Rivoluzione francese.Terza parte
Rivoluzione francese. Terza parte
La Legislativa, la Convenzione e il Terrore
Nei primi tre anni della rivoluzione l’Europa dei lumi ha visto di buon grado ciò che avveniva in Francia; Kant, Fichte e il giovane Hegel sono entusiasti e il 14 luglio del 1790 viene festeggiato in paesi diversi. Per contro i decreti del 4 agosto e l’arrivo dei primi emigrati favoriscono il gioco di quanti vogliono offrire solidarietà alla monarchia francese contro l’egualitarismo; crescono le paure della nobiltà europea parallelamente alla crescita della silenziosa speranza contadina. Tutti i governi sono spaventati dal pericolo del contagio rivoluzionario. L’Alsazia vuole aderire alla Federazione francese sganciandosi dai principi tedeschi, Avignone vuole liberarsi della tutela del pontefice ed essere considerata francese; dopo iniziali riluttanze l’Assemblea decide per l’annessione nel settembre del ’91 e questo equivale a dire che i popoli non appartengono più ai loro sovrani; un nuovo diritto internazionale viene definito: tutta l’Europa dinastica si sente minacciata. La stessa Europa dinastica aveva, sino a quel momento, approfittato della debolezza della monarchia francese; l’Inghilterra fruendo di vantaggi commerciali, l’Austria, la Prussia e la Russia manovrando liberamente in Polonia; la solidarietà era più sentita alle Tuileries che non a Vienna o a Berlino. Comunque nell’agosto del 1791 l’imperatore Leopoldo II firma con il re di Prussia la dichiarazione di Pillnitz sull’esigenza di ristabilire l’ordine in Francia, subordinando comunque ogni intervento ad un accordo tra sovrani; ciò che veniva detto per differire la guerra in realtà la affretta dal momento che, malgrado la Francia non sia tecnicamente pronta per questa drammatica evenienza, molte parti in gioco la vogliono: il re vagheggia una disfatta che gli appare, dopo Varennes, come l’ultima speranza di restaurazione; i patrioti vogliono una guerra “democratica” che cementi il sentimento nazionale e rafforzi il potere interno dei moderati. All’improvviso il sentimento nazionale diviene modello ideologico e trascina la rivoluzione oltre ogni convinzione dei patrioti ed ogni calcolo del re, arrivando a Robespierre e a Bonaparte. I deputati della Legislativa riunitasi il 1° di ottobre, sono tutti uomini nuovi dal momento che Robespierre ha fatto votare alla Costituente la non rieleggibilità dei suoi membri; essi, attaccati ai principi della rivoluzione e con pochissima fiducia nel re, dopo Varennes e Pillnitz, traspongono in termini internazionali, imitando il sovrano, le incertezze della Nazione. A novembre si votano leggi contro gli emigrati e i preti refrattari e la regina scrive a Fersen: <<Che imbecilli! non si accorgono che significa fare il nostro gioco>>. I foglianti, tranne Barnave, sono guerrafondai; La Fayette riceve il comando di un’armata e tutti sperano in una guerra breve e circoscritta che riporti ordine e stabilità. Come sempre i calcoli di coloro che pensano di poter decidere quanto far durare un conflitto armato, sono sbagliati: la guerra durerà, con qualche interruzione e con protagonisti diversi, un intero quarto di secolo. Nel salotto di Madame de Stael questi improvvisati guerrafondai tessono l’intrigo sino al punto di nominare l’amante della padrona di casa, Narbonne, ministro della Guerra; ad infiammare le tiepide masse popolari pensa la sinistra ed in particolare Brissot, eccellente propagandista ma poco calcolatore degli evidenti rischi che un conflitto europeo può comportare. Con infiammati discorsi spiega all’Assemblea Legislativa il suo piano: distruggere Coblenza, rifugio degli emigrati, costringere il re, grazie alla guerra rivoluzionaria, a prendere le decisioni che da lui ci si aspettano; la guerra sarà semplice perché le popolazioni straniere accoglieranno l’esercito francese come un vero e proprio liberatore. Per Brissot si tratta di una crociata per la libertà, ma si sa dove porta qualsiasi crociata, sia essa fatta in nome di Dio o della libertà! Attorno a questo brillante e sciagurato oratore si raccolcogono i deputati detti brissottini e chiamati poi dalla storia, sull’esempio di Lamartine, girondini, in omaggio agli inviati all’Assemblea dalla Gironda; i più famosi sono: Vergniaud, Gaudet, Gensonné; con loro la guerra viene ammantata di poesia. Soltanto un uomo si permette di sottolineare con voce tagliente i rischi della guerra: