Welles
Welles
 
“Ho avuto più fortuna di chiunque altro. Certo, sono anche stato scalognato più di chiunque altro, nella storia del cinema, ma ciò è nell’ordine delle cose. Dovevo pagare il fatto d’aver avuto, sempre nella storia del cinema, la più grande fortuna…“
 
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George Orson Welles, uno dei registi più intelligenti e creativi della storia del cinema. Alcuni, forse non a torto, lo considerano il numero uno. Nasce da facoltosa e illuminata famiglia del Wisconsin nel 1916. Talento precoce, appassionato di musica e teatro, ben guidato da un ottimo maestro come Roger Hill. Giovanissimo va in Irlanda e, raccontando un mucchio di balle, riesce a farsi assegnare una parte al Gate Theatre di Dublino. Nel 1933 lo troviamo a Londra ma qui le balle funzionano meno e quindi rientra negli States e si butta con profitto su Shakespeare. A diciannove anni sposa l’ereditiera Virginia Nicolson. Gira il suo primo cortometraggio, “The Hearts of Age”, film muto in 16 mm, dove si ispira a Bunuel, Von Stroheim e al surrealismo francese. Poi il debutto a Broadway in “Giulietta e Romeo” e il lavoro alla radio. Ambienta il Macbeth ad Haiti e lo chiama “Voodoo Macbeth”. Dopo due mesi di repliche all’Adelphi Theatre di Broadway, il ventunenne Orson diviene il più acclamato regista teatrale di New York. Il Governo inizia a sorvegliarlo e tenta di bloccare i suoi spettacoli considerati eversivi e di stampo comunista. Il Times stampa il suo volto sulla copertina. Poi la memorabile trasmissione radiofonica del 30 ottobre 1938, adattamento della “Guerra dei mondi” di Herbert George Wells. Molti radioascoltatori credono che la Terra stia subendo l’invasione da parte di una bellicosa flotta di astronavi marziane. Stati Uniti nel caos. Enorme ritorno pubblicitario per Welles. La RKO lo mette sotto contratto. “Per quello che abbiamo fatto sarei dovuto finire in galera, ma al contrario, sono finito a Hollywood” dirà lo stesso Welles. Cresce l’invidia per il giovane talento. Il progetto di realizzare “Cuore di tenebra” fallisce (ci riuscirà mezzo secolo dopo Coppola con Apocalypse Now). Fallisce anche il secondo, un film poliziesco. Riesce clamorosamente il terzo: “Quarto potere“.
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“Lei si preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla, io sono un’autorità su come far pensare la gente. Ci sono i giornali per esempio, io sono proprietario di molti giornali…” Siamo nel 1941 e Welles ha soltanto venticinque anni. Ispirato alla biografia di William Randolph Hearst, magnate dell’editoria. A mio parere uno dei migliori film in assoluto. Xanadu, frammenti di vita del magnate in  un immenso puzzle. Allontanamento dai genitori, erede di una colossale fortuna, privo però del mondo incantato dell’infanzia. Rosabella unica parola in punto di morte tenendo in mano una palla di vetro… “È morto senza credere a niente: dev’essere stata una cosa spiacevole“.
Jerry Thompson alla scoperta di un significato. Insegue mogli, banchieri, slittini. Kane editore e manipolatore dell’opinione pubblica, matrimoni e scandali. Giallo metafisico secondo Borges, sguardi diversi sullo stesso personaggio, struttura narrativa ad incastro, distruzione dell’illusione di realtà del cinema classico. Ambiguità del sogno americano “Forse Rosabella fu qualcosa che lui perse… In tutta la tua vita non hai mai fatto un investimento, hai adoperato il denaro solo per comprare la roba!”. Metafora dell’America e della sua caduta, dalla condizione di giovane nazione al surplus di risorse accumulate con la conseguente esplosione della crisi del ‘29. Dalla vecchia alla nuova slitta Rosabella. Morte simbolica del cinema classico grazie al primo film senza un protagonista presente, senza un lieto fine, senza un senso palese e con lo spettatore che brancola nel buio. Potenza assoluta della finzione cinematografica come finzione magica e non veicolo di storie illusoriamente reali. Cinema delle origini sconvolto dalla rivoluzione di Welles che rielabora meccanica, ottica e luce. Fusione di cinema e teatro in chiave espressionista alla Fritz Lang, gioco sapiente di luce e ombra. Profondità di campo e piano sequenza, fotografia di altissimo livello del gigante Gregg Toland, tecnica dell’angolo olandese. Come i veri rivoluzionari si appoggia ai grandi del passato da Griffith a von Stroheim e Ford (durante la lavorazione del film Welles riguarda trenta volte Ombre rosse). 
Scarso successo di pubblico, critica entusiasta ma timorosa, Hollywood gli riconosce un solo Oscar alla sceneggiatura malgrado le nove nomination, boicottaggio mediatico della stampa controllata da William Hearst. in Europa il film viene proiettato nel dopoguerra. Famosa la stroncatura di Jean-Paul Sartre che, non comprendendolo, lo trova ridondante e barocco. Fortunatamente in seguito verrà valutato da molti registi e critici come il film più bello di sempre. 
“Appartengo a una generazione di cineasti che hanno deciso di fare film avendo visto Quarto potere.” (François Truffaut)
Trionfo del cinema per il cinema.
“Lo sa, signor Bernstein? Se non fossi stato molto ricco, forse sarei potuto diventare un grand’uomo.”
François Truffaut lo definisce il film dei film. 
Da molti viene considerato il più bel film della Storia del Cinema. 
