietari terrieri. La Francia moderna dell’uguaglianza e del talento prende forma, gli estremisti giacobini vengono ridotti al silenzio. Barras, grazie al giovane generale Bonaparte, massacra gli aristocratici il 13 vendemmiaio. Intanto imperversano la crisi finanziaria e la corruzione, gli speculatori si arricchiscono. L’ingenuo Babeuf viene tolto di mezzo da Carnot nel maggio 1796 mentre Hoche normalizza l’Ovest. L’esercito è legato alla Repubblica e questo rassicura il Direttorio anche se degli ottocentomila uomini dell’anno II ne restano soltanto la metà a causa di malattie e diserzioni. In queste condizioni Carnot nel 1796 prepara l’assalto contro l’Austria. I generali Jourdan e Moreau  attaccano la Germania mentre Bonaparte deve conquistare il Piemonte e invadere la Lombardia austriaca. La guerra tiene in vita il Direttorio e l’attivismo militare è una nuova forma di attivismo rivoluzionario. Bonaparte lo capisce chiaramente. Nella primavera del 1796 il piccolo corso a soli ventisette anni si mette a capo di un’armata di straccioni e così si presenta “Soldati, siete nudi, malnutriti. Il governo vi deve molto, e non può darvi niente. La vostra pazienza, il coraggio che mostrate in mezzo a queste rocce, sono ammirevoli, ma non vi procurano alcuna gloria; nessuna luce rifulge su di voi. Io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo. Ricche province, grandi città saranno in vostro potere. Vi troverete onore, gloria e ricchezze. Soldati d’Italia, mancherete dunque di coraggio e determinazione?”


In due settimane, grazie ad un incredibile carisma e ad un’intelligenza militare straordinaria, costringe i piemontesi all’armistizio. La sua strategia è semplice ed efficace: velocità, concentramento della forza sul punto debole dell’avversario, comando unificato nella sua persona. Alle indubbie doti militari Bonaparte aggiunge capacità politica, abilità diplomatica e sapiente uso della comunicazione. “Soldati, in quindici giorni avete riportato sei vittorie… ma non avete fatto nulla poiché avete ancora da fare… Ritornando al proprio paese, tutti vorranno dire: ero nell’armata che ha conquistato l’Italia”. Ora l’eroe che incanta Stendhal si getta contro gli austriaci rifiutando di dividere il comando come vorrebbe il Direttorio. Lo attende un nemico esperto: Beaulieau. Vince a Lodi, entra a Milano, tratta da pari coi Direttori, saccheggia l’Italia. I soldati lo adorano. Bonaparte è il padrone d’Italia e impone la sua politica a Parigi e Vienna. Il papa è letteralmente terrorizzato dagli eserciti napoleonici. Ora il generale assedia Mantova ma le operazioni sono complesse e le vittorie non decisive. A novembre il generale ungherese Alvinczy, a capo di cinquantamila uomini, minaccia i francesi ad Arcole. Le truppe sbandano, il morale è a terra e Bonaparte deve intervenire personalmente per risollevare i propri uomini. Anche in Germania i francesi arretrano di fronte all’arciduca Carlo. Carnot sta preparando una pace onorevole che prevede la cessione della Repubblica Cisalpina appena creata da Bonaparte. Ma il giovane generale batte Alvinczy a Rivoli nel gennaio ‘97 e Wurmser a Mantova il mese dopo. Parigi accetta il dettato del piccolo generale. A marzo, con un’armata rinforzata da nuove truppe, il generale punta su Vienna attraverso il Friuli e negozia personalmente a pochi chilometri da Schönbrunn. A Léoben di firma un armistizio. Il triumvirato francese formato da Barras, Rewbell e La Révellière, rinuncia alla riva sinistra del Reno in cambio del Belgio e del milanese mentre il Veneto viene ceduto a Vienna. La pace mette in rilievo le conquiste napoleoniche ed in questa logica si inserisce il trattato di Campoformio. Ormai il piccolo corso è l’arbitro della situazione. La fedifraga e terrorizzata Giuseppina lo raggiunge a Milano. Anche la rapace famiglia Bonaparte raggiunge il vincitore. Il generale appoggia i moderati e i notabili e dà alla nuova Repubblica cisalpina una costituzione ricalcata su quella dell’anno III, in modo che le nomine del Consiglio legislativo spettino a lui. Pensa già alla futura Francia e si tiene lontano dal Direttorio del quale prevede l’imminente caduta. Lascia che sia Hoche a compromettersi. Il 7 fruttidoro La Révellière succede a Carnot come presidente del Direttorio e tutto è pronto per il colpo di stato. Bonaparte fornisce a Carnot le prove del tradimento di Pichegru, nuovo presidente dei Cinquecento, e lo informa della vastità del complotto realista. La notte tra il 17 e il 18 fruttidoro (4/5 settembre) Parigi viene occupata militarmente, Augereau arresta Pichegru, Carnot fugge in Svizzera, un decreto dei triumviri instaura la pena di morte per coloro che vogliono il ritorno alla monarchia o alla costituzione del 1793. Come scrive Furet “Quello che i montagnardi avevano fatto sotto la pressione dei sanculotti, il 2 giugno del 1793, i termidoriani lo fanno con l’appoggio dell’esercito, il 18 fruttidoro del 1797.”