Robespierre. Chi vuole la guerra? egli chiede. Il re e La Fayette e loro stessi la condurranno; se si vuole evitare la dittatura militare, la rivoluzione deve prima annientare i nemici interni e, del resto, l’espansione militare è il modo peggiore di estendere le proprie conquiste: <<Nessuno ama i missionari armati>>. Robespierre per il momento è isolato ma neanche lui sa che la guerra gli aprirà la strada, quella guerra voluta dalla Gironda, egli la vincerà. A marzo i ministri foglianti rassegnano le dimissioni e il re li sotituisce con gli amici di Brissot: Dumouriez agli Esteri, Clavière alle Finanze, Roland agli Interni. Ormai la guerra è sicura anche perché a Vienna, a Leopoldo succede Francesco II, che non ha la sua prudenza; egli vuole agire subito ma la rivoluzione lo precede: il 20 aprile del 1792, con voto quasi unanime e su mozione del re, l’Assemblea vota la guerra all’Austria quasi all’unanimità. Intanto la situazione interna è assai agitata: l’assegnato è sceso al 60% del valore nominale, la rivolta degli schiavi di Santo Domingo ha fatto alzare i prezzi dei generi coloniali e i sanculotti -così chiamati perché disprezzano le braghe corte di seta dei ricchi, le culottes, e portano pantaloni lunghi – rivendica la regolamentazione dei prezzi; l’unità dei rivoluzionari rischia di spezzarsi. Le truppe al fronte si sbandano e i loro generali pensano più a Parigi che al nemico; La Fayette medita di marciare su Parigi. Il re, la regina e il “Comitato austriaco” che li consiglia alle Tuileries, vengono denunciati con inaudita violenza di intelligenza col nemico tanto che lo stesso Brissot ed i suoi amici si uniscono alla denuncia. Viene votato un altro decreto contro i preti refrattari e vengono richiamati 20.000 confederati per difendere la capitale; il re rifiuta di firmare i decreti, licenzia i ministri girondini e richiama i foglianti il 12 giugno. Otto giorni dopo, per forzargli la mano, il popolo invade le Tuileries e lo costringe a bere alla salute della Nazione dopo avergli fatto calzare in testa un berretto frigio e averlo tenuto in ostaggio per diverse ore; con un coraggio ottuso che può provenire soltanto da un carattere debole come il suo, Luigi rifiuta di togliere il veto. Quello che non riesce il 20 giugno, riuscirà il 10 agosto; nel mese di luglio, per celebrare l’anniversario della Bastiglia, la provincia, per la prima volta, si unisce alla capitale in un clima decisamente insurrezionale. Il 6 luglio intanto i prussiani erano entrati in guerra e l’11 l’Assemblea ha dichiarato la Patria in pericolo, mobilitando tutta la nazione contro i nemici esterni ed interni. Nel paese, mentre i Girondini vacillano a causa della loro politica contraddittoria tra difesa della guerra ed attacchi al comportamento del sovrano, cresce il movimento patriottico e rivoluzionario; il popolo ha sete di sangue e vuole la denuncia dei traditori da mandare al patibolo. La municipalità di Marsiglia è la prima ad invocare la repubblica, e i suoi battaglioni di volontari, che entrano a Parigi il 30 luglio, portano l’inno di Rouget de Lisle; le varie sezioni di Parigi vengono nascostamente organizzate da Robespierre che chiede l’elezione a suffragio universale di una nuova Assemblea Costituente, chiamata Convenzione in omaggio alla rivoluzione americana. Il 1° agosto a Parigi giunge la notizia del manifesto firmato cinque giorni prima dal duca di Brunswick; steso e reso pubblico su richiesta dello stesso Luigi XVI, il manifesto minaccia di sottoporre Parigi ad esecuzione militare se verrà fatto il minimo oltraggio alla famiglia reale. Di nuovo è la controrivoluzione a far scattare in avanti la rivoluzione, perché il popolo risponde con una violenta insurrezione. Nella notte tra il 9 ed il 10 agosto gli esponenti delle varie sezioni costituiscono all’Hotel de Ville una comune insurrezionale che si assicura il controllo della Guardia nazionale. La mattina del 10, due colonne armate attaccano le Tuileries assieme ai confederati di Marsiglia e di Brest. Il re si rifugia in seno all’Assemblea; sotto la pressione degli armati i deputati decidono di sospendere Luigi XVI e di rimpiazzarlo con un Comitato esecutivo provvisorio, in attesa dell’elezione, con suffragio universale, di una Convenzione nazionale. Il 10 agosto consacra una evoluzione rivoluzionaria già insita nella fuga di Varennes e accelerata dalla guerra: la sconfitta della monarchia fogliante, macchiata