YUKIO MISHIMA
YUKIO MISHIMA
Nasce a Tokyo nel 1925 e muore sempre a Tokyo nel 1970. Scrittore talentuoso e controverso, patriota fondatore della Tatenokai, milizia civile atta a restaurare la dignità dell’Impero giapponese. Avvicinato alla letteratura classica e al teatro Nō dalla onnipresente nonna. In “Confessioni di una maschera” del 1949 Mishima racconta il tormentato rapporto con nonna e madre. Si laurea in legge, lavora al Ministero delle Finanze e contemporaneamente scrive, dormendo soltanto tre ore per notte. Il ritmo è insostenibile e quindi decide di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Instaura un rapporto di profonda stima reciproca col futuro premio Nobel Yasunari Kawabata. Decisamente omosessuale si sposa per compiacere la famiglia. Convinto culturista pratica le arti marziali ed è affascinato dalla pratica del suicidio rituale (seppuku). Così scrive “Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, forse non è altro che un fragile vetro.” (Lezioni spirituali per giovani samurai e altri scritti). Fortemente influenzato dalle lettura di Nietzsche, Dostoevskij, Mann e Wilde, dalla Grecia classica e dalla rivolta antimoderna.
Il 25 novembre del 1970, a 45 anni, insieme ai quattro più fidati membri del Tate no Kai, occupa l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa. Dal balcone dell’ufficio, di fronte a un migliaio di soldati, oltre che a giornali e televisioni, tiene un discorso sull’esaltazione dello spirito del Giappone, identificato con l’Imperatore, e la condanna della costituzione del 1947 e del trattato di San Francisco, che hanno subordinato alla democrazia e all’occidentalizzazione il sentimento nazionale giapponese:
“Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo.” (Discorso prima del suicidio rituale). Poi si toglie la vita tramite seppuku. Questo il suo ultimo biglietto “La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”.
Il suo è nazionalismo nipponico nostalgico, decadentismo conservatore fortemente antiamericano e, ad un tempo, anticomunista.
Queste le sue opere più importanti:
Ladri 1948, Confessioni di una maschera , 1949, La voce delle onde, 1961, Il padiglione d’oro, 1962, Una virtù vacillante , 1957, Il mare della fertilità, tetralogia composta tra il 1965 e il ‘70.
La parabola di Mishima, il cui vero nome è Kimitake Hiraoka, non può essere compresa con categorie interpretative prettamente occidentali. La peculiarità mishimiana si coglie nel gesto estremo del seppuku, conseguenza di un sistema valoriale che lo accompagna per tutta la vita. Mishima vuole una società basata sulla gerarchia e sullo spirito guerriero, sulla tradizione e sul senso della continuità. È un erede dei samurai, simbolo della tradizione che si oppone al virus moderno dell’alterazione continua e incessante. È un autentico reazionario indisponibile al patto con la modernità occidentale e con la sua imitazione giapponese, fonte di disonore. Come scrive Marguerite Yourcenar, col seppuku Mishima vuole “rinnegare una supina acquiescenza alla sconfitta e al progresso della modernizzazione, così come alla prosperità che era seguita”. Nemico giurato dell’americanismo e del suo culto del denaro, orgoglioso figlio del Giappone, ritiuta qualsiasi compromesso. Vuole essere un guerriero eroico. Un altro grande reazionario assai colto e sommamente intelligente, Nicolás Gómez Dávila così scrive “non c’è cosa più deprimente dell’appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell’appartenere a una moltitudine nel tempo”. Dávila coglie l’essenza dello spirito della tradizione giapponese. L’uomo moderno deve
riscoprire il senso di una vita vissuta per una causa davvero importante ed impegnativa. Una sorta di rovesciamento del pessimismo cosmico di Houllebecq, interprete scomodo ma veritiero della modernità. Mishima crede nell’importanza della forza, dell’impegno. Come Sōren Kierkegaard per lui non è tanto importante la scelta quanto la serietà con la quale si sceglie. Da qui derivano autodisciplina e senso del dovere, disprezzo per la massificazione del mondo occidentale dove tutto viene spersonalizzato. Per lui si va avanti “solo nella convinzione quasi disperata di essere fedele a qualcosa”. Un sano ideale aristocratico contrapposto alla dilagante e banale massificazione del mondo moderno.
J.V.