UN SAGGIO DEL FILOSOFO (EBREO E CATTOLICO) FABRICE HADJADJ

UN SAGGIO DEL FILOSOFO (EBREO E CATTOLICO) FABRICE HADJADJ

Antisemita, anticristiano, irascibile. Eppure vale la pena riconciliarsi con Céline

Non credo più nelle facilità. Ho imparato a far musica, sonno, perdono e, vedete, anche bella letteratura, con piccoli pezzi di orrore strappati al rumore che non finirà mai. Passiamo oltre” (L.-F. Céline, Guerra, p. 28).

Sono ebreo, cattolico, non esattamente di destra, e amo Céline – antisemita, anticristiano, tremendamente irascibile e paranoico quanto al pericolo giallo e a quello rosso. Potrebbe essere il mio punto debole, il vizietto di cui vergognarsi: c’è il “célinismo” come c’è l’onanismo… Tanto più che subisco il suo stile alla maniera di un incantesimo sensuale, una lusinga simile a quella che mi provocherebbe la nudità di una bella adultera. Come Hugo (nonostante il suo sentimentalismo repubblicano), come Proust (anche se attraverso Albertine non fa altro che traslitterare i suoi amori con l’autista), Céline è uno di quelli che non posso leggere senza esser catturato dalla sua musica, dal ritmo, dalla cadenza. Ancora un po’ e mi farebbe marciare al passo dell’oca, quell’imbroglione! (Sentite, subito lo imito!) Non è così che si ipnotizzavano le folle a Norimberga – suoni e luci, fuochi d’artificio, riflettori della difesa antiaerea puntati a terra per attirare le anime come maggiolini?

Per peggiorare il mio caso (bisogna sempre peggiorare il proprio caso) non mi limito a leggerlo di nascosto, lo metto in bella evidenza – nel mio Paradiso, in Resurrezione, istruzioni per l’uso e nel mio ultimo opuscolo Ancora un bambino? Nei miei testi Céline occupa un posto di rilievo, come se ne rivendicassi l’esegesi accanto alla Bibbia. L’altro giorno, al mio figlioccio, pensando di adempiere così ai miei doveri di padrino, leggevo ad alta voce À l’agité du bocal (tradotto in italiano col titolo All’agitato in provetta), il suo pamphlet contro Sartre, e, credetemi, giubilavo.

Si noti del resto che non cerco di difenderlo. Niente abluzione per la collaborazione né battesimi frettolosi. Ha sostenuto l’“alleanza con Hitler”, si è dato alla meschina delazione, certo, per pacifismo, dopo la sua terribile esperienza nella grande guerra che gli ha messo come un treno a sferragliare in circolo nel cervello. Questo non lo giustifica. E nemmeno la genialità del suo stile. Ma è facile giudicare al tribunale del senno di poi. Che cosa sarei stato io in quel periodo malvagio? Conosco il mio peccato. Non la virtù, ma il fatto di essere ebreo mi avrebbe impedito di seguire la Francisque del maresciallo Pétain. Pur se avessi voluto con tutto il cuore fregiarmi della svastica mi avrebbero costretto a indossare la stella gialla. Dannazione! Dio riconoscerà i suoi.

Per fedeltà al magistero della Chiesa, dovrei forse ammettere nel mio pantheon letterario solo gli scrittori, spesso mediocri, muniti di un doppio certificato timbrato di battesimo e di buona condotta? Sarebbe un atto di fondamentalismo. Ci sarebbe solo il Vangelo da leggere, prendersi le sue encicliche e le sue sberle, e poi basta, in convento! Dal momento che il certificato di battesimo non è sufficiente a fare un artista e che richiederlo basterebbe a bloccarmi completamente, accetto anche i certificati di crapula.