Poi gira ”L’orgoglio degli Amberson”. Dirà sempre Truffaut “Questo film fu realizzato in evidente antitesi a Quarto potere, come se fosse l’opera d’un altro regista, che, detestando il primo, volesse dargli una lezione di modestia”. Sobrio e tradizionale, racconta la saga degli Amberson, famiglia alto-borghese di Indianapolis. Tratto 
dall’omonimo romanzo di Booth Tarkington, vincitore del premio Pulitzer. Abilità registica senza precedenti, continui piani sequenza, uso magistrale della fotografia. Iniziano però le tensioni tra il talentuoso ed eccentrico regista e i produttori. Tensioni che dureranno tutta la vita. 
Il governo americano e Rockefeller, intenzionati a far schierare il Brasile populista a fianco degli Stati Uniti, assegnano a Welles il compito di girare un film sull’aspetto più significativo e più facilmente vendibile del folklore brasiliano, il carnevale, anche allo scopo di sviluppare il turismo statunitense nel paese. I sentimenti filocomunisti del regista e il senso di colpa a causa della morte di un attore mentre gira “It’s all True” fanno naufragare i progetti iniziali. Welles si allontana dal cinema, anche a causa dell’ostracismo di alcuni grandi produttori, e si dedica alla radio e alla stesura dei discorsi del Presidente Roosevelt.
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Separato dalla prima moglie, sposa nel 1943 la diva Rita Hayworth, forse il maggior sex-simbol del dopoguerra. Torna al cinema grazie a David O. Selznick. Realizza ancora tre film a Hollywood, tra cui “La signora di Shangai” ma nel 1948, rovinato finanziariamente, si trasferisce in Europa. “Hollywood è un quartiere dorato adatto ai giocatori di golf, ai giardinieri, a vari tipi di uomini mediocri ed ai cinematografi soddisfatti. Io non sono nulla di tutto ciò“. Per necessità interpreta film in costume di serie B fino a quando non ottiene il ruolo più significativo della sua carriera e col quale viene identificato ancora oggi: il bieco Harry Lime ne “Il terzo uomo (The Third Man” del 1949, diretto da Carol Reed e sceneggiato dal grandissimo Graham Greene, che dal film trarrà successivamente un romanzo di successo. “Odiavo Harry Lime. Non aveva passioni, era freddo: era Lucifero, l’angelo caduto” dirà Welles. Vienna del dopoguerra, livida e grigia. Harry Lime è un ignobile trafficante di penicillina adulterata. Successo clamoroso di Welles malgrado compaia in poche scene.
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Per tre anni lavora a “Otello” in mezzo ad enormi difficoltà finanziarie che lo costringono ad interpretare parti minori in film non eccelsi. Comunque “Otello” è un’opera sontuosa, vincitrice della Palma d’oro.
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Poi nel 1955 gira “Rapporto confidenziale”, storia di Mr. Gregory Arkadin, potente arricchito, geloso e violento custode dei propri loschi segreti. Un appesantito ed imponente Welles interpreta Arkadin mentre Raina, la figlia, è la contessina Paola Mori, futura terza moglie del regista. Ritorna a Hollywood nel ‘57 ed interpreta magistralmente ruoli di cattivo in “La lunga estate calda“ e soprattutto ne “L’infernale Quinlan“, da lui diretto, che può essere considerato la sintesi di molti cattivi della carriera di Welles, dal momento che possiede l’energia di Kane, il sarcasmo di Rochester, l’amoralità di Macbeth e la volgarità di Varner. Magistrale l’incipit del film, vero e proprio argomento di studio per ogni regista. Al rientro in Europa, negli anni sessanta è sempre alla ricerca di fondi per i suoi progetti, partecipa a film di scadente livello con palese disgusto recitativo. Finalmente riesce a portare sullo schermo il personaggio shakespeariano che ama di più: Falstaff, grasso cialtrone sentimentale e vulnerabile, triste per il comportamento del suo compagno di goliardia, il principe Half, ora Re Enrico V, che lo disconosce. “Più studiavo la parte, meno mi sembrava allegra. Questo problema mi ha preoccupato per tutto il tempo delle riprese… Non mi piacciono molto le scene in cui sono soltanto divertente. Mi sembra che Falstaff sia più un uomo di spirito che un pagliaccio… È il personaggio cui credo di più, è l’uomo più buono di tutto il dramma. Le sue colpe sono colpe da poco, e lui se ne fa beffe. È buono come il pane, come il vino. Per questo ho trascurato un po’ il lato comico del personaggio: ogni volta che l’ho interpretato mi sono persuaso sempre di più del fatto che rappresenta la bontà e la purezza”. Successo formidabile e acclamazione francese.
Da ricordare ancora la sua apparizione nel ruolo del cardinale Wolsey in “Un uomo per tutte le stagioni” di Fred Zinnemann. 
Assai interessante il suo documentario F come falso, esplorazione della natura illusionistica dell’arte cinematografica e delle arti in genere.
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Sul regista talentuoso abbiamo detto succintamente. A me piace però rimarcare la vitalità e la profonda umanità di Orson Welles. Un uomo rivolto al bene, profondamente antifascista, viveur raffinato, nemico del moralismo e dei seccatori. Intenditore di vini pregiati, fumatore incallito, commensale impagabile. Muore a Hollywood per un attacco cardiaco il 10 ottobre 1985. Pianto più in Europa che negli Stati Uniti(il paese del moralismo per eccellenza)… non poteva essere diversamente.
 
J.V.

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