UNITÀ D’ITALIA
UNITÀ D’ITALIA
Nel biennio 1859/60 si realizza lo Stato nazionale italiano monarchico ed elitista. Seconda guerra d’indipendenza (24 aprile – 11 luglio 1859) con annessione della Lombardia e cessione di Nizza e Savoia all’impero francese. Poi insurrezioni tra aprile giugno 1859 con pleibisciti di annessioni al Regno di Sardegna. Infine la spedizione militare in Sicilia guidata da Giuseppe Garibaldi, partita da Genova il 5-6 maggio 1860. Garibaldi sconfigge i borbonici in Sicilia e poi in quasi tutto il Mezzogiorno continentale. Altri pleibisciti di annessione il 21 ottobre 1860 e cinque giorni dopo a Teano il generale cede formalmente la sovranità sull’intero Mezzogiorno a Vittorio Emanuele II. Attori assai diversi tra loro. Il re e Cavour rappresentano l’unico Stato che possiede un parlamento bicamerale con una Camera elettiva, e delle istituzioni locali (comuni e province) egualmente elettive (anche se possono votare solo i maschi, adulti, alfabetizzati e molto ricchi, pari al 2 percento circa sul totale della popolazione). Cavour, capo del governo del Regno di Sardegna è un abile tessitore di reti diplomatiche ed impone ad un ostile parlamento la partecipazione alla guerra di Crimea a fianco di Gran Bretagna e Francia contro la Russia (1854-1855). Con questo intervento Cavour riesce ad allearsi con Napoleone III (accordi di Plombières) e pone le basi per la vittoriosa guerra contro l’Austria. Esiste comunque un terreno favorevole che vede la partecipazione di ventiquattromila volontari che combattono in sanguinose battaglie come Solferino e San Martino. Importante il peso dell’impresa dei Mille. L’esercito garibaldino arriva a raggiungere circa cinquantamila effettivi.
L’azione militare di Garibaldi, condotta senza il consenso ufficiale del Regno di Sardegna, è comunque compiuta sotto lo slogan “Italia e Vittorio Emanuele” e questo significa che anche l’obiettivo garibaldino è l’unificazione della penisola nella cornice delle istituzioni monarchico-costituzionali. Sulle vicende meridionali esistono infiniti studi ma credo che Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa offra una chiave magistrale di lettura. In realtà il nuovo Stato non esprime una nuova Costituzione ma eredita lo Statuto Albertino e il re continua a chiamarsi Vittorio Emanuele II e non I, come sarebbe ovvio. La capitale resta a Torino e la legislatura parlamentare che si apre il 18 febbraio 1861 è l’VIII e non la I.
In questo modo si vuole negare o almeno ridurre il peso delle forze democratiche. I soldati garibaldini verranno in larga parte sorvegliati dalla polizia perché sospettati come ferventi repubblicani e democratici. Tutte le donne e molti maschi adulti sono esclusi dalla vita politica dal momento che ha diritto di voto soltanto il due per cento della popolazione. Iniziano subito le divisioni tra conservatori e progressisti. I primi sono i vincitori e occorre ricordare i continui fallimenti della componente mazziniana che negli anni Cinquanta hanno indotto numerosi ex repubblicani ad avvicinarsi a Cavour e al Regno di Sardegna. Le fratture si acuiscono e il deluso Garibaldi tenta un completamento dell’unificazione con l’annessione di Roma e, se possibile, del Veneto per due volte, nel 1862 e nel 1867. La prima volta i garibaldini vengono fermati sull’Aspromonte e la seconda vengono sconfitti dal corpo di spedizione francese posto a difesa di ciò che resta dello Stato pontificio. Dal canto suo Giuseppe Mazzini rifiuta di riconoscere legittimità alle istituzioni del nuovo Stato. Non meno dura è l’opposizione di Papa Pio IX ormai lontano dalle posizioni del 1848 e indignato dalla sottrazione dei territori dello Stato Pontificio. I rapporti tra Regno d’Italia e Stato Pontificio peggiorano ulteriormente nel corso del tempo e i cattolici italiani sono confusi e divisi tra la fedeltà al Pontefice e la legge del nuovo Stato. I più duri e ostili verranno chiamati “cattolici intransigenti”. Ulteriore gravissima questione è il brigantaggio dell’Italia meridionale, movimento non soltanto delinquenziale ma anche opposizione al nuovo ordine politico. Nelle bande confluiscono molti ex militari borbonici, i delusi dagli scarsi risultati sociali dell’impresa garibaldina e coloro che nutrono risentimenti nei confronti dei proprietari terrieri. L’applicazione della coscrizione obbligatoria al Mezzogiorno contribuisce ad esasperare la situazione. Anche in questo caso ci aiuta la letteratura perché credo che I Malavoglia di Verga sia utilissimo per la comprensione della questione meridionale. Ancora oggi il Mezzogiorno italiano vive con diffidenza il rapporto con lo Stato. Forse pleonastico aggiungere che le modalità di unificazione sono ancora oggetto di aspra discussione tra gli storici. Personalmente ritengo insostituibile e magistrale il lavoro di Rosario Romeo mentre trovo debole la posizione gramsciana.
J.V.