Ormai il Direttorio dovrà temere i suoi alleati militari più degli avversari politici. Bonaparte, troppo ingombrante, deve essere allontanato e così gli si affida il compito di sconfiggere l’Inghilterra. Il generale, affascinato dall’Oriente, vuole spezzare la potenza inglese nel suo punto nevralgico: l’Egitto. Bonaparte pensa già alla presa del potere e il suo calcolo si dimostra giusto perché mentre lui si copre di gloria il Direttorio si macera tra una politica neoterrorista contro realisti e giacobini ed una crisi politica irreversibile. Scatta l’ora di Sieyès che entra a far parte del Direttorio nella primavera del 1799 mettendo in moto il meccanismo che porterà al colpo di stato di brumaio. Il vecchio prete, protagonista degli inizi della rivoluzione, dopo anni di silenzio e sopravvivenza, ora si assume il compito di chiudere la Rivoluzione. Sta nascendo una Francia di nuovi notabili, senza monarchici e senza nobili. Il vecchio astuto ha bisogno di una spada e la troverà in Bonaparte di ritorno dalla campagna d’Egitto. Ciò che Sieyès non ha previsto è la popolarità dell’eroe ormai visto come il Salvatore della Repubblica francese. L’attore conosce bene la sua parte e la recita con maestria rifiutando di schierarsi e pretendendo il ruolo di un novello Enrico IV, il grande arbitro. Talleyrand cuce gli accordi tra il generale e il vecchio prete. Dei tre consoli Bonaparte è ormai l’uomo guida mentre il prete e Ducos sono soltanto comparse. Il 18 brumaio il destino di compie malgrado per una volta il generale perda il suo sangue freddo. Ma viene salvato dal vecchio prete e da suo fratello Luciano. Inoltre la ribellione giacobina in Consiglio gli offre il pretesto per giustificare il colpo di stato. Il re della rivoluzione sostituisce il vecchio re. I giochi sono fatti. Dopo anni di inaudite violenze cosa resta della Rivoluzione? L’uguaglianza sicuramente, almeno de jure. Il regime antico non tornerà più, il razzismo della nascita non esiste più, ogni cittadino può accedere ad ogni impiego e sarà il talento ad essere premiato. Non è poco. Si registra un ampliamento dei servizi dello Stato e degli uffici burocratici. Esercito e Ministeri sono ora il vero punto d’arrivo delle menti migliori di Francia. Bonaparte è un modello, un esempio da seguire ed ammirare al di là dei suoi effettivi pregi e difetti. Ogni soldato ha il bastone da maresciallo nel proprio zaino. Onore e gloria militare non sono più esclusivo appannaggio dei nobili. Il monopolio culturale dei nobili si trasforma in patrimonio nazionale. Il prezzo di tutto ciò è salato: conflitto continuo con l’Europa, guerra moderna integrale e senza quartiere, lutti, devastazioni e miseria. Alexis de Tocqueville è uno dei più acuti interpreti e capisce che l’uguaglianza è un mostro a due teste perché la Francia egualitaria è la prova dell’astuzia della storia: nella furia iconoclasta contro il passato, la Rivoluzione ha partorito un novello Cesare, erede dell’accentramento dei Capetingi. Alla sua spada il duro lavoro di portare i missionari armati in Europa in nome della Repubblica francese.

J.V.

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