Così facendo, credo di comportarmi da cristiano. Perché non si tratta di un piacere privato. Amo Céline come cattolico e perfino come ebreo. Gli Ebrei non sono forse usciti dall’Egitto portando via l’oro degli Egiziani? E il profeta non annunzia anche la salvezza di quell’Egitto idolatra: “Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà” (Is 19,22)? E san Paolo nella più antica delle sue lettere? “Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che è buono” (1Ts 5,21). Questa è la regola: preferire il diamante nel fango alla paccottiglia nell’ovatta.

Alla fine, io metto in pratica la più stretta cattolicità – kata holos, in greco – quando “attraverso tutto” mi sforzo di cercare la perla, di discernere il buon grano tra la zizzania, sapendo che la separazione dei due non si farà che alla mietitura degli angeli. In breve, partecipo al raduno delle pecore perdute, le uniche che esistono, avendo perso me stesso e rischiando ancora di perdermi nella loro ricerca. Alla ricerca del cattivo Céline piuttosto che di Salveregine.
(DI FABRICE HADJADJ)

Fabrice Hadjadj nasce a Nanterre nel 1971 da genitori di origine ebraica tunisina, maoisti, attivisti rivoluzionari. In gioventù Hadjadj è stato ateo e anarchico. Si converte al cattolicesimo nel 1998 di fronte ad una statua della Vergine Maria, nell’église Saint-Séverin. Nel 2006 vince il Grand Prix catholique de littérature con Réussir sa mort: Anti-méthode pour vivre. Un saggio sulla Morte nell’era tecnologica: “Ci tocca scegliere tra una liquidazione tecnica e una vita offerta. Non c’è alternativa: darsi la morte o donare la vita per ciò che ne vale la pena”.
Insegna filosofia a Tolone e dirige l’istituto europeo di studi Philanthropos di Friburgo, in Svizzera, fondato anni fa con lo scopo di studiare e far conoscere l’antropologia cristiana.
Sposato dal 1998 con l’attrice Siffreine Michel, è padre di nove figli, cinque femmine e quattro maschi.
Si occupa della famiglia, pensa, riflette in modo serio. Si chiede cos’è una famiglia? Dalla risposta che daremo a questa domanda dipende il futuro dell’umano e dell’umanità. Ecco il senso di “Qu’est-ce qu’une famille? Suivi de ‘La Transcendance en culottes’ et autres propos ultra-sexistes”. Spiegare che l’uomo discende da una scimmia è diventato più facile “che spiegare che un bambino discende da un uomo e da una donna”, perché nel primo caso la tesi reclama delle lunghe e laboriose argomentazioni, mentre nel secondo non c’è niente da capire e niente da rivelare, ma un dato iniziale di cui prendere atto, come quello dell’esistenza del mondo esterno. Per questo, rispondere alla domanda “che cos’è una famiglia” diventa, ammesso che non lo sia sempre stata, “la questione filosofica per eccellenza”, in quanto ricerca dell’essenza della realtà. Siamo passati dall’avvenimento della nascita come conseguenza dell’incontro amoroso tra un uomo e una donna, come portato “logico e genealogico” della differenza sessuale, a un’impostazione di tipo aziendal-tecnologico di “produzione del figlio”. La famiglia è un fondamento che “si situa al principio delle nostre vite concrete” al punto che “diventa impossibile giustificarla o spiegarla, perché bisognerebbe ricorrere a un principio anteriore, e allora la famiglia non sarebbe che una realtà secondaria e derivata, e non più una matrice”. L’essenza della famiglia sfugge ad ogni descrizione perché rinvia a ciò che non può essere “fabbricato”, che non può nemmeno essere “scelto”, e che “sfugge alla premeditazione come all’ideologia”. Decostruire la famiglia come vorrebbe chi parla di forme intercambiabili significa distruggerla… “stiamo assistendo da qualche decennio, da parte degli stessi che volevano sbarazzarsi della famiglia, a uno strano ritorno del rimosso famigliare”. Molti che la denunciavano come luogo di tutte le oppressioni e nefandezze “ora vogliono fare dei figli il prodotto di una manipolazione genetica (poiché l’égalité reclama che due uomini o due donne possano averli con i loro gameti); il che va ben al di là dell’oppressione e della repressione”, perché si traduce in fabbricazione pura e semplice. Una logica di fabbrica, senza mistero, senza dono. Si realizza l’eccellenza dell’ orfanotrofio invece di una famiglia. Siamo assai vicini all’incubo del “Mondo Nuovo” di Aldous Huxley, dove “non basta far l’amore per essere ‘abilitati’ ad avere un figlio”, ed eccoci in un attimo al “regno delle incubatrici e dei pedagoghi, e alla svalutazione dei veri genitori. Il padre è rimpiazzato dall’esperto, la famiglia dalla firma professionale”. E’ la “famiglia già defamiliarizzata”, perché sempre più spesso sentiamo dire che “un padre e una madre possono essere meno amorevoli, meno competenti e meno rispettosi di due uomini o due donne, e certamente meno efficaci di un’organizzazione composta dai migliori specialisti. Questa organizzazione potrà passare per la migliore delle famiglie, che si identificherà con il miglior orfanotrofio”. Sostituzione del sesso con la tecnica. “Il principio della famiglia è troppo umile, troppo elementare, in apparenza troppo animale, e dunque vergognoso… Avete capito, il principio della famiglia è nel sesso. Anche quando si tratta di una famiglia adottiva, o di una famiglia spirituale, dove il padre è un Padre abate, e i fratelli sono monaci, le pure e alte denominazioni che si usano vengono all’inizio dalla sessualità… e si enunciano a partire da quel fondamento sensibile che è la nostra fecondità carnale. E’ perché un uomo ha conosciuto una donna e dal loro abbraccio, per sovrappiù, sono stati generati dei figli, che esiste il nome di padre, di madre, di figlio, di figlia, di sorelle e di fratelli”. La famiglia naturale può anche essere il luogo dove “tutto va male”, ma il surrogato tecnologico è l’anticamenra del totalitarismo.