ora dalla diserzione di La Fayette e sconvolta da una nuova e massiccia ondata di emigrazioni. Luigi XVI è perduto, anche per colpe sue specifiche: egli non ha acconsentito a nulla di nuovo dopo il programma del 23 giugno 1789 e non ha avuto alcuna fiducia negli uomini moderati e legati in qualche misura alla tradizione; si è isolato con le sue stesse mani praticando la politica del peggio, rifiutando di accettare la costituzione liberale. Non ha voluto essere monarca costituzionale, sarà vittima da inviare alla signora della rivoluzione: la ghigliottina. Anche i borghesi moderati e i nobili moderati, che non hanno avuto il coraggio di cambiare dinastia, come gli inglesi del 1688, si sono condannati con le proprie mani; e sì che il nuovo re lo avrebbero avuto: quel duca d’Orléans che aveva amoreggiato con la rivoluzione sin dalla convocazione degli Stati Generali e che aveva dato incarico al fido De Laclos di organizzare la marcia delle donne su Versailles per far fuori l’unico vero uomo della corte nella persona di Maria Antonietta. Una cosa sola ormai è certa: la democrazia portata dal 10 agosto e il conseguente cambio dei gruppi direttivi della rivoluzione; i democratici hanno rispetto per la proprietà privata ma non disprezzano il popolo e non potrebbero fare altrimenti avendo lanciato la Francia nell’avventura militare europea e necessitando quindi del soccorso popolare. Il patriottismo rivoluzionario esige ogni sacrificio in nome della società egualitaria; resta da sapere quali concessioni i nuovi dirigenti sono pronti a fargli per mantenere l’alleanza del 10 agosto. I girondini ora sono liberi di governare senza il re ma devono scendere a patti con la Comune di Parigi controllata da Robespierre; di fatto quella di Robespierre a Parigi è già una larvata dittatura che anticipa i terribili giorni del Terrore. Luigi XVI viene rinchiuso nella prigione del Tempio, i semplici sospetti di simpatie monarchiche vengono arrestati in massa, L’Assemblea nomina un consiglio esecutivo di 6 membri nel quale, assieme ai vecchi ministri girondini, entra anche Danton, uno dei capi popolari; viene istituito un tribunale straordinario, autorizzata la requisizione del grano e istituito il divorzio. La provincia, dove permangono le municipalità foglianti, vede con ansia lo svolgersi degli avvenimenti parigini; nelle campagne i latifondi degli emigrati vengono messi in vendita a piccoli lotti in cambio di una rendita annuale: le conseguenze del 4 agosto 1789 consolidano l’alleanza rivoluzionaria tra campagne e città. Intanto le frontiere francesi alla metà di agosto sono oltrepassate a nord dagli austriaci e a est dai prussiani. Il 20 agosto il duca di Brunswick bombarda Longwy che si arrende il 23; il 2 settembre cade Verdun e il sostituto di La Fayette, Dumouriez, può opporre soltanto 30.000 uomini agli 80.000 di Brunswyck. Danton a Parigi dimostra di essere il vero capo dell’esecutivo; egli ha coscienza del pericolo e reagisce di conseguenza: avvocato famoso sin dal 1789, viene chiamato il Mirabeau del popolino dal momento che unisce grandi doti alle debolezze del piacere; il suo carattere forte è però intriso di scetticismo. Questo Mirabeau del 1792 sa cogliere il grande momento della sua vita: estraneo alle paure della Gironda e lontano dallo spirito della Comune, dà vita ai decreti di mobilitazione votati dall’Assemblea e con abile retorica nazionale rincuora decine di migliaia di soldati che partono per il fronte. La paura degli austro-prussiani fa scattare l’antico desiderio di liquidare gli aristocratici; il sadismo latente delle folle esplode il 2 settembre quando viene massacrata una colonna di detenuti che sta dirigendosi alla prigione dell’Abbaye e i massacri continuano, nel silenzio di Danton e dei girondini, sino al 6. Il sangue scandisce le accelerazioni della rivoluzione e gli anonimi crimini di settembre dimostrano anche agli spettatori più sprovveduti quale forza incontrollabile possa divenire arbitra dei problemi rivoluzionari. A metà settembre il duca di Brunswick si trova sulle Argonne. Viste le sue manovre, Dumouriez ripiega su Sainte-Menehould, dove viene raggiunto dall’armata di Kellermann; la strada per Parigi è aperta ma i prussiani non osano lasciare scoperta la retroguardia e così si arriva ad una battaglia a fronti rovesciati dal momento che i prussiani voltano le spalle a Parigi e i francesi sono schierati sulle alture di Valmy.
