The Irishman
The Irishman
Martin Scorsese, dal libro di Charles Brandt. Trio favoloso Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci. Harvey Keitel di rinforzo. Vita di Frank Sheeran, da lui stesso raccontata alla fine della vita, veterano della seconda guerra mondiale e poi killer della mafia. Quei bravi ragazzi, Casinò e tutta la visione americana di Scorsese del mondo di sopra e del mondo di sotto, condensati in 210 minuti. Nostalgia, fine di un’epoca, trasformazione continua della realtà. La storia degli Stati Uniti degli ultimi settant’anni raccontata in modo eccellente, senza fronzoli, dall’assassinio Kennedy alla scomparsa di Jimmy Hoffa. Complicità tra organizzazioni criminali, sindacati, politica. Momenti di cinema allo stato puro. Recitazione talmente rigorosa dei mostri sacri da apparire a tratti commovente, come se appartenesse ad un mondo perduto. Figli giudicanti, riflessione sulla condizione senile, scomode e terribili verità sulla famiglia Kennedy, frantumazione del sogno americano, triste meditazione sull’inesorabilità del tempo che passa. Tutto è destinato all’oblio. Elegia malinconica sontuosa. Film memorabile. Inutili polemiche su cosa sia cinema e cosa non lo sia, non mi appassionano e non mi vedono schierato per incapacità tecnica. Posso soltanto rilevare come il massimo risultato del cinema ”alla Scorsese” venga finanziato dalla moderna Netflix che in parte decreta la morte del cinema alla Scorsese… ma questa è un’altra storia.
J.V.