Che cosa è, allora, una famiglia? Hadjadj scrive che è “il fondamento carnale dell’apertura alla trascendenza. La differenza sessuale, la differenza generazionale e la differenza di queste due differenze ci insegnano a volgerci verso l’altro. E’ il luogo del dono e dell’accoglienza incalcolabile di una vita che si sviluppa con noi ma anche malgrado noi, e che ci spinge sempre più avanti nel mistero dell’esistenza”. Non deve essere un orfanotrofio eccellente o un club di incontri tra affini né tantomeno una fabbrica di androidi. La famiglia è “l’avventura della nostra umanità e l’esercizio della nostra carità”. Primo luogo di esistenza e quindi “di resistenza: all’ideologia, al conformismo, alla programmazione”. Essa è fondata sulla carnalità e sulla differenza sessuale. È istituzione anarchica per eccellenza, come spiegava Chesterton, perché si tratta “di un’istituzione senza istitutori, fondata nelle nostre mutande, nel nostro desiderio, in un congiungimento anteriore a ogni contratto, in uno slancio naturale che precede le nostre prospettive e che le oltrepassa: la famiglia è anarchica anche per gli stessi genitori. Il figlio che nasce dalla loro unione non è né il risultato del loro calcolo né la realizzazione dei loro sogni, ma un dono oscuro che li attraversa e li trascende”. Un figlio slegato dall’unione sessuale e dal mistero della differenza, viene ridotto a oggetto fabbricabile. Su questa strada avremo un’umanità sempre meno libera, manipolata e manipolabile. Il contrario della libertà.
Un pensatore controcorrente ma assai interessante, tanto nella paradossale difesa di Céline quanto della famiglia. Un pensatore che leggo con interesse perché critico nei confronti delle aberrazioni della Techne contemporanea.

J.V.

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