Il mattino del 20 settembre inizia il duello di artiglieria tra i due eserciti; dopo mezzogiorno la fanteria prussiana riceve l’ordine di marciare verso il nemico e i francesi, muniti del cannone Gribeauval, ereditato dall’ancien régime, raddoppiano l’intensità del fuoco e resistono. Brunswyck non insiste e i prussiani si ritirano; quello che sul piano militare è un semplice duello di artiglieria, in realtà rappresenta una grande vittoria psicologica e politica: a Valmy la nazione armata ha tenuto testa agli scherani del re. Nella stessa epica giornata di Valmy si riunisce la Convenzione: i suoi membri sono stati scelti in teoria col suffragio universale, nella pratica dalla minoranza rivoluzionaria della popolazione attraverso voto palese; anch’essa, come le altre due che l’hanno preceduta, è un’Assemblea essenzialmente borghese: circa quattrocento deputati hanno fatto parte di amministrazioni locali, circa cento della Costituente, circa duecento della Legislativa. Il suo centro viene chiamato Le marais ma, a causa dei tempi difficili, non può governare e la storia gli affida il compito dell’arbitrato o della continuità; i suoi uomini di spicco sono Sieyès, Barère e Cambon. A destra e a sinistra si svolge la vera lotta per il potere totale: la Gironda moderata non ha ancora esaurito il suo compito dopo il 10 agosto e quindi combatte aspramente contro la Montaigne di Robespierre e Marat. Contro la dittatura parigina della Montaigne, la Gironda, composta da uomini generosi ed indulgenti come Brissot o Vergniaud, preferisce il federalismo; mentre la sinistra robespierrista sceglie il fanatismo calmieratore dei sanculotti, la Gironda difende il liberalismo borghese. I girondini rischiano forte perchè la forza di trascinamento della rivoluzione, accelerata dal terrore giacobino, li trascina nel numero dei nemici della rivoluzione. Nelle prime settimane la Gironda rifiuta l’alleanza loro proposta da Danton, personalmente favorevole alla salvezza del re; è un colossale errore strategico: così comportandosi essa è ormai vittima del Terrore. Il processo a Luigi, mancando l’alleanza tra la destra e Danton, diviene inevitabile; il pretesto è dato dalla scoperta, alle Tuileries, di lettere confidenziali tra il re e Vienna. Dal 10 agosto, Luigi XVI è rinchiuso con sua sorella, Madame Elisabeth, sua moglie e i suoi figli nel torrione del Temple. Vergniaud chiede preventivamente che il giudizio della Convenzione sia sottoposto a referendum popolare, ma le Marais rifiuta di unirsi alla manovra; gli scrutini iniziano il 14 gennaio 1793. Colpevole all’unanimità, appello al popolo cassato. Girondini sconfitti su tutta la linea. Condanna alla pena capitale. Il cittadino Luigi Capeto muore coraggiosamente la mattina del 21 gennaio 1793. La ghigliottina taglia la testa del sovrano e taglia così i ponti col passato e col resto d’Europa. Danton stesso vota la morte per non restare isolato. I Girondini hanno voluto la guerra e ora vengono travolti dalla decapitazione del re. Gli eserciti francesi vincono a Jemappes e occupano il Belgio. La guerra deve continuare e i territori conquistati debbono essere annessi pena la caduta della Gironda.
Chiunque pronunci la parola pace viene sospettato di disfattismo. Ormai è guerra ideologica ed è una guerra che finirà soltanto con Waterloo. Il nemico da battere è l’Inghilterra. La Francia è isolata, gli Stati europei rompono i rapporti diplomatici con Parigi. Dumoriez passa al nemico, i territori conquistati sono perduti, il paese scivola verso l’anarchia. In Vandea scoppia la rivolta contro Parigi. I contadini vogliono il re, il prete, l’antico signore. Detestano la borghesia rivoluzionaria. La Montagna di avvicina si sanculotti per liquidare la Gironda, leggi eccezionali vengono varate tra marzo e maggio 1793: tribunale rivoluzionario contro i sospetti, corso forzoso dell’assegnato, maximum sul grano, leggi speciali contro gli emigrati, Comitato di salute pubblica composto da nove membri con poteri speciali. Inizia la guerra civile e Danton non può evitarla. Ventinove membri della Gironda vengono arrestati. I sanculotti armati di Picca, col berretto rosso e sono simbolo di virtù rivoluzionaria, scorrazzano per Parigi ed impongono l’uguaglianza della ghigliottina. La plebaglia si trasforma nel popolo sovrano. Gli estremisti imperversano con la loro invidia sociale, terrorizzano e commettono atroci nefandezze. Danton, stanco del sangue, tratta segretamente la pace con le potenze straniere. Il 10 luglio abbandona il Comitato di salute pubblica. I nuovi membri lavorano duro: Lindet agli Approvvigionamenti e Trasporti, Saint-Just e Carnot alla Guerra, Billaud e Collot d’Herbois al controllo dei rappresentanti in missione, Bon Saint-André e Prieur de la Marne alla Marina. Su tutti il freddo assassino Robespierre, un dittatore spietato che non esita a scatenare il Terrore. Ancora oggi idolo di frustrati e mentecatti invidiosi, nella realtà un piccolo avvocato di provincia gonfio di retorica e incapace di vivere, come il suo degno maestro, lo squilibrato Rousseau. Incorruttibile, virtuoso… sono sufficienti questi due tremendi termini per comprenderne la nefasta azione politica. Vuole instaurare la fratellanza egualitaria e vuole che tutti siano felici. Un mostro sanguinario. Sarebbe ridicolo se non mandasse alla ghigliottina migliaia di innocenti. Il suo sogno diventa un incubo. Intanto a causa dell’incapacità della Convenzione la guerra volge al peggio, i prezzi salgono, l’anarchia regna sovrana.
Il boia Marat viene assassinato da Charlotte Corday. Uno peggiore di lui, Hébert, vuole prenderne il posto. I girondini e Maria Antonietta vengono consegnati al grottesco tribunale rivoluzionario per vendicare la morte di Marat. Ormai è dittatura di guerra, in nome dell’onestà dilaga la corruzione, i vandeani vengono annegati nei fiumi vicino Nantes. Orrore senza fine. Il vanesio Duca d’Orléans, la Regina, madame Roland, Barnave e Bailly cadono sotto i colpi del terrore. Intanto la prima guerra ideologica della modernità trova i suoi eroi in Carnot e Jourdan, vincitori di Wattignies. Pichegru e Hoche liberano Strasburgo. Lione e Tolone vengono riconquistate dalla Rivoluzione mentre Kléber sconfigge i vandeani a Cholet il 17 ottobre 1793. A novembre ritorna Danton e invoca la fine del Terrore. La sua alleanza con Robespierre è però assai fragile. Lo scontro tra i due uomini è inevitabile e la tragedia imminente. Il primo a pagare è Camille Desmoulins, amico intimo di Robespierre, ora alleato di Danton. Un processo grottesco e ridicolo li manda entrambi alla ghigliottina. Robespierre, al massimo della follia, sa che tra poco toccherà anche a lui. Gli Dèi hanno sete. La Rivoluzione è congelata, la trattativa tra moderati ed estremisti è bloccata, resta soltanto il patibolo. Viene ucciso persino Andrea Chénier, vittima del delirio robespierrista.
Ormai completamente folle il dittatore scade nel ridicolo con il culto dell’Essere supremo. In compenso la primavera del 1794 vede i successi delle armate rivoluzionarie comandate da Jourdan e Pichegru. Terrore e Vittoria non coesistono e portano alla caduta di Robespierre. Tutti si coalizzano contro di lui stanchi del Terrore e del Ridicolo. Il 10 termidoro la carretta porta Maxim e i suoi epigoni Saint-Just e Couthon alla ghigliottina. Foutu maximum.
J.V.
Continua